In america

19/06/2004. Regista. Jim Sheridan. Sceneggiatura: Jim, Naomi e Kirsten Sheridan. Interpreti. Samantha Morton, Paddy Considine, Sarah Bolger, Emma Bolger, Djimon Hounsou. 103 min. Irlanda-GB. 2002. Adulti.

L’ultimo film dell’irlandese Jim Sheridan (Nel nome del padre), appare una sfida a sé stesso, molto significativa. La trama, scritta dallo stesso Sheridan e dalle figlie Naomi e Kirsten, spiega il carattere intimamente famigliare dell’argomento. Il film, a forte contenuto autobiografico, è dedicato ad un fratello di Sheridan, Frankie, come è anche il nome del protagonista che lo imita nel film, ivi incluse le circostanze della sua morte.

Racconta la storia di una famiglia cattolica che emigra dall’Irlanda a New York in cerca di lavoro, dopo l’11 settembre, finendo in un quartiere ancora più insicuro della stessa città. Senza un dollaro in tasca, Johnny e Sarah s’insediano in una casa popolare abitata da tossicomani, drag queens e altri personaggi poco raccomandabili. La vita è molto dura. Ma sono le due figlie a prenderla nel verso giusto, grazie alla loro fede in Dio, nei miracoli e nella risurrezione. Questa fede risulterà decisiva dopo l’incontro col temuto vicino, Matteo, soprannominato dalle bambine: “L’uomo che grida”. Gli attori sono eccellenti. Paddy Considine e Samantha Morton interpretano i genitori, e, altra coincidenza famigliare, le figlie sono interpretate da due sorelline, Sarah ed Emma Bolger, notevoli per profusione di eloquenza ed espressività. Djimon Hounsou incarna Matteo, pittore eccentrico e solitario, ma profondamente credente, che propizierà la salvezza della famiglia.

La vera minaccia non è un’aggressione esterna, bensì un conflitto interno. In America è, innanzitutto, una riflessione sulla famiglia. Non la famiglia idilliaca de La casa nella prateria, ma una famiglia segnata dal dolore, bisognosa di un intenso lavoro di purificazione. Saranno proprio i profondi legami affettivi a consentire, a ciascun membro della famiglia, di superarele proprie ossessioni. Quella comune a tutti è la morte di Frankie, unico figlio maschio, morto a due anni di tumore cerebrale. La madre assume su di sé il dramma, volontaristicamente (“bisogna vivere come fossimo attori”); il padre, con una specie di atarassia nichilista, satura di rancore verso Dio (“ho giurato a Dio che non gli riuscirà più di farmi piangere”, “Io non mi inginocchio più”); invece, le bambine soffrono il dolore con maturità, avendo fede in Dio e nell’immortalità di Frankie.

Anche se appare un po’ sfumato il confine tra superstizione e fede, Jim Sheridan non affida il sogno americano alle solite chiavi del successo professionale ed economico, ma al raggiungimento della propria salvezza. Appare una riproposizione fresca e originale di quel In God We Trust, stampato sui dollari in banconota. In ogni caso, si tratta di un film commovente, duro e pieno di speranza, nel solco di Capra, De Sica e Kazan, anche se più esplicito nel trattare di sesso. Da non perdersi, la posizione sostenuta rispetto all’aborto. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: adulti. Contenuti specifici: V, X, D. Qualità: **** (MUNDO CRISTIANO)

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