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Birdman

 28/2/2015. Regista: Alejandro González Iñárritu. Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo. Interpreti: Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Zach Galifianakis, Naomi Watts, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Merritt Wever. 118 min. USA. 2014. Giovani-adulti. (DS) 4 Oscar: film, regia, sceneggiatura originale e fotografia (Emmanuel Lubezki). Due Golden Globes: Attore commedia o musicale (Michael Keaton) e sceneggiatura.
Birdman mi sembra la cosa migliore che ho visto sul grande schermo da molti mesi e penso che passerà molto tempo prima di vedere qualcosa di simile. Alejandro González Iñárritu ha girato un grande film, una satira intelligente sulla cultura dello spettacolo, con un packaging formale che tocca il prodigio.

Il regista messicano -che aveva pattinato in Biutiful-  si introduce tra le quinte di un teatro di Broadway per raccontare una storia di per sé poco originale: quella di un attore caduto nel dimenticatoio, che oltre a recuperare la fama che ha avuto un tempo, vuole ottenere il prestigio che sempre gli è stato negato per l’interpretazione di un supereroe. La ricchezza dello script di Birdman è che, da questo quasi aneddoto, González Iñárritu e i sui co-autori costruiscono una fitta rete di filoni collaterali di dolorosa attualità che parlano, in fondo, delle ferite mortali di quello che ancora chiamavamo civiltà occidentale: l'insostenibile leggerezza, la sua disperata ricerca di riconoscimento sociale, la sua ridicola egolatria, il suo triste relativismo, la sua ignoranza compiacente. Un cocktail esplosivo che esplode in faccia dei personaggi -egolatri, vani e superficiali- in forma di profonda infelicità.

González Iñárritu aveva già esplorato l’insoddisfazione umana negli altri suoi film, ma paradossalmente è qui, in una commedia, dove questa analisi raggiunge la sua massima profondità. Tra le altre cose, perché Iñárritu riflette non solo sulle cause di infelicità, ma mostra come alcune delle uscite di emergenza che propone la nostra società (dalla fama al prestigio, attraverso il sesso o il benessere economico) ti sbattono contro un muro.

Ed ecco che qui arriva la vera genialità di Birdman: la risposta sottile al grido di ogni personaggio che chiede cosa accade nel mondo. E dico sottile perché Iñárritu dà una risposta, non per argomento o linee di dialogo, ma attraverso la forma. Per fare questo, sceglie il maestro Emmanuel Lubezki, direttore della fotografia di Terrence Malick, e accompagna il suo film con una solida colonna sonora sostenuta dalla batteria. Un falso piano-sequenza segue i personaggi durante le due ore del film senza fermarsi in nessun momento, in un apparentemente confuso via vai di situazioni, impatti emozionali, lotte e riflessioni con voce in off. Al movimento si aggiungono rumore, tamburi, la batteria in crescendo, l'esplosione dei piatti. Birdman è fretta, nervo, rumore, agitazione, confusione, evasione, fuga, ignoranza. O forse, visto altrimenti, è silenzio, radici, riflessione e pausa. Semplicemente meraviglioso.

Che gli attori siano egregi in un film superbo non è importante. Quando un pezzo è così millimetricamente ben lavorato è raro che qualcuno stoni. Non succede nelle grandi sinfonie. E non succede in Birdman. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: D, S (ACEPRENSA)

American sniper

28/2/2015. Regista: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Jason Hall. Interpreti: Bradley Cooper, Sienna Miller, Luke Grimes, Jake McDorman, Kyle Gallner. 132 min. USA. 2015. Giovani-adulti. (VSD) Oscar per gli effetti sonori.
Clint Eastwood racconta la storia di Chris Kyle, cecchino dell’esercito nordamericano nella guerra dell’Iraq. Il film inizia in un modo classico, con un convoglio americano per le strade di Fallujah sotto l'occhio vigile di Kyle, che lo protegge dal tetto di una casa. Un flashback mostra chi è Chris Kyle: un texano medio, di poca cultura, che faceva lavori temporanei e frequentava i rodei per divertirsi fino a quando il 11-S lo ha toccato, e si è arruolato “per difendere il suo paese”. Il suo lavoro salva molte vite, ma lo colpisce profondamente.

A ottantaquattro anni, Clint Eastwood sorprende per il polso fermo, come uno dei registi che credono nell'epica dell’azione nei film di guerra, e per la sua chiarezza di idee per scegliere che cosa e come raccontare una storia. American sniper racconta la guerra de Kyle, e nient'altro. Eastwood non parla di tempi e luoghi, ed evita di polemizzare sulla guerra in Iraq, ora ampiamente messa in discussione nel suo paese. Mostra chiaramente la brutalità assurda della guerra e come influisce nel cecchino, il cui carattere si rarefà, convertendo la sua famiglia in un'altra vittima del conflitto.

Il film di Eastwood si svolge su due fronti: militare e civile. In Iraq, Kyle ha nostalgia per la sua famiglia; negli USA, pensa solo alla guerra, ai suoi compagni di squadra e ai suoi nemici. Entrambi i fronti sono sottolineati da una sottile colonna sonora, da una fotografia satura in modo di sottolineare i contrasti, e dall’interpretazione di Bradley Cooper, che per la prima volta ha fatto un gran lavoro drammatico. Il film ricorda il premio Oscar The Hurt Locker, un altro film bellico e intimista che racconta come la guerra colpisca il soldato e faccia riflettere sul concetto di eroe; ma questo offre anche alcuni grandi momenti nello azione in stile classico più puro. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Kingsman - Secret service

28/2/2015. Regista: Matthew Vaughn. Sceneggiatura: Matthew Vaughn e Jane Goldman, dal fumetto di Mark Millar e Dave Gibbons. Interpreti: Taron Egerton, Colin Firth, Samuel L. Jackson, Mark Strong, Mark Hamill, Michael Caine, Jack Davenport, Sofia Boutella. 129 min. USA. 2015. Giovani. (VXD)
Questo sorprendente e vigoroso film d'azione basato su un fumetto, dà un giro di vite alle trame di spie tipo James Bond, che nelle sue versioni giovanili hanno spesso un'aria un po 'ingenua. La sua violenza parodica e le intenzioni trasgressive sono in debito con Quentin Tarantino: non c'è da stupirsi, visto che il regista è il britannico Matthew Vaughn, produttore di Snatch-Lo strappo e Lock&Stock-Pazzi scatenati.

Il film segue il problematico giovane Eggsy, il cui defunto padre faceva parte di una agenzia britannica top-secret che impiega come copertura la sartoria Kingsman. Un vecchio compare del genitore lo propone come candidato per ringiovanire le fila dell'organizzazione. Nel frattempo, il miliardario tecnologico Valentine ha messo a punto un piano machiavellico per ridurre drasticamente la popolazione, un modo piuttosto drastico per affrontare il problema del cambiamento climatico.

L'ironia “destroyer” che distilla il film include morti in abbondanza; ridere del “product placement”, una killer letale con protesi in entrambe le gambe, la blesità di Samuel L. Jackson, topici molto “British” (i pub, eleganza nel vestire…); manrovesci agli svedesi che passavano di là per caso, e ai potenti in generale ... E c'è qualche volgarità e violenza, e uno sforzo di contenimento per non spaventare il pubblico più sensibile. Anche la capacità di rischio ha i suoi limiti, e quando progetta una scena chiave di aggressività, in uno spazio di preghiera, non sceglie, ovviamente, una moschea o una sinagoga, ma una chiesa di terribili fondamentalisti cristiani ... di quelli che non fanno temere una reazione o proteste eccessive per il film.

Il cast comprende solidi veterani come Colin Firth, Mark Strong e Michael Caine, e il giovane Taron Egerton è molto indovinato. Sembra sia nata una nuova tipologia di spie, e che sia nata per restare! José Maria Aresté. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Non sposate le mie figlie!

28/2/2015. Regista: Philippe de Chauveron. Sceneggiatura: Philippe de Chauveron. Interpreti: Christian Clavier, Chantal Lauby, Ary Abittan, Medi Sadoun. 97 min. Francia, 2014. Giovani. (S)
I Verneuil, Claude e Marie, sono una coppia di profonde radici francesi. Cristiani da sempre, non capiscono cosa succede alle loro quattro figlie. La primo ha sposato un musulmano di origine algerina; la seconda, un ebreo; la terza, un cinese ... Claude e Marie vorrebbero che la piccola si sposasse in chiesa, con un cattolico.

Non sposate le mie figlie! è una commedia senza pretese, ma abbastanza riuscita: con buoni attori, dialoghi acuti e situazioni divertenti. Il soggetto è di grande attualità: i matrimoni “misti” in Francia sono molto numerosi, e talvolta rivelano avversioni, un certo razzismo e xenofobia. L’inizio è troppo parodico, ma una volta che vengono stabilite le regole del gioco e i personaggi sono nel posto giusto, il film cresce in continuazione. Chauveron, che si trova a suo agio nel terreno della commedia, gioca la carta del buon cinema francese e riesce a fare un film universale: l'intransigenza e la xenofobia si trovano da entrambe le parti e tutti devono fare uno sforzo per convivere. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

La teoria del tutto

24/1/2015. Regista: James Marsh. Sceneggiatura: Anthony McCarten, basato sul libro di viaggio di Verso l’infinito. La vera storia di Jane e Stephen Hawking, di Jane Hawking. Interpreti: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Emily Watson, David Thewlis, Charlotte Speranza, Charlie Cox. 123 min. GB. 2014. Giovani.
Questo intenso melodramma del premiato documentarista inglese James Marsh (Man on Wire, Project Nim) rafforza le opzioni per un Oscar dopo aver vinto il Golden Globe 2014 per il miglior attore drammatico (Eddie Redmayne) e per la musica (Jóhann Jóhannsson), e aver optato anche al miglior film e la miglior attrice drammatica (Felicity Jones). Premi che si aggiungono ad altri di varie associazioni di critici.

Il film ricrea il rapporto commovente tra il celebre astrofisico britannico Stephen Hawking e la sua prima moglie, Jane Wilde, partendo dalla sua autobiografia. In particolare, descrive il loro incontro a Cambridge, il loro matrimonio, la nascita dei suoi tre figli, il trionfo professionale di Hawking, le crisi coniugali ... mentre entrambi combattono eroicamente contro la grave malattia degenerative che è stata diagnosticata quando aveva 21 anni, poco prima di sposarsi, e che molto presto prostrò Hawking in una sedia a rotelle.

Ben diretto, impostato e interpretato, la sceneggiatura evita la agiografia, chiarisce i personaggi, mostra con tenerezza la complessa vita coniugale e familiare dei Hawking, e tratta con ponderazione il dibattito tra ateismo e religione che mantengono lo scienziato con se stesso e con la moglie Jane, anglicana praticante.

Viene fuori così una bella storia di superamento e amore, più profonda di quanto ci aspettassimo e con interpretazioni antologiche, in particolare di Eddie Redmayne, ma anche di Felicity Jones che offre la caratterizzazione più emozionante della sua carriera. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Still Alice

24/1/2015. Regista: Richard Glatzer, Wash Westmoreland. Sceneggiatura: Richard Glatzer e Wash Westmoreland, basata sul romanzo di Lisa Genova. Interpreti: Julianne Moore, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Alec Baldwin. 100 min. USA. 2014. Giovani. Golden Globe alla attrice drammatica (Julianne Moore).
A 50 anni, Alice Howland ha fatto grandi cose. Occupa la cattedra di Linguistica presso l'Università di Columbia, è sposata e ha tre figli. Ma un piccolo vuoto di memoria la preoccupa: si rivela la fase iniziale di un tipo di Alzheimer che inizia quindici anni prima del normale, si trasmette geneticamente, e progredisce con rapidità. Per tutto il film si vede come Alice lotta con la malattia, cercando di continuare ad essere se stessa per quanto possibile.

Still Alice è basato sul romanzo della neurochirurgo Lisa Genova che tratta la malattia dal punto di vista del paziente, in prima persona, e non, come è stato fatto in altri film, dal punto di vista dei parenti. Grazie alla grande prestazione di Julianne Moore, premiata con il Golden Globe, soffriamo con Alice, che si rende conto del suo progressivo deterioramento, soprattutto perché è una persona molto intelligente e utilizza tutte le sue risorse per affrontare i sintomi più evidenti della malattia. Un grande cast contribuisce a dare credibilità alla storia.

Ben fatto, triste, duro, e con una deplorevole mancanza di trascendenza quando tratta dei momenti più delicati della vita. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Boyhood

24/1/2015. Regista: Richard Linklater. Sceneggiatura: Richard Linklater. Interpreti: Patricia Arquette, Ethan Hawke, Ellar Coltrane, Lorelei Linklater. 164 min. USA. 2014. Giovani-adulti. (SD) 3 Golden Globes: miglior film drammatico, miglior regista e miglior attrice non protagonista (Patricia Arquette).
Riconosco che la mia recensione di Boyhood è stata pensata e scritta in due fasi. Una uscendo dal film e l’altra dopo averlo studiato. Il riassunto? Come narrativa, Boyhood sembra un opera notevole –ma non un capolavoro- a cui manca epica per essere più grande. Come esperimento del linguaggio cinematografico di un regista, Boyhood è prodigiosa. Se c’è un argomento che attira Richard Linklater, è il passare del tempo e le sue conseguenze. La sua famosa trilogia romantica, aperta con Prima dell'alba, non è altro che questo: la dissezione del binomio amore e tempo. In Boyhood, Linklater ha alzato la sua capacità narrativa alla categoria di test di laboratorio filmico. Per dodici anni, ha girato lo stesso gruppo di attori -che s’incontravano ogni anno per pochi giorni- per raccontare il passaggio dall'infanzia alla maturità di un ragazzo dagli espressivi occhi azzurri posto al centro di una tormentata famiglia disfunzionale.

Lo spettatore contempla come davanti ai suoi occhi cambia lo sguardo del bambino fino indurirsi e perdere l'innocenza, come la bambina kitsch e repellente dei primi minuti (la stessa figlia di Linklater) diventa una interessante giovane, come la madre ingrassa e marca con amare rughe ciascuno dei suoi fallimenti sentimentali, o come il padre lascia il suo idealismo ingenuo per formare una seconda famiglia, all'ombra di un albero quasi pericoloso di puro conservatorismo. Tutto scorre in modo naturale, come il passaggio di fotografie in un album di famiglia, senza che le ellissi appesantiscano, senza ulteriori spiegazioni. Il tempo passa e le cose cambiano. E le persone di più. Anche senza grandi drammi e svolte drammatiche. Alle volte, un incrocio di sguardi complici tra un uomo e una donna catturato da un bambino sconcertato può cambiare la storia di una vita (per questa scena soltanto Linklater meritava un Leone d'Oro) molto di più di un intricato colpo di scena. Il film, come specchio della vita, supera di gran lunga questo esperimento. E per Linklater, come fotografo e ricercatore del tempo, questo film sarà un retaggio.

Come eredità, sì. Come capolavoro, no. Per questo gli manca un elemento che segna la vita di esseri umani e dei protagonisti di un film. I giorni passano, la vita scorre ma l'uomo è più che tempo. In Boyhood, come nel resto dei film del regista britannico, c’è una sorta di determinismo, di tristezza esistenziale che vena di malinconia i suoi film e, curiosamente, li rende meno reali. Per Linklater, il tempo finisce sempre con la vita, gli amori, le speranze e gli ideali. Senza alternative o opzioni. Senza scontrarsi con l'uomo, l'uomo vero, che con epica, con lotta, è in grado di mantenere amori, speranze e ideali attraverso il tempo. Un uomo che, come risulta in un superbo Malick The Tree of Life, il tempo può corrompere ma anche maturare, far crescere e migliorare. Un uomo che può passare attraverso il tempo. E non viceversa.

Qualche cosa di questo contrappunto -di questa, in fondo, speranza vitale- manca a  Boyhood per essere un capolavoro. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani- adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Fury

24/1/2015. Regista: David Ayer. Sceneggiatura: David Ayer. Interpreti: Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Scott Eastwood, Jon Bernthal. 134 min. USA. 2014. Giovani. (V)
David Ayer ha scritto e diretto un film di 68 milioni dollari di bilancio, il primo kolossal della sua carriera, con Brad Pitt come equity partner di riferimento e attore protagonista. Il suo nuovo film segue un carro armato americano che avanza verso Berlino nell'aprile del 1945. L'equipaggio si conosce bene, condividono l'abitacolo del Sherman dall'Africa. I loro scontri con i tedeschi durano da quattro anni.

Chiunque legga quanto sopra, capirà che una storia così è piena di possibilità, di incentivi. Gli attori, la fotografia, il disegno, le locations, funzionano. Ma Ayer ha evidenti problemi di scrittura e la sfortunata musica di Steven Price (premio Oscar l'anno scorso per Gravity) esalta le debolezze strutturali del filmato. A peggiorare le cose, il film dura 134 minuti, che aiutano a rendersi conto dei difetti e dimenticare le virtù (ad esempio, la sequenza dello scontro di Sherman con un Tiger tedesco ha cose molto interessanti, ma anche le caratteristiche di un direttore della fotografia che ha fatti troppi annunci e pocchi film).

“Brothers under the gun” si legge nello slogan promozionale di Fury. Ayer non sa separarsi dalle trame e i personaggi di Spielberg in Salvate il soldato Ryan e Band of Brothers. Se avesse indovinato con la sceneggiatura, il film avrebbe potuto essere molto buono. Ma non passa dalla sufficenza.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Lo Hobbit. La battaglia delle cinque armate

20/12/2014. Regista: Peter Jackson. Sceneggiatura: Fran Walsh, Philippa Boyens, Guillermo del Toro, Peter Jackson. Interpreti: Martin Freeman, Ian McKellen, Orlando Bloom, Evangeline Lilly, Luke Evans. 144 min. Nuova Zelanda, USA. 2014. Giovani.
Chiude, con questo avvincente film di guerra, l’adattamento in tre puntate che Peter Jackson ha fatto della storia pubblicata da Tolkien nel 1937. E' giusto congratularsi con Jackson per il suo lavoro sulle due saghe, per un totale di oltre 17 ore di filmati. Molto è accaduto dal dicembre 2001, quando ha avuto luogo la prima di Il Signore degli Anelli. La Compagnia dell’Anello.

Per oltre un decennio, Tolkien e le sue opere sono state sotto i riflettori e mi sembra logico, perché è un meraviglioso scrittore. Jackson, nel frattempo, con successi e insuccessi, ha fatto qualcosa di unico nella storia del cinema (ovviamente non paragonabile dal punto di vista delle strategie narrative e di produzione con Harry Potter).

La trilogia dell’Hobbit dura per un totale di quasi 8 ore. Penso che, grazie alla critica che è stata abbastanza dura, Jackson ha ridotto il filmato in ogni nuova release.

L’ho già detto nei commenti alle prime due parti di Lo Hobbit: più metraggio, più battaglie, più tono epico, più somiglianze con Il Signore degli Anelli, meno somiglianze con il tono casuale, rilassato e divertente della storia originale. Jackson si è difeso dicendo che gli investimenti nel film sono stati così alti che non aveva altra scelta che fare una trilogia per recuperare i soldi. Pertanto, il filmato doveva essere riempito con un sacco di azione. Capisco, ma non condivido.

Quindi, questo ultimo film è avvincente e ha delle sequenze d'azione formidabili. Tranne alcuni di quei terribili avvicinamenti aerei in elicottero con musica di cattivo gusto, ai quali manca soltanto un adesivo per visitare la Nuova Zelanda, il film è ben girato e ha un piano di produzione invidiabile, con luoghi e scenografie molto belle. E un attore meraviglioso, Martin Freeman, che interpreta un Bilbo semplicemente perfetto. E’ un peccato che non sia ancora più protagonista, perché quando gli sceneggiatori lo lasciano fare, dà alla storia il tono delizioso che Tolkien voleva.

Le viste di Erebor (la fortezza-palazzo scolpita nella pietra dai Nani) sono indimenticabili, i singoli combattimenti anche. Ci sono una dozzina di sequenze memorabili, molto meritevoli,... ma il film avrebbe guadagnato se fosse stato più breve, ritagliando battaglia, sangue e fuoco, per far brillare meglio i viaggi dei personaggi: Thorin squassato dalla febbre gialla, Thranduil divorato da orgoglio altezzoso, Gandalf che spegne gli incendi, Bilbo, l’amicizia commovente con i nani, la scoperta dell'amore per l’elfa Tauriel, il dramma  di Legolas, il coraggio di Bardo ...

Il ritorno a casa è davvero bello, anche se arriva quando sei ormai stanco dalle battaglie. Secondo me, è la parte migliore del film. E certamente, il collegamento con Il Signore degli Anelli è eccellente: ti viene un travolgente desiderio di rileggere i romanzi. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Exodus: Dei e Re

20/12/2014. Regista: Ridley Scott. Sceneggiatura: Steven Zaillian, Adam Cooper e Bill Collage. Interpreti: Christian Bale, Aaron Paul, Joel Edgerton, Sigourney Weaver, Ben Kingsley, John Turturro. 151 min. USA. 2014. Giovani. (VS) dal 15 gennaio nelle sale.
Narrato e interpretato correttamente, questo adattamento del secondo libro della Bibbia travolge lo spettatore attraverso l'imponente messa in scena dell’inglese Ridley Scott (Alien, Blade Runner, Il Gladiatore), risolta con una classica progettazione al stile colossal, un montaggio mozzafiato ed effetti visivi di ultima generazione. Ma, come ne Le crociate e Robin Hood, anch’essi di Scott, lo script manca di profondità drammatica, morale e religiosa, nonostante la sua apparente fedeltà al testo biblico. Così la sua implementazione formale raramente commuove.

Pesano come lastre la clamorosa trascuratezza di numerosi personaggi secondari e, soprattutto, la mancanza di autenticità dei vari incontri di Mosè con Dio. Questo punto di vista è più esoterico e immanente che veramente religioso. Tocca fondo nelle splendide sequenze delle piaghe, dove Scott elimina i successivi avvertimenti che, secondo la Bibbia,  Mosè diede al Faraone, lasciando ambedue come semplici spettatori della collera divina .

In definitiva, il film adotta un’idea visionaria, anti-razionale e molto poco incarnata dell'esperienza religiosa, presentata con caratteristiche troppo vicine al fondamentalismo violento. Ciò accade nella brusca trasformazione di Mosè da ateo individualista e postmoderno, a credente quasi fanatico e leader rivoluzionario senza molto rapporto con il suo popolo.

La superproduzione di Scott è di gran lunga inferiore alle due versioni che fece Cecil B. DeMille de I Dieci Comandamenti, e anche di Il principe d'Egitto, il notevole film di DreamWorks. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Magic in the moonligth

20/12/2014. Regista: Woody Allen. Sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Colin Firth, Simon McBurney, Emma Stone, Catherine McCormack, Eileen Atkins, Erica Leerhsen. 97 min. USA. 2014. Giovani (D)
Anni 20 del secolo scorso. Stanley, famoso mago inglese che rifiuta tutto ciò che sa di soprannaturale, gode smascherando chiunque osi attribuirsi capacità divinatorie o capacità di comunicare con gli spiriti. Il suo amico e collega Howard gli propone di conoscere in Provenza la giovane americana Sophie, che -assistita dalla madre- ha sconvolto completamente una famiglia benestante. E anche se Stanley è convinto che è una imbrogliona, Sophie risulta essere troppo buona, tanto da fargli pensare che finalmente ha incontrato qualcuno in grado di modificare le sue convinzioni razionaliste.

Fedele al suo appuntamento annuale, Woody Allen offre una favola deliziosa, molto personale, dove batte e ribatte intorno all'idea se c’è qualcosa di più di quello che i nostri cinque sensi sono capaci di rilevare, se Dio esiste o no, o se c’è qualcosa di "magico" in grado di vivacizzare l'esistenza e dargli senso: questo è il dilemma. Può sembrare che Allen tocchi appena la questione, ma coglie come nessuno la nostalgia di sapere che qualcuno si occupa di noi.

Siamo così abituati al genio di Allen, che se non ci presenta qualcosa vicino al sublime, sembra che non ci abbia soddisfatto. Il fatto è che il gioco del film funziona, con il suo alone romantico, e scherzi e sorprese di buona fattura, seminando i dubbi che lo stesso regista ha. E’ molto opportuno questa bordata contro gli intellettuali saputelli, così egocentrici che anche quando cambiano il loro punto di vista, lo fanno per ammirare se stessi. Allen  potenzia i grandi attori che fino adesso non aveva chiamato, come Colin Firth e Emma Stone. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: D (ACEPRENSA)

St. Vincent

20/12/2014. Regista: Theodore Melfi. Sceneggiatura: Theodore Melfi. Interpreti: Bill Murray, Jaeden Lieberher, Melissa McCarthy, Naomi Watts,Terrence Howard, Chris O’Dowd. 102 min. Giovani. USA. 2014. (XD)

Il piccolo Oliver si è trasferito con la madre Maggie, che ha appena divorziato e fa lavori ausiliari in un ospedale, nella sua nuova casa di New York. Anche se ebreo, frequenta una scuola cattolica, dove fratel Geraghty cattura l'attenzione degli studenti parlando loro di santità, e proponendo un lavoro sull'argomento. Non sembra che il modello migliore sia quello del suo dimesso vicino di casa Vincent, improvvisato custode di Oliver per l’orario di lavoro della madre, che frequenta la compagnia di una “signora della notte”, beve, fuma e scommette sulle corse di cavalli. Anche se non si sa mai.

Debutto nel lungometraggio di Theodore Melfi, regista e sceneggiatore, che imprime un aria "indie" stile Little Miss Sunshine, con cui condivide l'idea che l'amore supera altri variabili rappresentative della miseria umana. Con una produzione di Peter Chernin -che è dietro Exodus: Dei e Re- gioca con la provocatoria idea evangelica che “i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio”, mostrando Vincent, che ha difetti innegabili, ma anche altre caratteristiche che lo riscattano. E lo fa con intelligenza e simpatia, evitando facili moralismi o irrispettosi semplificazioni, suggerendo la santità nella vita quotidiana e toccando molte questioni attuali, come ad esempio la cura dei pazienti col morbo di Alzheimer o le famiglie in crisi per i problemi matrimoniali.

Il protagonista calza a pennello ad un grande Bill Murray, che è ben supportato da Melissa McCarthy, attrice in ascesa, Naomi Watts, credibile come prostituta di origine russa, e il bambino debuttante Jaeden Lieberher. José María Aresté. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Interstellar

22/11/2014. Regista: Christopher Nolan. Sceneggiatura: Jonathan Nolan, Christopher Nolan (storia: Kip Thorne). Interpreti: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, Matt Damon, Bill Irwin, John Lithgow, Casey Affleck, David Gyasi, Wes Bentley.169 min. USA. 2014. Giovani.
E’ facile criticare Interstellar per gli eccessi, per la sua esagerata lunghezza, perché la trama emotiva non appare riuscita e, soprattutto, perché allunga e semplifica un epilogo che richiedeva più concisione e mistero (il regista che ha lasciato mezzo pianeta a interrogarsi per una “trottola” in Inception, si sforza qui a chiarire anche il più piccolo problema di una trama, fino ad ora, eterogenea e confusa).

Tuttavia, se -in un film di 169 minuti- non ti dispiace che al 150 minuto si inizi ad esplorare un altro mondo, vuol dire che qualcosa deve avere Nolan, quando gli spettatori se ne entusiasmano. In altre parole: Interstellar è ben lungi dall'essere perfetto, ma è grande  spettacolo, uno di quei film che si consigliano agli amici senza paura, sapendo che non si pentiranno di aver lasciato i soldi al botteghino.

Il creatore della miglior saga di Batman racconta qui la storia di un padre che si imbarca in una complessa missione spaziale alla ricerca di una galassia in cui gli esseri umani possano vivere, perché la Terra è inabitabile. Partendo da questa sinossi, che condivide con titoli simili, e da una storia del fisico americano Kip Thorne, che prima attirò Steven Spielberg, Nolan costruisce una storia complessa su buchi neri, viaggi attraverso il tempo, e realtà in quarta e quinta dimensione.

Inception? Sì, ma alla grande. Nolan impazzisce letteralmente ricreando navi spaziali, mondi impossibili, galassie alternative e spazi paralleli. Il tutto accompagnato dall’utilizzo, anche piuttosto roboante, del suono e del silenzio, e da una colonna sonora -stridente alle volte- di Hans Zimmer. Questo eccesso mette lo spettatore nel mondo di Nolan, e aggiunge a questo festival di immagini e suoni una serie di interessanti riflessioni (non dico profonde, forse da questo angolo Spielberg avrebbe fatto meglio) sulla paternità, nonché alcune note azzeccate sull'ecologia sottolineando l'importanza dell'uomo come amministratore del pianeta.

Per concludere, per la gioia dello spettatore che va al cinema a divertirsi e a godere di una storia, si ritrova suk grande schermo un generoso cast: Matthew McConaughey, diventato un attore importante, fino a Michael Caine, Anne Hathaway, Jessica Chastain o Matt Damon. Come avevamo detto: un vero spettacolo! Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

La spia. A most wanted man

22/11/2014. Regista: Anton Corbijn. Sceneggiatura: Andrew Bovell. Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Nina Hoss, Willem Dafoe, Rachel McAdams, Robin Wright. 121 min. USA. 2014. Giovani.
Il penultimo lavoro del compianto Philip Seymour Hoffman, nel ruolo del capo di un gruppo anti-terrorismo di Amburgo, è un esempio del suo enorme talento. Ciò può oscurare o minimizzare il merito di un film molto più di quanto ci si aspetterebbe, grazie all’atmosfera molto riuscita. I critici spesso ricorrono a questo concetto per spiegare quanto sia importante perché una storia funzioni, fluisca ed impatti; o perché si rovini, s’impanni e lasci indifferenti.

L’ olandese Corbijn è riuscito a dare alla sua storia un atmosfera molto attrattiva: i 121 minuti di riprese sono affascinanti. Il romanzo di John le Carré contiene meno sciocchezze esistenzialiste rispetto alle sue altre opere recenti, e aiuta il film ad essere “sconvolgente”, con un realismo inquietante (anche se Corbjin più che un buon regista, è un fotografo a cui il cinema, per il momento, non è il suo lavoro).

La sceneggiatura sa snocciolare una complessa operazione avente una impalcatura finanziaria molto importante: anche se è possibile dimenticarlo nei film, il denaro è fondamentale nel terrorismo! La storia si concentra sul lavoro di un piccolo gruppo di investigatori, gente comune, che non attirano l'attenzione, e passano inosservati.

Agenti stanchi con le occhiaie incrociano dati e raccolgono informazioni per raggiungere il cuore di un gruppo terroristico. Raramente il cinema è riuscito a ritrarre in un modo così potente lo schiacciante peso di chi deve difendere la propria squadra, cosciente che i servici di intelligence condividono informazioni e sono soggetti a pressioni da parte dei politici su di loro. Da sottolineare un Hoffman colossale, con un sorprendente il controllo della voce, dei gesti adeguati a un personaggio amante dell’alcool e che conduce una vita malsana.

Anche se nella versione originale suona scioccante, la decisione di lasciare che Hoffman (Günther Bachmann si chiama il suo personaggio) sia un tedesco con un inglese diverso di quello dei suoi colleghi tedeschi è stata indovinata, anche se genera un certo grado di confusione (vale lo stesso per i personaggi “tedeschi” di Rachel McAdams e Willem Dafoe). Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

The judge

22/11/2014. Regista: David Dobkin. Sceneggiatura: Nick Schenk  e Bill Dubuque da un argomento di David Dobkin e Nick Schenk. Interpreti: Robert Downey Jr., Robert Duvall, Vera Farmiga, Billy Bob Thornton, Leighton Meester, Vincent D'Onofrio, Jeremy Strong, Sarah Lancaster. 141 min. USA. 2014. Giovani (VSD)
Hank Palmer è un arrogante avvocato di New York che dovrà difendere suo padre, un onorabile giudice, accusato di omicidio.

Il problema di questo thriller è che la sceneggiatura è di Nick Schenk (Gran Torino) e che il nuovo arrivato Bill Dubuque non è all’altezza del ricco materiale narrativo e drammatico che sviluppa; oppure che è stato fatto qualche sbaglio nel taglio e nel montaggio finale. La verità è che la storia è troppo lunga, forse per eccesso di trame (alcune poco sviluppate). Questi difetti abbassano la qualità di The judge, che comunque è un interessante film drammatico adatto a un vasto pubblico. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Due giorni, una notte

22/11/2014. Regista: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Interpreti: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Frangiflutti, Simon Caudry, Catherine Salee. 95 min. Belgio. 2014.
Giovani-adulti.
Confesso: in generale, il cinema sociale non è il mio preferito. Paradossalmente, nonostante le storie sono, il più delle volte, molto drammatiche, di solito mi costa trovare il nervo emotivo. Quindi, e malgrado i fratelli Dardenne non siano Ken Loach, mi sono avvicinato con una certa apprensione a Due giorni e una notte, l'odissea di una giovane madre che, per mantenere il suo lavoro, deve ottenere dei suoi compagni di squadra che rinuncino ad un bonus di mille euro. Durante un fine settimana, due giorni e una sera, accompagnata dal marito, si recherà in visita a ciascuno dei suoi colleghi per cercare di convincerli.
Come se vede, sulla carta, la storia è molto piccola. Il modo con cui filmano i Dardenne –cinepresa a mano attaccata al personaggio- non è particolarmente innovativo ... E tuttavia, questo film riesce a trasmettere tutto quel patos che viene diluito in titoli simili. Senza entrare in arringhe politiche o denunce strutturali, i Dardenne mettono il dito nella piaga su un dramma umano – di nuovo il paradosso- per espanderne i margini e costruire un film sociale che interpella, fa pensare e commuove.

Film umano al cento per cento che avvicina il riflettore, come la cinepresa, a ogni personaggio, a ogni famiglia e ne trae  conclusioni. Il problema -e la soluzione-, allora non è la disoccupazione, né le leggi, né una certa struttura, ma le persone. Senza fare un discorso, senza valersi di slogan, è chiaro in questa storia come, della crisi, si esce soltanto con sforzo, con generosità, con coerenza su certi principi e mettendosi nei panni del prossimo. Se poi il film può contare su una magnifica interprete e su un ritratto del matrimonio tanto attraente quanto poco edulcorato ... cosa altro si può dire? Che si conferma che al cinema non va bene andare con timori e pregiudizi. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. (ACEPRENSA)

Le due vie del destino - The Railway Man

20/9/2014. Regista: Jonathan Teplitzky. Sceneggiatura: Frank Cottrell Boyce, Andy Paterson (sulla autobiografia di Eric Lomax).  Interpreti: Nicole Kidman, Colin Firth, Stellan Skarsgård, Jeremy Irvine, Hiroyuki Sanada, Sam Reid, Marta Dusseldorp, James Fraser. 110 min. Australia, GB. 2013. Giovani-adulti.
Eric Lomax sa tutto di treni e orari ferroviari nel Regno Unito. Con questo aspetto e il suo fascino indefinibile di "saggio nelle nuvole" impressiona Patricia Wallace, una donna in viaggio, il che conduce all'amore e al matrimonio. Ma Eric non ha potuto superare il suo trauma postbellico della seconda guerra mondiale, quando è stato prigioniero dei giapponesi, e ha partecipato alla costruzione della linea ferroviaria che doveva collegare la Tailandia e la Birmania, impegno immortalato da David Lean nel film Il ponte sul fiume Kwai. Gli incubi lo assaliscono e Patricia, che non sa come aiutarlo, si rivolge ai vecchi compagni d'armi di suo marito per un consiglio.

Il film è basato su una storia vera, raccontata dal protagonista nella sua autobiografia. Le due vie del destino è diretto dallo sconosciuto australiano Jonathan Teplitzky. Le intenzioni sono certamente nobili,: descrivere come un uomo deve fare i conti con i suoi demoni interiori, il prezioso aiuto che può dare una moglie,  il bisogno di amore e di perdono, come binari - mai meglio detto in questo film di treni - che portano a guarire le ferite dell'anima.

Il risultato, realizzato con andirivieni nel passato, è irregolare, non viene definito un tono, e ci sono piccole incongruenze che spiazzano: per esempio, vi è l'impressione che il matrimonio abbia avuto luogo senza che Patricia conoscesse i problemi psicologici di Eric, e non siamo pronti per la falsa partenza del vecchio compagno d'armi Finlay. Il primo flashback è completamente inaspettato e stordisce, forse come effetto desiderato ma che lascia disorientati. La sensazione è che ci sono parti buone, ma non riescono a comporre con completezza la figura che ci si aspetta in un puzzle.

Colin Firth prende su di sé il peso della trama, insieme a Jeremy Levine nella sua versione giovane. Gli altri attori portano la loro professionalità, anche se in ruoli secondari, tra cui quello della convincente Nicole Kidman. (DECINE21)


Pubblico: Giovani-adulti.  Contenuti: Azione 1 | Amore 2 | Lacrime 2 | Risate 0 | Sesso 0 | Violenza 2 (da 0-4) (DECINE21)

I Mercenari 3 - The expendables

20/9/2014. Regista: Patrick Hughes.Sceneggiatura: Sylvester Stallone, Creighton Rothenberger Katrin Benedikt. Interpreti: Sylvester Stallone, Jason Statham, Jet Li, Antonio Banderas, Wesley Snipes, Dolph Lundgren, Mel Gibson, Harrison Ford, Arnold Schwarzenegger, Kellan Lutz, Terry Crews, Ronda Rousey, Kelsey Grammer, Natalie Burn, Robert Davi, Sarai Givaty. 126 min. USA. 2014. Giovani.
Terzo capitolo della saga, The Expendables, senza inganno dà quello che ci si aspetta, un sacco di azione adrenalinica, attori di una certa età, gli abituali, più alcuni nuovi come la debuttante lottatrice Ronda Rousey, molto popolare negli Stati Uniti. Con il consueto senso di autoironia.

La formula inventata da Sylvester Stallone torna a funzionare, questo è innegabile. E in questo senso, la trama è quasi la cosa meno importante, uno scheletro con la minima consistenza desiderata: Barney Ross sta per perdere uno dei suoi uomini in una missione dove scopre che il suo eterno nemico Stonebanks, con il quale aveva fondato il gruppo “The Expendables”, è vivo e più cattivo che mai; vede che lui stesso e i suoi ragazzi sono troppo anziani e per dare la caccia a Stonebanks recluta una squadra di giovani, meno rozzi rispetto ai loro predecessori, con qualche conoscenza di computer; naturalmente alla fine dovrà fare ricorso ai vecchi colleghi.

Il film è divertente e fanno una buona figura alcuni dei nuovi arrivi, in particolare Harrison Ford, Mel Gibson, Wesley Snipes e Antonio Banderas, che hanno avuto spazio per alcune improvvisazioni un po’ pazzesche. L'idea di Levriero “Banderas” che non smette mai di parlare, nonostante alcuni istrionismi, dà origine ad alcuni dei momenti più divertenti, dove la complicità con lo spettatore permette agli attori sane risate su se stessi. “Ci siamo divertiti”, dice Stallone a Harrison Ford a un certo punto, frase che ha un doppio significato sullo spirito di questi film. (DECINE21)


Pubblico: Giovani. Contenuti: Azione 4 | Amore 1 | Lacrime 1 | Risate 1 | Sesso 0 | Violenza 1  (da 0-4) (DECINE21)

Lucy

20/9/2014. Regista: Luc Besson. Sceneggiatura: Luc Besson. Interpreti: Scarlett Johansson, Morgan Freeman, Analeigh Tipton, Choi Min-sik, Lee Mason. 89 min. USA, Francia. Nelle sale dal 25 settembre. Giovani. (VX)
Scarlett Johansson interpreta Lucy, una studentessa americana a Taiwan, che il suo fidanzato del momento, un vanesio impresentabile, la costringe ad andare in un albergo per consegnare una valigetta a un certo signor Jang. Lucy si rende conto che l'operazione è pericolosa, ma non ha altra scelta che fare quanto richiesto e arriva il disastro: viene sequestrata dai narcotrafficanti e accidentalmente assume parte di una nuova droga.

Nel frattempo a Parigi, il professor Samuel Norman (Morgan Freeman) tiene una conferenza sull'evoluzione del cervello. Egli sostiene che usiamo solo il 10% della nostra capacità cerebrale e suggerisce che cosa potrebbe accadere se arrivassimo a usare il 20% o di più. Lucy scopre che la droga che ha ingerito apre la sua capacità mentale in un modo prodigioso e cerca di incontrare il professor Norman, mentre è inseguita dai narcotrafficanti.

Lucy non è il miglior film di Luc Besson, ma porta il suo timbro inconfondibile, è efficace e divertente; l'azione avanza inesorabilmente in linea retta con momenti molto riusciti, in particolare la sequenza del albergo in cui il grande attore coreano Choi Min-sik, senza dire una parola, impressiona con la sua sola presenza.

Purtroppo, la sceneggiatura che Besson ha scritto è un cocktail in cui si combinano elementi di Stanley Kubrick di 2001, molti altri di film precedenti dello stesso regista, e infinite confuse storie orientali come Akira, cosicché l'avventura di Lucy e il suo prodigioso cervello diventa in certi momenti delirante.

Scarlett Johansson, protagonista assoluta del film, svolge un buon lavoro; Morgan Freeman bene, secondo la norma, e Choi Min-sik -protagonista del tremendo film Old Boy-, eccellente. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

Maleficent

26/7/2014. Regista: Robert Stromberg. Sceneggiatura: Linda Woolverton, Paul Dini e John Lee Hancock. Interpreti: Angelina Jolie, Elle Fanning, Sharlto Copley, Imelda Staunton, Miranda Richardson. 97 min. USA. 2014. Giovani.
Anche se si possono trovare precedenti letterari nel Medioevo, la storia della Bella Addormentata si tratteggia nel romanzo francese anonimo Perceforest (1527), si delinea nel racconto Sole, Luna e Talia (1636) dell’italiano Giambattista Basile, e viene consolidata con le versioni francesi di Charles Perrault –La Bella addormentata (1697) - e tedesca dei fratelli Grimm -Rosaspina (1812) -. Infine, la regina o fata cattiva diventa Malefica nel classico film di animazione La Bella addormentata, prodotto nel 1959 da Walt Disney. Si presenta ora la vera storia di Malefica con attori reali e 3D stereoscopico e con abbondanti animazioni digitali.

Malefica è una bellissima bambina con un cuore puro e delle sorprendenti ali nere. Vive in un idilliaco e magico regno nel bosco, dove non entrano mai gli umani. Nel corso degli anni, un tradimento crudele indurisce il suo cuore fino a trasformalo in pietra.

Ciò che colpisce di Maleficent è la sua immaginativa risoluzione visiva, simile a quella di Alice in Wonderland, di Tim Burton, o di Oz, un mondo fantastico, di Sam Raimi. Infatti, in Maleficent fa il suo debutto dietro la macchina da presa l’americano Robert Stromberg, direttore artistico di questi due film, il primo dei quali vinse l'Oscar 2011, confermando quello ottenuto un anno prima con Avatar.

Non sono all’altezza di questo splendido disegno di produzione altre parti del film, come la sceneggiatura di Linda Woolverton (La Bella e la Bestia, Il Re Leone, Alice in Wonderland), alle volte aritmica e inconsistente, o la pianificazione di Stromberg, confusa in varie sequenze. Comunque, Angelina Jolie risplende in ogni momento, Elle Fanning le tiene corda molto bene e il resto del cast recita bene. Il film è forse un po’ triste e violento per i piccoli, ma è molto suggestivo nei suoi paesaggi immaginari, vibrante nelle battaglie e affascinante nei voli di Malefica. Il film fornisce una critica accurata dell’avidità e della slealtà e loda la maternità, il perdono e il potere redentore dell'amore. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)