L'Ombra del potere (The Good Shepherd)

28/4/2007. Regista: Robert De Niro. Sceneggiatura: Eric Roth. Interpreti: Matt Damon, Robert De Niro, Angelina Jolie, William Hurt, John Turturro. 167 min. USA. 2006. Adulti. (V, X)

Introduzione alla storia dei servizi segreti statunitensi, innanzitutto ambientati nella la Seconda Guerra Mondiale sotto la sigla OSS, e poi sotto l’appellativo “L’Agenzia”: cioè, la CIA. La narrazione si regge su Edward Wilson, agente grigio e taciturno, ma davvero esperto nel suo lavoro. Il film alterna due sequenze temporali diverse: negli anni Sessanta, per la fallita invasione di Cuba nella baia di Cochinos, e nei preamboli della guerra mondiale, quando Wilson, membro di una confraternita studentesca ed universitario idealista, riceve la proposta di arruolarsi nel nascente servizio d’intelligence.

Ne riesce una struttura di sequenze storico-temporali alternate, complessa ma ben integrata, che richiama Il Padrino II (forse il produttore Francis Ford Coppola ha dato qualche suggerimento allo sceneggiatore Eric Roth e al regista Robert De Niro). Il film riesce a trasmettere un’idea esatta delle duplicità che connota la vita delle spie, con prezzi da pagare davvero eccessivi, sia per le famiglie, che per gli stessi agenti. Merito di Roth e De Niro che, nel personaggio del protagonista, danno una dettagliata visione d’insieme. Gli alberi non impediscono di vedere il bosco. Al contrario…

Ci sono risonanze da grande tragedia, nel destino fatale che attende Wilson, con una vita segnata dal suicidio paterno. I sentimenti del protagonista, sempre celati nella propria interiorità, lo inducono a sacrificare il dettato dell’amore, arrivando a far soffrire i suoi cari. In tal senso, la solitudine che contraddistingue Il Padrino nell’immoralità, viene qui perfettamente riprodotta: Matt Damon sembra proprio riferirsi al Michael Corleone di Al Pacino-, ma senza scadere in una banale imitazione. Anche la scena di montaggio in parallelo, dove emerge l’identità di una talpa, ricalca in modo evidente la saga di Coppola; tuttavia con originalità, perché i piani non soltanto sono separati nello spazio, ma anche nel tempo.

Si avverte che De Niro è un grande attore. Curiosamente, dimostra una virtù che emerge nei film della sua ultima tappa di attore: controlla i personaggi interpretati in modo tale, da mantenersi nell’ambito di una recita sobria, senza istrionismi. E così, nel ben scelto cast, convivono noti attori (Damon, Angelina Joly, JohnTurturro, lo stesso De Niro), buone promesse (Billy Cudrup, Martina Gedeck), e alcune “scoperte” (Oleg Stefan, John Sessions). Josè Maria Arestè. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

La vie en rose

28/4/2007. Regista: Olivier Dahan. Sceneggiatura: Olivier Dahan. Interpreti: Marion Cotillard, Sylvie Testud, Gérard Depardieu. 140 min. Francia. 2007. Adulti (XD) Uscita nelle sale: 4 maggio 2007.

L’attrice Marion Cotillard (protagonista con Russell Crowe di Una buona annata, in un recente ma scarso film nordamericano) realizza un lavoro di prima grandezza in questo notevole film francese. La trama riguarda la cantante Edith Piaf (1915-1963) e la sua tristissima vita, che parte dai bassifondi parigini.

L’interprete de La vie en rose, figlia di un contorsionista e di una cantante lirica fallita, saprà dall’infanzia cosa significa soffrire e andar avanti in ambienti degradati. Quando arriva il successo, con recite a New York e la conseguente enorme popolarità (nella Francia del dopoguerra), la Môme, come la chiamavano i tanti fans, appare precocemente invecchiata; in gran parte, per la durissima infanzia, con ricorso ad alcool e droga.

Il regista e sceneggiatore quarantenne Olivier Dahan (Fiume di porpora 2, Pollicino) ricava un buon ritmo narrativo, malgrado la frammentazione e i salti di sequenze temporali, proprie del racconto. La messa in scena accurata e un cast eccellente aiutano a dar lustro ad un film che propone momenti esaltanti, per lo più musicali. I 140 minuti di durata sono eccessivi, ma il film resta agile, forse perché riesce a far convivere aspetti da dramma sordido francese, con tratti di esistenzialismo statunitense. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Shooter

28/4/2007. Regista: Antoine Fuqua. Sceneggiatura: Jonathan Lemkin. Interpreti: Mark Wahlberg, Michael Peña, Danny Glover, Kate Mara, Elias Koteas, Rhona Mitra, Rade Sherbedgia, Ned Beatty. 124 min. USA. 2007. Giovani (VS)

Un sergente dei marines, tiratore scelto, torna a casa dopo un’accidentata e traumatica missione in Etiopia. Reintegrato nella vita civile, l’ex militare è richiamato dai servizi d’intelligence. Si tratta di impedire un possibile tentativo di assassinare il presidente degli Stati Uniti.

Fanfaronata per passare il tempo, con sparatorie, inseguimenti, teoria della cospirazione: elementi tutti ricorrenti in questo genere secondario, ma molto popolare, che risponde al titolo: “se io mi arrabbio io, è meglio per voi sparire”.

Il film parte in modo spettacolare, ma perde consistenza e diventa inverosimile (l’intervento per estrarre una pallottola ad un ferito da parte di una donzella inesperta è da manuale dell’improvvisazione). I 124 minuti sono eccessivi, ma si può trovare sempre di peggio. Wahlberg é un tipo dall’aria eternamente arrabbiata. Il veterano Danny Glover parla come se fosse appena uscito dell’unità di rianimazione. Antoine Fuqua (King Arthur, L’ultima alba, Training day) sa filmare bene le scene di azione. Ma la sua abilità di regista finisce lì. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Le vite degli altri

21/4/2007. Regista: Florian Henckel von Donnersmarck. Sceneggiatura: Florian Henckel von Donnersmarck. Interpreti: Ulrich Mühe, Martina Gedeck, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme. 144 min. Germania. 2006. Adulti. (VXD)

Berlino, 1984. Il capitano Gerd Wiesler (magistrale interpretazione di Ulrich Mühe) è un ufficiale straordinariamente abile della Stasi, l’onnipotente polizia segreta del regime comunista della Repubblica Democratica di Germania. Wiesler, per la sua fama nella cura dei minimi dettagli delle persone spiate, è professore presso l’accademia dove si formano le reclute della Stasi, per istruirle nelle tecniche di interrogatorio dei “nemici di Stato”. Quando gli si assegna l’incarico di spiare una coppia di coniugi, il prestigioso scrittore e autore drammatico Georg Dreyman e la popolare attrice Chiesta-Maria Sieland, la sua vita di segugio imperterrito subirà una forte scossa di fronte a queste vite diverse: le vite degli altri.

Straordinaria opera prima del tedesco Florian Henckel von Donnersmarck (Colonia, 1973), regista e sceneggiatore proveniente da un complesso iter formativo (ha studiato russo all’Istituto Nazionale di Leningrado, scienze politiche, economiche e filosofia a Oxford, regia cinematografica alla scuola di Monaco; è stato aiuto-regista di Richard Attenborough). Il film ha ottenuto 7 premi cinematografici in Germania (tra cui: film, regia e sceneggiatura), tre premi europei (film, sceneggiatura e miglior attore) e ha vinto l’Oscar per il miglior film in lingua straniera (non inglese).

Henckel riesce ad evocare un ritratto intelligente, sereno e commovente -solo talvolta, crudo e sgradevole- del fanatismo generato dall’utopia marxista. Riaffiora il sistema oppressivo e carcerario che la stinta RDG di Honecker applicava con tale rigore, da farsi reputare l’incarnazione chimicamente pura del sistema comunista. Non solo si propongono attori di gran talento (basti ricordare Martina Gedeck, già segnalatasi quale protagonista di Ricette d’amore) e una messa in scena molto efficace; ma emerge anche uno dei migliori copioni del cinema europeo degli ultimi anni. Negli ultimi tempi, vari film riusciti in Germania (La caduta, La rosa bianca, Der neunte tag, Il grande silenzio) ci consente di poter ormai parlare di rinascita del cinema tedesco, dopo un periodo di letargo. Le vite degli altri è una riaffermazione del valore del cinema tedesco e del fatto che ancora si possono raccontare molte storie eccellenti, semplicemente guardandosi attorno. Alberto Fijo, ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

300

21/4/2007. Regista: Zack Snyder. Sceneggiatura: Zack Snyder, Kurt Johnstad, Michael B. Gordon. Interpreti: Gerard Butler, Lena Headey, David Wenham, Dominic West. 117 min. USA. 2006. Adulti (V, X).

Lo storico greco Erodoto racconta, nel suo celebre libro Storie, dell’esercito persiano del grande re Serse, sbarcato con la certezza di conquistare la Grecia. E della strenua difesa del passo delle Termopili, da parte di Leonida, re di Sparta, con soli 300 uomini. Il sacrificio di costoro è rimasto leggendario da 2500 anni. Nel 1962, Rudolph Maté aveva già realizzato un’opera di qualità, Il leone di Sparta, che rispecchiava abbastanza fedelmente i fatti.

Otto anni fa, Frank Miller pubblicò 300, libro di fumetti che narrava la sua versione dei fatti. L’idea partiva direttamente dal film di Maté che, come afferma Miller, lo aveva impressionato da piccolo. Il film 300 è letteralmente il testo di Miller (Sin City) trasposto in film, con varianti minime; limitate, sostanzialmente, a quanto riguarda la moglie di Leonida. Perciò, ne riproduce qualità e difetti. Le prime risiedono nella forza espressiva delle immagini, rese in modo meravigliosamente efficace, grazie ai prodigi della tecnica. Per quanto riguarda i difetti, lo spettatore che non conosce il libro, vedrà che (come in quel testo) la narrazione scorre a salti, con personaggi senz’anima. I protagonisti formano una squadra di atleti che esibiscono i muscoli -l’abbigliamento greco si riduce a perizoma e mantello rosso-, uccidono e sono uccisi; la decisione di trasporre il libro 300 in modo letterale deve pagare quindi questo scotto. C’è un settore di pubblico che troverà il film, così com’è, pienamente soddisfacente; altri, invece, rimarranno freddi, seppure ammirati dalla realizzazione. Bisogna avvertire che, per più di un’ora, il film è un massacro, stile Sam Peckinpah. Ci sono un paio di scene erotiche, assenti nel libro. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

Un ponte per Terabithia

21/4/2007. Regista: Gabor Csupo. Sceneggiatura: Jeff Stockwell, David Paterson. Interpreti: Josh Hutcherson, AnnaSophia Robb, Zooey Deschanel, Robert Patrick, Bailee Madisnon. 94 min. USA. 2007. Giovani.

Nata nel 1932, Katherine Paterson è una delle migliori scrittrici statunitensi di letteratura infantile e giovanile. La sua opera più famosa, Un ponte per Terabithia, la scrisse nel 1977 dopo un tragico evento subito da uno dei quattro suoi figli. Il protagonista è Jess, ragazzino dodicenne dotato di grande immaginazione, che avverte la povertà della sua numerosa famiglia -presbiteriani praticanti- e le immancabili prese in giro dei bulli della classe. La sua vita cambia, da quando diventa amico di Leslie, ragazzina colta, divertente, originale, nonché figlia unica di una coppia di scrittori. Entrambi immaginano, in un bosco vicino, tutto un mondo fantastico che chiamano Terabithia. Così affronteranno con nuove risorse le sorprese, non sempre gradevoli, che la vita riserva loro.

Con questo eccellente materiale drammatico -narrato in modo diretto e senza fronzoli- esordisce nel cinema di azione reale Gabor Csupo, prestigioso disegnatore di origine ungherese, responsabile dell’animazione della prima serie de I Simpson, nonché creatore e produttore di due dei migliori serial per bambini degli ultimi decenni: I Rugrats e I Thornberrys. A Csupo, cui rinfacciamo alcune debolezze narrative, rendiamo comunque il dovuto merito per l’impatto visivo del film -tra il realista e il magico- molto ben pianificato. Una lode anche per la padronanza degli effetti tecnici di Weta Digital -sobri ma efficaci-, e soprattutto, per la direzione di attori, sempre rigorosa ed eccellente, in riferimento ai bambini protagonisti: Josh Hutcherson, AnnaSphia Robb e Bailee Madison, attraenti per la straordinaria sincerità.

Sostenuta dalla suggestiva musica di Aaron Zigman e da belle canzoni country, questa formula comporta diversi momenti di grande emotività e drammaticità. La luminosa descrizione dell’amicizia tra Leslie e Jess propone profonde riflessioni sulla morte, il senso del dolore, l’unità familiare, i rapporti genitori-figli, l’educazione in senso integrale e il potere liberatorio dei libri e dell’immaginazione. Tutto ciò allude a una visione cristiana della persona, profondamente spirituale e profondamente umana. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

L'Ultimo inquisitore

21/4/2007. Regista: Milos Forman. Sceneggiatura: Milos Forman, Jean-Claude Carriere. Interpreti: Javier Bardem, Natalie Portman, Stellan Skarsgard, Randy Quaid, Michael Lonsdale. 127 min. Spagna. 2006. Aduli. (VXD)

I problemi di questo film provengono dalla sceneggiatura. Ambientato a Madrid tra il 1792 e il 1820, si centra sul dramma di una giovane modella di Goya, incarcerata ingiustamente per anni dall’Inquisizione. Fin dall’assurdo inizio, il copione reca evidenti segni di scarso rigore storico, nonché di anticlericalismo militante e rozzo, che estenua i profili dei personaggi fino al grottesco, rendendo davvero ridicole alcune situazioni. Come l’arresto della ragazza da parte dell’Inquisizione e l’irreale reazione della famiglia. Questo inquadramento si traduce in sorprendente istrionismo interpretativo, che svaluta gli sforzi di tutti i componenti del pur eccellente cast. Di fatto, si salvano soltanto Natalie Portman e Stellan Skarsgard, che riescono a dare un’anima ai personaggi di Ines e Goya, nonché autenticità allo schietto rapporto che instaurano. Si sarebbe potuto trarre un film di ben altro spessore…

Le possibili riflessioni sulla creatività artistica di Goya scolorano nel caos ideologico della trama, dove alla fine ci si scaglia anche contro l’idealizzato pensiero illuminista, tipico di liberi pensatori e libertini, almeno quando lo si usa contro il popolo sovrano. La cosa sorprendente è che questa confusione si propaga anche alla risoluzione visiva del film. Non pare certo all’altezza dal celebre autore di Ragtime, Amadeus, o Man on the Moon. Il ceco Forman vanifica così anche l’apporto di una squadra tecnica di lusso, trascurando spesso la messa in scena, né riesce a conferire autenticità al generoso lavoro di ambientazione e abbigliamento. Per di più, l’artificioso manierismo ricorda fin troppo da vicino lo stile tipico, da produzione televisiva. Altra opportunità mancata di dare un saggio di buon cinema storico in Spagna. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Sunshine

28/4/2007. Regista: Danny Boyle. Sceneggiatura: Alex Garland. Interpreti: Cillian Murphy, Rose Byrne, Hiroyuki Sanada, Michelle Yeoh, Chris Evans. 98 min. GB. 2007. Giovani. (V)

Il versatile regista britannico Danny Boyle ritorna all’argomento preferito della fantascienza, dopo la brillante esperienza alla regia di Millions. Ma Sunshine non ha la forza di 28 giorni dopo, anche se ne condivide in parte la visione apocalittica e pessimistica. In entrambi i film, c’è lo stesso sceneggiatore: Alex Garland. La trama verte su una navicella spaziale scientifica, in viaggio verso il sole, per fermarne il progressivo raffreddamento mediante una sofisticata bomba. A bordo della nave viaggiano otto persone che dovranno prendere drastiche decisioni, se vogliono impedire l’estinzione del genere umano.

Sunshine denota un approccio iniziale coinvolgente, anche se nel finale si perde in una soluzione scontata. Riferimenti ovvi ad Alien o 2001, Odissea nello spazio, finiscono per menomare il valore del film, arenandolo nelle secche di un dejà vu, privo d’interesse. I dilemmi morali e filosofici che emergono dalla trama non vengono risolti con intelligenza, mentre molti personaggi esigerebbero maggior sviluppo. D’altra parte, malgrado l’indiscutibile stile di Boyle, la linea argomentativa non sempre si percepisce con chiarezza, rivelando alcune carenze. Per di più, i presupposti scientifici di partenza risultano troppo irreali, pur trattandosi di fantascienza.

Comunque, l’inizio risulta molto più solido, coerente e promettente, pieno d’interessanti disegni plastici ed effetti speciali. Include perfino alcune elaborazioni mistiche sulla luce, che degenerano peraltro in impostazioni religiose scontate e superficiali, come quelle rappresentate dall’attore che impersona un folle. In sintesi, una utile esercitazione di stile, che resta peraltro a metà strada, rispetto alle pretese iniziali. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)