Transporter: Extreme (Transporter 2)

3/12/2005. Regia: Louis Leterrier. Sceneggiatura: Luc Besson. Interpreti: Jason Statham, Alessandro Gassman, Amber Valletta, Kate Nauta, Matthew Modine, Jason Flemyng, Keith David. Francia, USA. 2005. 87 min. Adulti (VS)

Luc Besson diresse il suo ultimo film nel 1999, lasciandoci un pessimo ricordo (Giovanna D’Arco, quell’aborto di film interpretato da Milla Jovovich). Nel ruolo invece di produttore e sceneggiatore, questo parigino di 46 anni sembra non fermarsi più; e le cose non gli vanno neanche troppo male. L’ultimo film che lo coinvolge, è il secondo della saga di Trasporter, ancora interpretato da Jason Statham e diretto da Louis Leterrier, di cui rammentiamo l’esordio: quella pellicola molto hard, Danny the dog, anch’essa prodotta da Besson.

Frank Martin, ex membro delle Forze Speciali, fa l’autista privato professionista (transporter). Il suo prestigio è riconosciuto da tutti. Rispetta sempre le consegne ed è discreto, come d’altronde rientra nel suo stile: vestito scuro, camicia bianca, cravatta nera. Quel buono di Frank (dotato di muscoli a profusione) fa ora da autista ad un bambino, perché glielo ha chiesto un amico. Il bambino abita a Miami ed il padre è, niente di meno, che il Capo della Sezione Anti-Droga del governo americano. Frank si affeziona al ragazzino. Potete immaginare che qualcosa dovrà pur accadere, perché Frank cominci a distribuire cazzotti a destra e a manca, nonché guidare a 750 all’ora, transitando per strade, garage, palazzi in costruzione, in una folle corsa ad ostacoli assortiti.

Al primo posto negli Stati Uniti, nel primo week-end di settembre, Transporter: Estreme, pur trattandosi di un film assai convenzionale, ha qualcosa in più. Malgrado un copione così sobrio, perfino nel modo di vestire esibito dalla cattivissima bionda anoressica (sempre inquadrata in biancheria intima, una cosa di un machismo spinto), il film scorre piacevolmente, e riesce a far divertire con le spacconate del protagonista. Ci sono scintille di autentico humour, specie nel caso dello scienziato russo in camice bianco e stella rossa all’occhiello, o il pacco contenente la camicia-cravatta di ricambio, destinata a Transporter. Statham, anche qui simpatico, ha trovato il successo proprio con Besson, che lo valorizzò in Leon, dove ha lavorato nel ruolo di assassino di ghiaccio, dotato però di un codice d’onore, nonché capace perfino di un po’ d’affetto. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Il vento del perdono (An unfinished life)

3/12/2005. Regia: Lasse Hallström. Sceneggiatura: Mark Spragg, Virginia Korus Spragg. Interpreti: Robert Redford, Jennifer Lopez, Morgan Freeman, Becca Gardner, Josh Lucas. USA. 2005.107 min. Giovani. (V)

Spinta da una situazione avversa, una vedova, con figlia di 11 anni, decide di trasferirsi dal suo domicilio, nello Iowa, per tornare al ranch del suocero, in Wyoming. Einar (Robert Redford) abita con Mitch (Morgan Freeman), impiegato ed amico, con cui condivide casa e vita comune. In quel momento, lo sta curando per i postumi di un cruento incontro ravvicinato con un orso. Il rapporto tra nuora e suocero risulta davvero difficile e la nuova situazione riaprirà vecchie ferite, mai cicatrizzate.

Lasse Hallström, regista svedese di 59 anni, residente negli USA dagli inizi degli anni Novanta, si è specializzato in drammi famigliari, ambientanti in luoghi pittoreschi, nonché quasi sempre dotati di un tocco di realismo magico. Ne emerge anche un’inquadratura etica, molto presente ma di basso profilo, in quanto contaminata da pesanti tracce di un’evanescente New Age: molto spazio alla tolleranza, forte tendenza a metter in ridicolo il senso religioso della vita, impostazione edonistica, appelli incessanti a Madre Natura… Questo film girato –seconddo la moda attuale del cinema- in splendidi paesaggi canadesi, con alti e bassi e ed alcune trame troppo schematiche, viene a rinforzare la tesi che Hallström non renda molto, da regista. Con l’aiuto del suo solito e sperimentato team tecnico, riesce comunque a proporci un film solare, esaltato da due grandi attori veterani, molto fotogenici. Il rapporto tra i due amici costituisce la parte migliore di una bella storia, dove fanno capolino alcune piccole ossessioni ricorrenti in Hallström (“siete gay?” -domanda la nipotina al nonno-, affrettandosi ad aggiungere, per un’eventuale via d’uscita a quella domanda imbarazzante, “la mia professoressa di musica è lesbica”). Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Mr. & Mrs. Smith

3/12/2005. Regista: Doug Liman. Sceneggiatura: Simon Kinberg. Interpreti: Brad Pitt, Angelina Jolie, Vince Vaughn, Adam Brody, Kerry Washington, Keith David. USA. 2005. 120 min. Giovani-adulti. (XVD)

Il cinema specializzato in tema di “guerra dei sessi”, con marito e moglie concorrenti tra loro, sul piano professionale, ha propiziato film eccellenti come La costola di Adamo, valida commedia e, al contempo, penetrante analisi del matrimonio. Il film che qui dobbiamo commentare parte bene, ma non si mantiene allo stesso livello. John e Jane Smith sono una coppia in crisi. L’amore di un tempo, nato da un colpo di fulmine, è degenerato in un gelido rapporto, dove non ci si cura più nemmeno delle forme. Il problema sta nella mancanza di fiducia reciproca. Succede che, per i casi della vita, entrambi sono –a loro insaputa- agenti segreti di organizzazioni rivali, protetti dietro l’apparenza di una vita professionale, come tante. Quand’ecco che, in un nuovo caso, ad entrambi viene affidata la stessa missione, così le carte nascoste di ognuno vengono ora allo scoperto.

Se Doug Liman ha già dato buona prova di regista orientato all’azione e all’intrigo in The Bourne identity, adattamento di un popolare romanzo di Robert Ludlum, in questo film è proprio lui a fallire, nell’intento di unire azione, commedia e storia d’amore. Il regista mette l’accento sopratutto sull’aspetto teatrale, propinato secondo cliché ritriti, con interminabili risse tra i “carini” Brad Pitt e Angelina Jolie, capaci di far ancor peggio, rispetto alla coppia protagonista in La Guerra dei Roses. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Qualità tecnica: *. Contenuti: V+, S, X, D (MUNDO CRISTIANO)

Broken flowers

3/12/2005. Regista ed sceneggiatore: Jim Jarmusch. Intérpretes: Bill Murray, Jeffrey Wright, Sharon Stone, Frances Conroy, Jessica Lange, Tilda Swinton, Julie Delpy. 106 min. Adulti. (XD)

Originale rivisitazione, adattata alla nostra epoca, del mito di Don Giovanni. Don Johnson è donnaiolo incallito, che ha ormai toccato fondo, con il suo vizio. Dopo la rottura dell’ultimo flirt, riceve una lettera da parte di una donna che dice di essere stata -parecchio tempo fa- una delle sue fiamme. La mittente, che resta rigorosamente anonima, gli annuncia che il figlio di entrambi, la cui esistenza non aveva mai rivelato, desidera conoscerlo. La notizia lascia impassibile il protagonista, ma l’amico e vicino Winston, detective amateur, gli offre un elenco di donne con le quali ha avuto relazioni in quel periodo, completo dell’attuale domicilio. Incomincia allora il singolare viaggio dell‘eroe, che indugia nell’edonismo di sempre, nell’imborghesimento, nello spiritualismo vuoto e in rapporti estremi: la sua triste realtà.

Con il peculiare stile minimalista e tragicomico, Jim Jarmusch ci dipinge un uomo incapace di amare, che alla fine si vede obbligato a reagire, a realizzare che anche i suoi atti producono conseguenze, come il fatto di avere un figlio: non può certo ora ignorarne l’esistenza, come se non fosse mai esistito. La lettera pervenutagli rappresenta solo un indicatore: è meno rilevante infatti scoprire chi si nasconde dietro all’anonimato, che doversi immergere nello sconcerto vitale della propria esistenza, come vi è costretto ora, il protagonista. Il regista sembra peraltro troppo crudo nell’esibire gli eccessi del protagonista. Bill Murray si rivela perfetto per il tipo di uomo che il regista vuole rappresentare, anche se questo attore rischia di finire, come uno tra tanti, della collezione di personaggi presi in contropiede al momento di esaminare la propria condotta: tali appaiono -di questi tempi- i protagonisti di Lost in Traslation e Life Acquatic. Bill Murray risulta peraltro ben coadiuvato da un eccellente cast di attrici, interpreti dei ruoli secondari. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Harry Potter e il calice di fuoco

19/11/2005. Regia: Mike Newell. Sceneggiatura: Steven Kloves Interpreti: Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Robbie Coltrane, Michael Gambon, Alan Rickman, Ralph Fiennes, Timothy Spall. GB, USA. 157 min. Giovani. (V). Dal 25 novembre nelle sale.

In ogni romanzo della serie, l’autrice della saga -J. K. Rowling- ha progressivamente limato i difetti, reso più agile il ritmo ed incisiva la coerenza del suo universo letterario, acuendo la caratterizzazione conflittuale dei personaggi, capaci ora di maggior densità drammatica ed etica. Tenendo conto di tutto ciò, l’irregolare regista inglese Mike Nowell (Quattro matrimoni e un funerale) ha saputo mantenersi fedele ai testi e far tesoro dell’esperienza dei suoi precursori.

In questa quarta avventura, Harry è invitato dalla famiglia Weasley a vedere insieme la finale di Coppa del Mondo di Quidditch, interrotta da un attacco dei sicari di Lord Voldemort, la cui ombra scura continua ad aleggiare anche sul nuovo corso della Scuola Hogwarts di Magia e Stregoneria. Harry, ormai adolescente, s’innamora ed è selezionato per partecipare al tradizionale Torneo dei Tre Magi.

Newell ci offre un prodotto cinematografico pienamente riuscito, potenziando quel naturalismo realista già inaugurato da Cuarón nel terzo film della serie. Questa scelta –che emerge nella maggiore presenza di paesaggi naturali, nell’abbigliamento e negli atteggiamenti giovanili dei protagonisti- conferisce maggior verosimiglianza alla trama e ai conflitti drammatici che propone, centrati sopratutto sul senso di responsabilità, sull’integrazione sociale e razionale, e sulle prime esperienze sentimentali. Newell mostra le sue doti di regista applicandole ad una tematica che esalta i rapporti interpersonali, senza trascurare il tono fantastico ed spettacolare del film. Per questo, tale prodotto cinematografico raggiunge momenti memorabili grazie ad una pianificazione e ad un montaggio eccellenti; per non paralare del generoso impiego di effetti visivi e sonori di ultima generazione, alcuni -come la lotta contro il drago- semplicemente strabilianti.

Per il resto, il ritmo non decade mai, malgrado la lunga durata della proiezione. Per di più, non ci sono attori che non siano all’altezza: di fatto, i tre giovani protagonisti lavorano anche meglio del solito. La rifinitura visiva e sonora del film è tanto accurata, almeno quanto quella dei suoi precedenti. La fotografia, la direzione artistica, esprimono un livello di assoluta eccellenza. Anche la musica di Patrick Doyle, che ha sostituito John Williams, non è da meno. In conclusione, un’irresistibile proposta per ogni tipologia di pubblico, anche se qualche scena violenta può spaventare i più piccoli. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

La marcia dei pinguini

19/11/2005. Regista: Luc Jacquet. Sceneggiatura: Luc Jacquet, Michel Fessler. Musica: Emilie Simon. Francia. 85 min. Tutti.

Ogni anno, inizia un singolare pellegrinaggio verso l’Antartide. Migliaia di pinguini imperatore, i più grandi esemplari di questa specie, abbandonano la tranquillità degli oceani per raggiungere il cuore del Polo Sud, luogo prestabilito per la riproduzione e per la cura iniziale dei loro piccoli. Le condizioni sono così rigide che nessun altro essere vivente osa abitare queste lande desolate. I pinguini, sempre in gruppo, marciano con decisione attraverso questo difficile paesaggio ghiacciato, opponendosi al più implacabile dei nemici: il gelo.

Il biologo francese Luc Jacquet esordisce, da regista e sceneggiatore, con questo bellissimo documentario di 85 minuti. E lo fa, avvalendosi di qualificate collaborazioni: Buena Vista, Canal + e National Geographic. Il racconto segue un anno della vita di questi pittoreschi animali, affidandone la narrazione ad una coppia di pinguini e al loro piccolo. La realizzazione resta decisamente convenzionale, forse perché la presenza di aerei, elicotteri o veicoli terrestri avrebbe gravemente alterato la migrazione dei pinguini.

Il risultato finale è di buon valore, anche se non raggiunge il livello de Il popolo migratore, forse per la scarsa qualità della sceneggiatura o per la monotonia di vita del pinguino e del paesaggio antartico. Ci sono momenti spettacolari come l’adunata dei pinguini, per proteggersi dal temporale o la ripresa caso dei primi passi delle nuove leve. La musica è discreta: meritano apprezzamento un paio di ballate; una di queste, firmata dall’islandese Bjork.

Il film è apparso nelle sale degli States con la voce di uno dei narratori più popolari, Morgan Freeman (in Italia la voce è di Fiorello), ottenendo buoni incassi (16 milioni di dollari), a conferma della vitalità del cinema francese specializzato sul tema del documentario naturalistico. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti:- (ACEPRENSA)

I fratelli Grimm e l'incantevole strega

19/11/2005. Regia: Terry Gilliam. Sceneggiatura: Ehren Kruger. Interpreti: Matt Damon, Heath Ledger, Peter Stormare, Lena Headey, Jonathan Pryce, Monica Bellucci. USA, Chequia.115 min. Giovani-adulti (VSD)

Artefice di film di grande fantasia ed impatto visivo (come Brazil, L’esercito delle dodici scimmie), Gilliam dirige con maestria questa riproposizione del fiabesco mondo dei fratelli Grimm. Sentendosi molto più a suo agio nel paradiso straordinario delle favole, Gilliam racconta una storia, in parte romanzata e in parte reale. Jacob e Will Grimm viaggiano per paesi e città, prendendosi gioco dell’ingenuità della gente. Si guadagnano infatti da vivere, sconfiggendo mostri e streghe, puri prodotti della loro fantasia. Ma presto saranno scoperti dall’esercito di Napoleone e dovranno lottare contro una maledizione autentica, caduta su un paese chiamato Marbaden. Nelle avventure che si susseguono compaiono diversi personaggi delle loro fiabe più note: Capuccetto rosso, Hansel e Gretel, ecc.

Il film riesce a combinare il realismo di avventure alla fantasia più terrificante, ottenendo di coinvolgere -nella storia di Jacob e Will- anche lo spettatore. All’improvviso ci si sente immersi nella trama ed i 115 minuti di durata del film passano quasi senza rendersene conto.

Il disegno di produzione raggiunge un livello assai elevato al momento di delineare quel mondo magico, che si alterna al mondo reale storico dell’Ottocento. Il film, anche se non racconta la vita reale dei fratelli Grimm (ma non è questo il suo fine) vuole però rispettarne lo spirito e, al contempo, renderli protagonisti di quel racconto. Ci riesce in gran parte, grazie ad un copione ben realizzato, a grandi interpreti e all’evidente intenzione di render omaggio non soltanto all'immaginazione, ma anche al lato un po’ macabro, caratteristico dell’opera dei Grimm. Su questo peraltro, Gilliam calca troppo la mano, senza che ce ne fosse davvero bisogno. Se è vero poi che nell'opera dei Grimm ci sono valori morali indubbi (l’audacia, il bene arduo, la fraternità), lo sfondo cristiano dei Grimm è però qui sostituito da una bonomia razionalista, con alcune battute derisorie del sentimento religioso, proprie di un’ideologia laicista. Sofía López. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S, D. (ACEPRENSA)

Oliver Twist


19/11/2005. Regia:Roman Polansky. Sceneggiatura: Ronald Harwood. Interpreti: Ben Kingsley, Barney Clarc, Jamie Foreman, Leanne Rowe, Jamie Foreman.130 min.Gran Bretagna/ Cechia/ Francia/ Italia 2005. Pre adolescenti.

Oliver Twist (Barny Clarc) riesce a fuggire dall' orfanotrofio dove subiva solo angherie e a raggiungere Londra dopo una settimana di cammino. Affamato e senza un soldo, finisce per unirsi a una banda di ladruncoli capeggiati da un torvo ebreo di nome Fagin (Ben Kingsley). L'accoglienza che il ragazzo riesce ad avere dal ricco e generoso sig. Brownlow fa credere a Oliver che i tempi peggiori sono passati, ma Fagin lo sta cercando per riprenderlo con se....

Di Oliver Twist si contano almeno altri due film in versione italiana (in quella inglese almeno 219). Il primo, Le avventure di Oliver Twist del 1948 è di David Lean, mentre il secondo, di Clive Donner è dell' '82. Molti di più i remake de i Miserabili (almeno otto versioni), per citare un'altro famosissimo romanzo ottocentesco. E' naturale che quando si tratta di classici di ogni tempo, si cerchi di riproporli periodicamente alle nuove generazioni.

L' ultimo lavoro di Polansky (premio Oscar per Il pianista) va pertanto analizzato in due modi: come può apparire ad un giovane che scopre questo racconto per la prima volta e come possono giudicarlo gli adulti, quelli che hanno potuto vedere, magari alla televisione, la precedente edizione del '48 e che forse hanno letto il libro. Il film ci appare di grande qualità da un punto di vista scenografico, fotografico e dei costumi: la ricostruzione (a Praga) di Londra all'inizio ottocento è di grande effetto: gli squallidi viottoli di Jacob's Island popolati di straccioni, mendicanti e baby prostitute; gli opifici sul porto, primi segni di una industrializzazione vivace ma non ancora massificata o King Street, affollata di carrozze dei benestanti mentre una massa informe di povera gente si accalca sugli stretti marciapiedi.

Vera opera di maestria è la sequenza notturna dove la fioca luce dei lampioni stradali lascia intravedere nella fitta nebbia il profilo incappottato di due loschi figuri che trascinano con se il piccolo Oliver così come è indimenticabile la grande sala della una working house dove centinaia di bambini, pigiati uno contro l'altro per il poco spazio, cercano di confezionare della stoppa. La polemica di Dickens contro le teorie maltusiane molto diffuse all'epoca (tenere la massa crescente dei poveri sotto rigida disciplina e sempre affamata, quindi debole) trova nella versione di Polansky una vivida rappresentazione.

Per merito della magia narrativa di Dickens emergono anche questa volta come indimenticabili i protagonisti della storia, sopratutto quelli cattivi: Fagin, il curvo e torvo ebreo, Bill Sykes, il violento e irascibile scassinatore e la dolce Nancy. Merito invece di Polansky aver reso cinematograficamente i personaggi dickensiani come lo scrittore li aveva concepiti: non delle rappresentazioni realiste di persone in carne ed ossa, ma dei tipi, delle categorie comportamentali. Esemplare a questo riguardo la sequenza della lunga camminata in fuga per la campagna del torvo Sykes dopo aver commesso un atroce delitto: il mantello lungo fino a terra, la bombetta calata sulla fronte, lo sguardo rivolto in basso, accompagnato da un onnipresente cagnone bianco, simbolo inquietante di una forza bruta (nel film di Lean era un innocuo bastardino bianco e nero). Non stiamo vedendo quel preciso signor Sykes: stiamo ricevendo la rappresentazione della "figura" del cattivo.

Il film ripercorre fedelmente la storia pubblicata da Dikens nel biennio 1837-38 su di una rivista mensile con alcune giustificate eccezioni (la versione del '48 era molto più aderente all'originale): manca la sequenza iniziale della morte della madre e conseguentemente la conclusione con la scoperta delle nobili origini del ragazzo. Scelta saggia, dal momento che oggi non è più necessario forzare un lieto fine che riporti il ragazzo al suo "giusto rango". Infine una originale costruzione del personaggio Fagin (Ben Kingsley), figura di cattivo volutamente complessa che lascia intravedere anche barlumi di bontà. Un discorso a parte merita la scelta, a nostro giudizio infelice, dell'attore che impersona Oliver Twist (Barny Clarc): fisicamente centrato, con la sua aria dolce e remissiva, ma con una espressività da pinocchio di legno: per sapere se sta piangendo o se fa il serio bisogna concentrarsi sui dettagli per controllare se c'è una lacrima che gli sta scorrendo sul viso .

Complessivamente la trasposizione del romanzo in pellicola é risultata oltremodo professionale ma impersonale. Roman Polansky, tre premi oscar per Il pianista nel 2003, questa volta non ci ha messo del suo: sembra aver compiuto un serio studio filologico sull'Inghilterra dell'ottocento e il mondo di Dickens, più che una trasfigurazione artistica. Fatte questi dovuti rilievi,il film è senz'altro consigliabile alle nuove generazioni di ragazzi: come argutamente ha sottolineato Natalia Aspesi su la Repubblica: "Film troppo colto e crudele per i bambini di oggi, potrebbe essere usato come punizione esemplare ogni volta che uno di loro fa scenate ai genitori tremanti, per ottenere da loro l’ennesimo telefonino o i jeans firmati o qualunque altra scemenza i tempi bestiali li obbligano a desiderare". Franco Olearo. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: Il riscatto/sacrificio di una donna, la bontà di un gentiluomo verso un bambino povero e orfano.

Pubblico: Pre- Adolescenti. Per alcune scene impressionanti.

Giudizio tecnico: *** . Riproduzione fedele e curata dello spirito del grande romanzo, ma sembra un saggio d'accademia diligente ma poco inspirato.

Flightplan - Mistero in volo

5/11/2005. Regia: Robert Schwentke. Sceneggiatura: Peter A. Bowling, Billy Ray. Interpreti: Jodie Foster, Peter Sarsgaard, Sean Bean, Erika Christensen, Kate Beahan, Marlene Lawston. USA. 98 min. Giovani. (V).

Una donna, da poco divenuta vedova in circostanze drammatiche, viaggia da Berlino a New York per seppellire il marito ed iniziare una nuova vita. La accompagna la figlia di 6 anni. Ma la bambina sparisce in pieno volo… Tutto sembra indicare che la madre risulti vittima di disturbo mentale, perché nessuno ha visto la bambina; ma il comandante dell’aereo ed il responsabile della sicurezza danno credito alla sua angoscia materna.

In questo potente thriller psicologico, il tedesco Robert Schwentke (Tattoo) si è avvalso di uno splendido cast e di una curatissima scenografia (ivi incluse musiche e fotografia), che miscela elementi usati in altri film recenti come I dimenticati e Panic Room. La Foster, splendida nella sua maturità, offre un’ennesima dimostrazione di grandissimo talento, agevolata dalla recita di due altri eccellenti attori, Sean Bean e Peter Sarsgaard. Uno degli scritturisti del copione, Ray, (Sotto corte marziale- Hart’s war) è da poco passato alla regia con L’inventore di favole, il film sul giornalista che s’inventava i reportage.

Il progetto di produzione del film è così minuzioso da facilitare il coinvolgimento in un evento apparentemente inverosimile, pervaso da un crescente clima di oppressione. La pianificazione, le luci, la cura della scenografia esaltano l’atmosfera inquietante di un film dal copione molto elaborato che, come in tutti quelli di questo genere “a puzzle” (il più recente è Cellular), risulterebbe incapace di reggere, senza validi attori ed effetti tecnici riusciti. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

The legend of Zorro

5/11/2005. Regista: Martin Campbell. Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman. Interpreti: Antonio Banderas, Catherine Zeta-Jones, Adrián Alonso, Rufus Sewell, Nick Chinlund, Raúl Méndez, Pedro Armendáriz Jr. USA.108 min. Giovani (VS).

In mezzo ad un complotto destinato ad impedire che la California sia assorbita dagli Stati Uniti (chiara allusione all’11 settembre), Zorro -don Alejandro-, la moglie e il figlio, attraversano diverse crisi famigliari. Elena vuole che Zorro scompaia una volta per tutte ed anche Alejandro desidera diventare un marito e padre normale, sebbene ancora non riesca a mandare in pensione l’eroe che impersona. Il figlio Joaquín, di 10 anni, che non conosce questo doppio ruolo, disprezza il padre, che per lui è solo il codardo don Alejandro, mentre si esalta per il giustiziere mascherato. In piena bagarre matrimoniale subentra un nobile francese, vecchio amico di Elena, che le offre sostegno e consolazione…

Campbell, responsabile de La maschera di Zorro, supera qui sé stesso, e lo fa senza mai dimenticare che sta raccontando una commedia di avventure, di cappa e spada. Così, davanti alla cinepresa, alterna a scene di duello, dipinte però sempre in modo incruento, le piroette ed i salti prodigiosi di Zorro, nonché i frizzanti attriti coniugali. Niente che sia fuori dal cliché, ma con la capacità di stupire lo stesso: finanche il piccolo Joaquín appare un portento di faccia tosta e simpatia. Non ci sono sorprese, soltanto azione, ma anche -sulla linea degli ultimi film interpretati da Banderas- una decisa presa di posizione a favore della famiglia. Fernando Gil- Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Valiant

5/11/2005. Regia: Gary Chapman. Sceneggiatura: Jordan Katz, George Webster, George Melrod. Colonna sonora: George Fenton. Animazione. GB. 109 min. Tutti. (V)

L’azione di questo film animato digitale, è una parodia di alcuni episodi della II Guerra Mondiale: mentre i falchi del III Reich regnano sovrani nei cieli, il Royal Air Force Pigeon Service (il servizio di piccioni viaggiatori della RAF) serve la causa alleata, portando messaggi vitali sui movimenti del nemico, attraverso il Canale della Manica. I falchi tedeschi producono stragi tra le file dei coraggiosi messaggeri, ma la propaganda incoraggia giovani aspiranti “piccioni viaggiatori” ad arruolarsi per condividere le avventure dei nuovi eroi dell’aria. Valiant, “piccioncino” di campagna, va a Londra per arruolarsi.

Il primo contributo significativo della Gran Bretagna all’industria dell’animazione digitale preferisce evitare i rischi iniziali della sperimentazione. Perciò sceglie il tema, già noto al grande schermo, della battaglia d’Inghilterra. La semplice storia ricalca canoni classici: il giovane e piccolo eroe supera tutti gli ostacoli grazie alla bravura tecnica e ad amici che oggi si qualificherebbero come “politicamente scorretti”. Il risultato è positivo, anche se non eccellente: l’animazione, senza eccessi, resta valida e competitiva, ma manca al copione una scintilla di genialità. Inoltre, gli autori si limitano alla sola vis comica per sostenere la trama del film, ricorrendo spesso a gag verbali peraltro penalizzate dalla traduzione. A ciò si aggiunge che se la scelta dei personaggi (i piccioni) è coraggiosa, non risulta però abbastanza attraente. Anche se la RAF è nata per volare, i personaggi più deliziosi del film sono i due topolini francesi. Come film famigliare è dunque degno e gradevole, ma privo di spessore. Fernando Gil- Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: V. (ACEPRENSA)

La sposa cadavere

5/11/2005. Regia: Tim Burton e Mike Johnson. Sceneggiatura: Caroline Thompson, John August e Pamela Pettler. Voci originali: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Emily Watson, Tracey Ullman, Paul Whitehouse, Joanna Lumley, Albert Finney, Richard E. Grant, Christopher Lee. USA. 76 min. Giovani.

Quasi immediatamente dopo Charlie e la fabbrica di cioccolato, Tim Burton ci regala un nuovo film di animazione, con la tecnica di stop-motion –pupazzi mossi fotogramma a fotogramma, fotografati digitalmente in scenografie appositamente allestite, e con materiale trattato poi al computer- già sperimentata in Vincent (1982) e in Tim Burton’s Nightmare Bifore Chrismas (1993).

La sposa cadavere è film pienamente coerente con il corpus burtoniano, che ci ripropone creature tristi e derelitte, sole contro il mondo, assorbite da una romantica ed inesausta ricerca della felicità. Rifacendosi ad antiche leggende popolari russe, il copione di Caroline Thompson, John August e Pamela Pettler prende le mosse dai preparativi di matrimonio tra Victor e Victoria. Lui è il rampollo di una famiglia di nuovi ricchi. Lei proviene da una famiglia anch’essa agiata, però caduta in disgrazia, che a malapena tollera le nozze: consentite soltanto per evitare la rovina. Contro ogni pronostico i due giovani s’innamorano, ma il timido Victor in una prova del matrimonio recita in modo maldestro la formula delle promesse. Perciò, per allenarsi, si reca solitario in un bosco, non rendendosi conto di pronunciare le fatidiche promesse nel luogo dove è sepolto il cadavere di una donna, che da quel momento si considera la sposa di Victor. Non sarà facile sistemare il disguido.

Con i film animati già citati, questo prodotto presenta numerose affinità. Ad esempio, il disegno dei personaggi, che risulta attraente e inquietante al contempo, nonché il ritmo agilissimo e lo stupendo senso dello humour; per non parlare della musica e delle canzoni ispirate. Stupendo il duetto al piano di Victor con la sposa cadavere, come pure la danza macabra che riecheggia quella più celebre, nel film Fantasia di Walt Disney. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: - (ACEPRENSA)

The interpreter

5/11/2005. Regia: Sydney Pollack. Sceneggiatura: Charles Randolph, Scott Frank e Steven Zaillian, da una storai di Martin Stellman e Brian Ward. Interpreti: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener, Jesper Christensen, Yvan Attal, Earl Cameron, George Harris, Michael Wright. USA. 128 min. Giovani.

Dopo un lasso di tempo di sei anni, Il veterano Sidney Pollack torna alla regia con un thriller ispirato a I tre giorni del condor, di cui ricorre il trentennale. Il punto di partenza può sembrare più o meno convenzionale: una donna -traduttrice alle Nazione Unite- da una conversazione ascoltata per caso, viene a conoscenza di un complotto per uccidere il presidente di un immaginario paese africano. Uno degli agenti incaricati della sicurezza all’ONU dubita della veridicità della storia, a maggior ragione quando scopre che la donna si trova emotivamente implicata nella tragedia di quel paese, gravato da un’intollerabile tirannia.

A parte il fatto aneddotico di trovarsi di fronte alla prima fiction girata all’ONU –che non riuscì nemmeno ad Hitchcock, per Intrigo internazionale-, ci troviamo di fronte ad un film girato con mestiere, il cui copione è stato elaborato da professionisti eccellenti. La spettacolare produzione, nonché un paio di attori del valore di Nicole Kidman e Sean Penn sono alla base di un degno prodotto di studio cinematografico, uno di quei film da intrattenimento che Hollywood dovrebbe offrire più spesso. Ci sono momenti di tensione resi magistralmente (come l’inseguimento incrociato di due perone, che culmina in un autobus), ma anche una visione un po’ limitata dei problemi che assediano l’Africa. Non era forse compito del film addentrarsi nella complessa situazione politica di questo continente, ma il disegno del presidente e dei suoi oppositori non poteva risultare più convenzionale. Purtroppo c’è una breve scena in un locale a luce rosse, che risulta concessione di dubbio gusto, totalmente superflua ed estranea al film. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: X. Qualità tecnica: *** (Mundo Cristiano)

Quel mostro di suocera

22/10/2005. Regia: Robert Luketic. Sceneggiatura: Anya Kochoff. Interpreti: Jennifer Lopez, Jane Fonda, Michael Vartan, Wanda Sukes, Adam Scott. USA. 2005. 101 min. Giovani-adulti (SD).

Charlotte, una laureata in storia dell’arte che si guadagna da vivere a Venice (California) come centralinista e portando i cani altrui a passeggio, dietro compenso, crede di aver trovato infine l’uomo della sua vita, un chirurgo. Ma dovrà guadagnarsi Viola, l’eccentrica madre del suo principe azzurro, nonché stella della tv in declino.

Ennesima commedia romantica generazionale, molto di moda in una Hollywood sempre avida di formule che fanno incasso. In questo caso, lo spunto viene attinto da due dozzinali film di Jay Roach (Ti presento i miei, Mi presenti i tuoi?) con Ben Stiller e Robert de Niro, nei panni dei protagonisti. In questo sottogenere, la trama ruota sull’incontro casuale di persone molte diverse (una disinvolta ispanica trentenne, da una parte, ed una altezzosa “wasp” settantenne, dall’altra), in occasione di imminenti nozze che imporrà loro il parentado politico.

Le istrioniche interpretazioni delle rivali, Jane Fonda (un ritorno al cinema, dopo 15 anni) e Jennifer López, sono efficaci, grazie anche alla fotografia di Russell Carpenter (Titanic), che cerca di esaltarne la recitazione. Ma il copione è privo di scintilla creativa, scadendo ad un cliché davvero povero. Come abituale, in questo tipo di commedie, al messaggio finale, che dà valore al matrimonio e alla famiglia, si arriva per sentieri di frivolezza, dove tutto sembra lecito, pur di intrattenere e far ridere: diventa noioso lo stereotipo dell’immancabile vicino di casa, nonché consigliere gay, per non parlare del solito ricorso a dialoghi triviali. Sofía López. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Four brothers


22/10/2005. Regista: John Singleton. Sceneggiatura: David Elliot e Paul Lovett. Interpreti: Mark Whalberg, Tyrese Gibson, André Benjamin, Garrett Hedlund. USA. 2005. 109 min. Adulti. (VXS)

I figli adottivi di una brava signora di Detroit tornano a casa dopo l’assassinio della madre. Il californiano John Singleton (Shaft, 2 Fast 2 Furious) non si allontana un millimetro dal suo stile e, forse per questo, sorprende che l’erratico Festival di Venezia abbia accolto la première mondiale di questo film, -sfacciatamente commerciale- nella sua gratuita brutalità, talvolta camuffato da cinema di famiglia e sentimento. Con totale leggerezza si cerca di ottimizzare una trama, da spacciare come “film di rottura”: quella di due negri e due bianchi, affratellati nei loro propositi di vendetta. È una pena vedere magnifici attori, impegnati in una storia così mediocre, nonché la ancora più penosa immagine -che ne viene offerta- degli Stati Uniti. I rapporti di Hollywood con la vendetta sono da trattamento psichiatrico. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, S (ACEPRENSA)

Paradise now

22/10/2005. Regia: Hany Abu-Assad. Sceneggiatura: Hany Abu-Assad, Bero Beyer e Pierre Hodgson. Interpreti: Kais Nashef, Ali Suliman, Lubna Azabal, Amer Hlehel, Hiam Abbass, Ashraf Barhoum, Mohammad Bustami, Mohammad Kosa, Ahmad Fares, Oliver Meidinger. Francia, Germania, Israele. 2005. 90 min. Giovani. (VD)

Due giovani volontari, Said e Khaled, preparano in territorio palestinese un attentato suicida, da realizzare in Israele. La fidanzata di uno di loro, figlia di un eroe della resistenza, cerca di dissuaderli.

Si tratta di un’interessante introspezione nel mondo personale di un palestinese suicida. Il puro terrorismo di matrice marxista si mescola a confuse promesse religiose, che i protagonisti non riescono a far proprie sul serio, nonché a mistificazioni borghesi di certi radicali libertari. Il film –di nazionalità palestinese, olandese, francese e tedesca- propugna la cessazione della violenza palestinese, come possibile fonte di una diversa politica israeliana. La messa in scena appare semplice -non per questo meno efficace- in un film fatto per lo più da personaggi che parlano poco, ma esprimono molto. La donna palestinese appare l’autentica vittima silenziosa di quello che succede ed è proprio il suo personaggio ad incarnare l’alternativa più umana. È stato il film che ha provocato le reazioni più diverse, all’ultimo Festival di Berlino. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D. (ACEPRENSA)

La tigre e la neve

22/10/2005. Regia:Roberto Benigni. Sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami. Interpreti: Roberto Benigni, Jean Reno, Nicoletta Braschi . Italia 2005. 118 min. Tutti.

Attilio (Roberto Benigni) è un poeta; insegna all'università e ha un sogno ricorrente: sposarsi con Vittoria (Nicoletta Braschi) , la donna che ama anche se non corrisposto. Vittoria va in Irak ( la seconda Guerra del Golfo è alle porte) per intervistare Fuad (Jean Reno),un famoso poeta . Quando Attilio viene a sapere che lei si trova in un ospedale di Bagdad gravemente ferita, riesce a raggiungerla superando mille difficoltà e a trovare le medicine che consentiranno di farla uscire dal coma. Ma sul più bello Attilio viene imprigionato per errore dagli americani e Vittoria non sa chi è stato il suo salvatore....

Roberto Benigni, è stato osservato da più critici, assomiglia sempre di più al grande Charlie Chaplin. Gli assomiglia per via di quel personaggio un po' clownesco dalla strana andatura e i vestiti fuori misura, gli assomiglia per la capacità di mescolare la comicità con il dramma. Ma le assonanze finiscono qui. Charlot è un vagabondo che vive ai bordi della legalità in una società affarista ed egoista, di cui ne critica debolezze e iniquità. L'Attilio-Benigni non polemizza invece con nessuno ma si trova anch'esso fuori della società e della logica del mondo, semplicemente perché è un poeta e crede nell'amore. Mai come nei film precedenti, Benigni utilizza la maschera del comico per trasmettere un messaggio così esplicito. In questa prospettiva La vita è bella (1997, tre premi Oscar nel 1999) ci appare quasi una prova generale di come una tragedia di portata universale (il genocidio degli ebrei) possa semplicemente venir stravolta, quasi sminuita se vista da una prospettiva superiore, il quel caso la bellezza della vita. Ma se ne la vita è bella il gioco poteva essere più facile perché i giudizi su quel periodo storico sono ormai consolidati, qui Benigni ha osato di più, infilandosi in mezzo alle polemiche ancora calde sulla guerra in Irak per trasfigurarla, questa volta in nome dell'amore e della poesia (tanti secoli fa, un altro personaggio, S. Francesco, aveva fatto lo stesso percorso verso l'oriente per farsi ricevere dal terribile Saladino, con nessuna altra arma che la Buona Novella...).Il suo atteggiamento è chiaramente pacifista (bellissimo il colloquio fra Attilio e il poeta Fuad davanti alla volta stellata di Bagdad che "perfino Allah scende talvolta sulla terra per poterla contemplare dal basso", ora sconvolta dalle scie dei razzi e delle bombe) ma è un pacifismo che non genera rancori verso nessuno: irakeni e americani ci appaiono nella loro tranquilla umanità, a volte spaventati, sempre gentili con gli altri, mai in preda all'odio o a spirito di vendetta.

L'amore di Attilio per Vittoria costituisce la sua energia vitale, la sua ragion d'essere come uomo e poeta. Di fronte a una situazione di coma che appare irreversibile in un ospedale senza più medicine, Attilio semplicemente ignora la realtà per come appare, la vede come la vede la sua speranza e tenta tutto ciò che c'è da tentare; perché senza di lei niente avrebbe più senso. Come non avrebbe più senso "tutta questa messa in scena del mondo che gira; portate via tutto, schiodate tutto, arrotolate il cielo, caricatelo su un camion con rimorchio. Spegnete la luce bellissima del sole, che mi piace tanto. Sai perché mi piace tanto? Perché mi piace lei illuminata dalla luce del sole. Portate via l'aria, la sabbia, il vento, i cocomeri che maturano al sole, la grandine, il pomeriggio, maggio, giugno, luglio, il basilico, il mare, le zucchine...".
Quando il dottore irakeno gli conferma che tutto ciò che era umanamente fattibile è stato fatto per salvare Vittoria e che non resta che altro che pregare Allah, Attilio si inginocchia, chiede scusa ad Allah di saper parlare solo italiano, di conoscere solo il Padre Nostro e si mette a recitarlo lì, accanto al letto di Vittoria. Solo Benigni poteva cinematograficamente sintetizzare, senza che per questo gli possano venir attribuiti messaggi di sincretismo che non ci sono, la necessità della preghiera, l'esistenza di un Dio che unisce tutti gli uomini e che supera i conflitti religiosi.

Un'altro messaggio universale che l'autore ci vuole trasmettere è quello della bellezza della poesia, che per lui è un modo di trasfigurare la realtà in base a ciò che si sente dentro: "Innamoratevi, sperperate allegria, trasmettete felicità" - dice ai suoi studenti. In un scena ad alta intensità drammatica Attilio viene fermato a un posto di blocco americano perché sospettato di trasportare esplosivi. Tutta la tensione si scioglie quando lui dichiara di essere un poeta, semplicemente un poeta in mezzo a una guerra. Anche gli animali rivestono un ruolo significativo nel film (un pipistrello, un cammello, una tigre, un canguro, due uccellini) ed anche nei loro confronti il linguaggio della poesia sembra avere la sua efficacia (si tratta di un altro riferimento a S. Francesco, neanche troppo implicito).

Il film, c'era da aspettarselo, è sorretto interamente da Benigni e Nicoletta Braschi, forse in modo maggiore che nel passato, appare come sua semplice spalla. Ci sono alcune lentezze nella parte centrale (alcune scene ripetute nell'ospedale irakeno), per fortuna interrotte dai repentini guizzi del nostro clown. Le scenografie sono in parte realistiche e in parte chiaramente ricostruite in studio, molto felliniane con la loro luna dipinta sullo sfondo, ma se Fellini cercava di ricostruire un'atmosfera onirica, qui Benigni ha sopratutto un messaggio da trasmettere e lo trasmette forte e chiaro. Franco Olearo. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: Benigni ci insegna la "follia dell'amore" che supera ogni ostacolo, che alimenta la speranza oltre ogni speranza, che rende teneri i cuori più induriti

Si suggerisce ai genitori la visione a partire da: Tutti

Giudizio tecnico: *** Sceneggiatura incalzante e piena di poesia. La regia, semplice e discreta, si concentra sopratutto sul personaggio di Attilio e mostra alcune lentezze nella parte centrale.

La fabbrica di cioccolato

1/10/2005. Regia: Tim Burton. Sceneggiatura: John August (dal romanzo di Roald Dahl). Interpreti: Johnny Depp, Freddie Highmore, David Kelly, Helena Bonham Carter, Noah Taylor, Missi Pyle. USA, UK, Australia. 2005. 115 min. Giovani.

C’è chi dice che si può giudicare un film dalle battute iniziali, dai primi venti minuti. Se questa affermazione –molto discutibile- fosse vera, la versione realizzata da Tim Burton (Il mistero di Sleepy Hollow, Ed Wood) del classico per l’infanzia di Roal Dahl, dovrebbe risultare quasi un capolavoro. Infatti, l’inizio è magnifico: dai primi secondi, in cui i titoli emergono da certe macchine minacciose che fabbricano cioccolatini, fino alle prime immagini della famiglia, povera ma incantevole, di Charlie. Anche se si tratta di adattare una favola, Burton riesce a coinvolgere lo spettatore, suscitando -insisto, questione di minuti- molti sentimenti: tensione e inquietudine per la ricerca del desiderato biglietto dorato, emozione davanti alla generosità e all’affetto della famiglia Bucket, nonché divertimento, non esente da qualche sfumatura di amara ironia, nella presentazione dei patetici bambini che accompagnano Charlie alla visita della fabbrica. Il film raggiunge il suo maggior impatto visivo, poco dopo: con l’ingresso nel territorio di Willy Wonka. Burton riesce a non deludere le immaginazioni più fervide, grazie a spettacolari scenografie fatte a mano che ricostruiscono la fantastica fabbrica di cioccolata.

È difficile mantenere tale livello di eccellenza troppo a lungo, e dopo questo promettente inizio, il film perde un po’ di slancio. La narrazione si fa più lenta e un po’ ripetitiva. Le successive squalifiche seguono lo stesso schema e sarebbe stato gradito se qualche bambino fosse stato espulso senza canzonetta. Una volta terminata la perlustrazione della fabbrica, il film riguadagna decisamente quota recuperando il livello iniziale. Per tutto il film, recita con vivacità un cast ben azzeccato, specie grazie a Depp e Highmore (Neverland-Un sogno per la vita).

Malgrado i limiti del film, che non arriva ad essere così ben rifinito come Big Fish, non c’è dubbio che il carismatico Burton era la persona giusta per adattare la favola di Dahl. Infatti, quale ammiratore dello scrittore, non è la prima volta che Burton trae spunto dalla sua opera. Da produttore, ne aveva già adattato il racconto: James e la pesca gigante.

Forse per questa sintonia con Dahl, Burton ha saputo cogliere in modo fedele lo spirito originario e, al contempo, ha saputo aggiungervi alcune caratteristiche tipiche del suo cinema –fantasia, ironia, tenerezza verso i personaggi ed una certa propensione all’assurdo- con tale naturalezza, che ci sono momenti in cui si esita, se attribuirne il merito al romanzo, o invece al copione cinematografico. Per di più, quando uno rilegge il racconto, nota con stupore due innovazioni apportate dal film, che da un parte si inventa un passato per il papà di Willy Wonka e, dall’altra, introduce un discorso di Charlie a difesa dell’unità della famiglia, ben al di sopra di qualsiasi valore venale. Sono due pennellate d’artista, molto vincolate alla biografia di Burton che, invece di diluire il messaggio del racconto, vi aggiunge forza: è un classico esempio di quanto vale un buon adattamento. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Vita da strega

1/10/2005. Regista: Nora Ephron. Sceneggiatura: Delia e Nora Ephron. Interpreti: Nicole Kidman, Will Ferrell, Shirley MacLaine, Michael Caine, Jason Schwartzman, Kristin Chenoweth, Heather Burns. USA. 2005. 102 min. Giovani. (SDF)

I telefilm sono diventati così influenti da rappresentare un punto di riferimento per trarvi varie biografie, ritratti convenzionali e film. Cosi avviene anche, ma senza successo, per Vita da strega, in cui le sorelle Nora e Delia Ephron fanno rivivere -al giorno d’oggi- il popolare telefilm degli anni Sessanta, creato da Sol Saks.

Un’emittente televisiva che si accinge a realizzare una nuova versione del telefilm, contratta a capo del programma Jack, celebre attore ormai in declino. Insicuro e vanitoso, Jack si dà da fare perché la parte della protagonista sia affidata ad una sconosciuta, incapace di eclissarlo. Ed è cosi, che selezionano Isabel, ragazza apparentemente ingenua, ma in realtà un’autentica strega, incline a rinunciare alla magia, pur di rifarsi una vita da donna normale.

L’impostazione del copione sembra sufficientemente coinvolgente. Altrettanto dicasi per un cast di alto livello ed una regista-sceneggiatrice efficace, responsabile di aver portato sullo schermo belle commedie romantiche come Insonnia d’amore e C’è post@ per te. Il risultato invece è mediocre: da addebitarsi ad un copione rudimentale, alle volte pure grossolano, che termina in una soluzione pasticciata. Questi difetti risultano ancora più calcati dal comico Will Ferrell, autore di un’interpretazione istrionica, che indebolisce l’eccellente lavoro del resto del cast. Penalizza soprattutto Nicole Kidman, sensazionale anche come attrice da commedia. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S, D, F. (ACEPRENSA)

Dear Wendy

1/10/2005. Regia: Thomas Vinterberg. Sceneggiatura: Lars Von Trier. Interpreti: Jamie Bell, Bill Pullman, Michael Angarano, Danso Gordon, Novella Nelson, Chris Owen, Alison Pill. Dinamarca, Francia, Germania, UK. 2005. 101 min. Adulti. (VD)

Le radici della violenza negli Stati Uniti sono state esplorate, con alterno esito, da registi quali: Quentin Tarantino (Pulp Fiction), Oliver Stone (Assassini nati), Martin Scorsese (Gangs of New York), Michael Moore (Bowling for Colombine) Lars Von Trier (Dancer in the dark, Dogville, Manderlay).

L’insistenza di quest’ultimo sul tema, ha coinvolto anche il regista danese Thomas Vinterberg, autore di Festen (Festa in famiglia), uno dei film più duri del gruppo Dogma 95 (che i creatori hanno dato per finito), ma anche capace di raccogliere i maggior consensi.

Dear Wendy racconta la storia di Dick, giovane introverso che vive a Estherslope, nel sud degli Stati Uniti. Un giorno trova una piccola rivoltella, cui affibbia il nome Wendy, per la quale sente un fascino sempre più malsano. Organizza poi, con altri ragazzi e ragazze un po’ particolari, un club segreto che tenta di coniugare pacifismo e passione per la armi di fuoco. Ma tale utopica pretesa si scontra con le debolezze di ciascuno e le inerzie della decadente società.

Talvolta, sembra affiorare la riflessione morale sulla relazione tra violenza, immaturità e basse passioni. Ma si sviluppa in una storia portata ad un tale estremo, che la mania per le armi trascende in ossessione paranoica ed erotica. Tale impostazione, pregna di radicale fatalismo, rende la storia estranea allo spettatore, e gli artificiosi conflitti dei personaggi fanno da pretesto, per meglio sconvolgerlo nelle violentissime scene finali. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, D. (ACEPRENSA)

Good night, and good luck

1/10/2005. Regia: George Clooney. Sceneggiatura: George Clooney e Grant Heslov. Interpreti: David Strathairn, George Clloney, Jeff Daniels, Frank Langella. Usa. 2005. Durata: 90'. Genere: Drammatico. Tutti.


Nel 1953, agli albori della televisione, l’integerrimo giornalista Edward R. Murrow, conduce sulla CBS diversi programmi di informazioni. Quando, sull’onda delle prevaricazioni commesse dal senatore Joseph McCarthy con il Comitato per le attività antiamericani, un pilota della marina militare viene cacciato perché considerato un “pericolo alla sicurezza nazionale”, Murrow decide di dedicare una puntata del suo show alla vicenda. La situazione diventa subito bollente, tra le pressioni dei dirigenti dell’emittente e le resistenze degli sponsor; ma Murrow, affiancato da validi collaboratori, tiene duro e, grazie ad un esercizio sempre limpido della professione giornalistica, riesce a mettere alle strette McCarthy, di lì a poco bloccato dallo stesso Governo.

La seconda regia di George Clooney, Good Night and Good Luck, è una pellicola rigorosa, in grado di gratificare un pubblico intelligente e curioso con una precisa rievocazione di un passaggio “eroico” nella storia del giornalismo televisivo (e non), dimostrando mestiere e gusto in un quasi-documentario in bianco e nero che attinge a piene mani dal materiale di repertorio per dare consistenza al proprio punto di vista (la verità come arma per vincere le prevaricazioni).

Bersaglio della virtuosa indignazione di Clooney e soci sono da una parte i politici che giocano con le paure della gente per restringere le libertà civili (allora il senatore McCarthy con la minaccia comunista, oggi, non si fa fatica ad immaginare chi sia il destinatario delle critiche) dall’altra il neonato sistema televisivo. Quest’ultimo, sotto le pressioni degli sponsor, corre costantemente il rischio di venir meno alla propria vocazione lasciando spazio unicamente a programmi di puro intrattenimento. Anche in questo caso i paralleli con l’oggi si sprecano.

Per portare avanti queste giustissime istanze il regista e sceneggiatore sceglie una forma narrativa minimalista, che rinuncia a raccontare il personaggio Murrow più privato a favore della sua battaglia e preferisce mettere in scena le tensioni politiche ed economiche, lasciando poco spazio ai loro risvolti più personali (che emergono unicamente con il suicidio di un giornalista perseguitato e le manovre di due collaboratori di Murrow, sposati contro il regolamento della CBS).

Si sente talvolta la mancanza di un approfondimento sulle motivazioni del protagonista (per capire da dove nasce la sua integrità professionale e umana) e il percorso disegnato privilegia una prospettiva quasi freddamente rievocativa piuttosto che incoraggiare un coinvolgimento sulle scelte, anche difficili, che Murrow compie.

La pellicola, così, rischia di essere di quelle che “ non possono non piacere” più per un dovere morale che per un valore complessivo. Appesantito talvolta dall’uso del materiale di repertorio, totalmente concentrato sui “fatti” così da scivolare via non tanto sul privato dei personaggi (scelta del tutto legittima), ma proprio sulla radice delle loro azioni, il film rischia di essere apprezzato da un pubblico ristretto facendo luce su un pezzo di storia che forse tornerà nel cassetto delle memorie perdute nel giro di pochi mesi. Luisa Cotta Ramosino. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Elementi problematici per la visione: Nessuno

Valori/Disvalori: La TV deve istruire e illuminare, altrimenti sono solo fili e luci in una scatola" un film di liberismo autentico.

Si suggerisce ai genitori la visione a partire da: Tutti

Giudizio tecnico: ***. Il regista e sceneggiatore sceglie una forma narrativa minimalista, che preferisce mettere in scena le tensioni politiche ed economiche, così da scivolare via non tanto sul privato dei personaggi , ma proprio sulla radice delle loro azioni. (FAMILYCINEMATV)

Cinderella man - Una ragione per lottare


10/09/2005. Regia: Ron Howard. Sceneggiatura: Cliff Hollingsworth e Akiva Goldsman, da un racconto di Cliff Hollingsworth. Interpreti: Russell Crowe, Renée Zellweger, Paul Giamatti, Craig Bierko, Paddy Considine, Bruce McGill. USA. 2005. 144 min. Giovani. (V)

Film basato sulla vita del pugile Jim Braddock, meglio noto con il nomignolo di “Cinderella Man”, cioè, “Cenerentolo”, per le scarse possibilità che gli assegnavano gli esperti di conquistare il titolo mondiale dei pesi massimi. Il copione di Cliff Hollingsworth e Akiva Goldsman espone le svolte della sua vita avvenute realmente, tra il 1928 e il 1935, durante la Grande Depressione, poi culminate in una splendida realizzazione del sogno americano di quei tempi difficili.

Non si tratta di un film di boxe, per lo meno non esclusivamente, anche se l’atmosfera viene ben resa da un lungo combattimento pugilistico, dai toni epici. La trama tratta soprattutto degli sforzi di un uomo, privo di qualifica professionale, volti a prendersi cura della sua famiglia, specialmente nel momento critico in cui viene privato della sua licenza di pugile professionista. Jim deve cercare alternative alla boxe, in tempi di crisi. Le avversità potrebbero affondare nella miseria chiunque, ma il protagonista conserva sempre la dignità e la speranza, non perde il suo senso morale, cura l’educazione dei figli. Conserva inoltre le vecchie amicizie (il suo preparatore Joe Gould) e ne coltiva di nuove (il suo compagno, scaricatore di porto, propenso a fare il sindacalista). Se la sua fede talvolta viene meno (Jim è cattolico, di origine irlandese), non mancano le preghiere della moglie Mae, anche se sono dirette ad desideri insospettati.

Ron Howard, un artigiano a tutto campo, ha saputo integrarsi da anni in una solida equipe, cui partecipano il produttore Brian Gazer e lo sceneggiatore Goldsman. Non è un genio, e lo sa –si cautela girando molte sequenze, e talvolta spicca, nel suo cinema, una certa mancanza di fluidità nei suoi montaggi- ma ha un punto di forza, che domina come pochi: i difficili equilibri tra sentimento e sentimentalismo. In questo modo, crea emozione genuina, che intensifica quando si ispira a fatti reali –per es. come in A beautiful mind e in Apollo 13-, perché paradossalmente, vi inserisce un’aura di irrealtà, quasi da racconto di fate. È il caso di Cinderella Man, forse eccessivo nella prima parte del film, dove il focolare di Jim Braddock sembera la caricatura di un opera di Dickens, ma con più misura nel resto. Inoltre, Howard, attore da giovane, si trova a suo agio nel dirgere un trio formato da Russell Crowe- Renée Zellweger- Paul Giamatti, capaci di offrire una selezione di splendide interpretazioni. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V. (ACEPRENSA)

The island


10/09/2005. Regista Michael Bay. Sceneggiatura: W.D. Richter. Interpreti: Ewan McGregor, Scarlett Johansson, Djimon Hounsou, Sean Bean, Steve Buscemi. USA. 2005. 127 min. Giovani-adulti. (VXD)

Bay ha già ottenuto consensi dalla critica grazie a The Island, trepidante film proiettato nel futuro, terreno su cui vanta già una certa esperienza con altri film, tipo 2022:i sopravvissuti, Il 6º giorno, The Replicant, Gattaca – La porta del universo, e soprattutto, La fuga di Logan (Michael Anderson, 1976).

The Island racconta la fuga di Lincoln Eco-Sei e Jordan Delta-Due, due della centinaia di residenti che abitano in un esclusivo complesso residenziale, a metà del secolo XXI. È stato loro riferito che al di fuori di quella località, tutto il modo è contaminato: sono tra i pochi esenti da contaminazione, e perciò devono essere controllati. La grande speranza di tutti è essere scelti per andare su di un’isola (l’Isola), ultimo paradiso esente da contaminazione. Ma Lincoln scopre che il mondo dell’isola è falso, e decide di fuggire in compagnia di Jordan.

Un copione meglio impostato che risolto, esalta senz’altro il suggestivo punto di partenza, ma finisce degenerando in un festival pirotecnico, dove alcuni personaggi perdono i loro profili. Nel suo insieme, il film è interessante per la sua radicale critica alla manipolazione genetica e alla clonazione, ivi inclusa l’ossessione per la bellezza e la salute, in dispregio alla dignità di ogni persona umana. Inoltre, questa volta Bay realizza meglio l’azione scenica e la filma davvero bene, impiegando -con impressionante resa- effetti tradizionali e digitali. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, X, D. (ACEPRENSA)

Quattro amiche e un paio de jeans

10/09/2005. Regia: Ken Kwapis. Sceneggiatura: Delia Ephron, Elizabeth Chandler. Interpreti: Amber Tamblyn, Alexis Bledel, America Ferrera, Blake Lively, Jenna Boyd. USA. 2005. 129 m. Giovani-adulti. (SD)

Carmen, Bridget, Lena e Tibby sono amiche dall’infanzia. Vicine, compagne di scuola, di confidenze, di gioie e dispiaceri, a 16 anni si separano per la prima volta: Carmen trascorrerà l’estate con suo padre, Lena andrà in Grecia per conoscere i nonni materni, l’atletica Bridget andrà in un campeggio di calcio in Messico e l’arrabbiata Tibby resterà a lavorare al supermercato, girando un documentario sulla banalità della vita quotidiana. Alla vigilia della loro separazione vanno a fare acquisti e comprano un paio di jeans che va bene a tutte –miracolosamente, perché sono molto diverse-. Decidono che ciascuna porterà quel paio di jeans per una settimana e poi lo farà arrivare per posta all’altrra. Il paio di jeans passa per ognuna delle amiche portando fortuna a chi lo indossa, costituendo il nesso che unisce le protagoniste durante le vacanze.

Tratto da un romanzo giovanile (tre, in realtà), il film è stato best-seller negli Stati Uniti. La parte migliore e più interessante di questa storia di adolescenti è costituita dal fatto di aver portato sullo schermo giovani normali, attraenti e credibili; e non le solite stupidaggini nordamericane, usa e getta. Le quattro giovani sono grandi attrici. Ciascuna vive piccole avventure che permettono loro di maturare. Non tutte le situazioni, né tutte le soluzioni sono ideali, ma sono plausibili, vengono trattate con serietà e tenerezza, risultando interessanti. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S, D. (ACEPRENSA)

I heart huckabees - Le strane coincidenze della vita

10/09/2005. Regia: David O. Russell. Sceneggiatura: David O. Russell, Jeff Baena. Interpreti: Dustin Hoffman, Isabelle Huppert, Jude Law, Jason Schwartzman, Lily Tomlin, Mark Wahlberg, Naomi Watts, Kevin Dunn, Ger Duany. USA. 2004. 106 m. Adulti. (XSD)

Questo film, dotato di un cast davvero ecccellente e di un intelligente disegno di produzione, s’inquadra nel sottogenere del melodramma strambo e pretenzioso. Si tratta di far confluire le storie di personaggi, apparentemente sconnessi, affidando al caso il compito far convergere le loro vite. Quarto lungometraggio di David O. Russell (Three Kings), esso tratta come tipica farsa esistenziale l’assurda vita, cui si assoggettano molte persone, pur di riuscire nei loro intenti e di dar di sé, infine, un’immagine di “modernità progressista”.

Il direttore dell’associazione ecologista Open Spaces; un ambizioso manager dei supermercati Huckabees e la sua fidanzata, bellissima modella ad immagine della catena Huckabees; un vigile del fuoco ossessionato dal problema della dipendenza dal petrolio, dopo l’11 settembre (magistrale Wahlberg). Sono le tessere di un puzzle che spetterà ricostruire ai Detective esistenziali (gli spassosi Hoffman e Tomlin), contrattati dall’ecologista in crisi d’identità, per restituire quella chiave capace di far ritrovare sé stessi, ricuperando l’autostima perduta.

Certamente la trama intricata esige di acuire l’attenzione, dalla parte dello spettatore, abituato a storie convenzionali. Ci sono situazioni surrealiste veramente divertenti, che includono, peraltro, un’inspiegabile sequenza erotica ed alcuni dialoghi grossolani. Le interpretazioni sono comunuqe magnifiche e, malgrado casi deliranti e l’eccessiva lunghezza, c’è un chiaro messaggio a favore del buon senso di una vita semplice. Con una più sapiente potatura, poteva risultarne un grande film. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, S, D. (ACEPRENSA)