Hugo Cabret

25/2/2012. Regista: Martin Scorsese. Sceneggiatura: John Logan. Interpreti: Asa Butterfield, Ben Kingsley, Chloë Grace Moretz, Jude Law, Christopher Lee. 126 min. USA. 2011. Giovani.


Dopo aver vinto il prestigioso Caldecott e riscuotere un successo mondiale, era prevedibile che il romanzo di fantasia per bambini La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, dello statunitense Brian Selznick, sarebbe stato portato sul grande schermo. Quello che nessuno si aspettava era che lo facesse Martin Scorsese, che non aveva mai affrontato il genere familiare, e i cui ultimi film sono stati il duro dramma poliziesco The Departed e il complesso psico-thriller Shutter Island. Beh, il veterano regista di New York ha fatto un racconto dickensiano bello e amante del cinema, che ha vinto il Golden Globe 2011 per la migliore regia, nonché undici nomination agli Oscar, tra cui quelle più importanti.

L'azione si svolge a Parigi negli anni Trenta. Nelle sale segrete di un immensa stazione ferroviaria vegeta Hugo, un bambino intelligente e sensibile, orfano dopo molte traversie, che continua il lavoro di suo padre: mantenere i numerosi orologi della stazione. L'incontro con George, che possiede un negozio di giocattoli, lo sforzo per sfuggire l’inesorabile polizia della stazione e l'amicizia inaspettata con Isabelle, figlioccia del burbero George, porterà Hugo a scoprire un automa che il padre lasciò incompiuto.

Più fedele al racconto grafico di Selznick -in parte scritto, in parte disegnato-, la sceneggiatura di John Logan (The Aviator), gradua con abilità i vari intrighi e crea una suggestiva atmosfera magica che Scorsese porta all'ennesima potenza grazie alla direzione artistica di Dante Ferretti, i costumi di Sandy Powell, la fotografia di Robert Richardson e una pianificazione sensazionale, che utilizza il 3D stereoscopico con un trasbordante senso della estetica della settima arte. Un'estetica che è omaggiata con entusiasmo da Scorsese, anche attraverso abbondanti scene dei grandi del cinema muto, come i fratelli Lumière, Méliès, Harold Lloyd, Buster Keaton, Charles Chaplin ...

All’interno del premeditato istrionismo tipico del genere famiglia, il colorato cast tiene benissimo in ogni momento, con il bambino Asa Butterfield e il veterano Ben Kingsley come leader. E il suo lavoro è accompagnato dalla nostalgica colonna sonora di Howard Shore. Si chiude così in bellezza un film la cui intensità narrativa tal volta scende leggermente, compensata con una risoluzione formale schiacciante ed una emotiva rivendicazione della fantasia, il cinema, la letteratura e il lavoro ben fatto. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Paradiso amaro

25/2/2012. Regista: Alexander Payne. Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash. Interpreti: George Clooney, Shailene Woodley, Nick Krause Judy Greer, Matthew Lillard. 115 min. USA. 2011. Adulti. (SD)


Quasi nessuno si è sorpreso quando Paradiso amaro (The Descendants) pochi giorni fa ha vinto il Golden Globe per il miglior film drammatico dell'anno. E questo, anche se la storia che racconta è piuttosto convenzionale: un uomo maturo, attraente e professionale, si trova di fronte ad una catastrofe personale e familiare, quando la moglie è in coma dopo un incidente.

Da questo materiale, Alexander Payne (Sideways), riesce a tessere una solida galleria di personaggi e conflitti così veri e potenti come la vita stessa. Nelle due ore di filmato non riesci a staccarti dalla sensazione che quello che stai vedendo è molto ordinario, quotidiano, che tra Clooney, che indossa le infradito e il tuo vicino del quinto piano ci siano poche differenze, che la storia di infedeltà per noia e la fragilità può essere, purtroppo, di chiunque e che il terremoto che ha causato questo inganno colpisce tutti allo stesso modo. Eppure, forse proprio per questo, perché i film trasuda realismo da ogni poro, non si riesce a distogliere lo sguardo dallo schermo.

Payne mostra anche in questo film che per commuovere non c’è bisogno di ricorrere a istrionismo o di cadere nella stranezza: è sufficiente captare -con maestria, questo sì-, la ricchezza che contiene una persona. Con la scienza di un bravo scrittore e il suo tradizionale e acido umore, Payne mette ognuno dei personaggi spalle al muro ... e poi – sorpresa!- procede a salvare tutti.

Clooney dimostra ancora una volta che è un grande attore (meritato il suo Golden Globe). Avevamo visto che è capace di chiudere un film con un interminabile primo piano. Ma qui mostra anche quello che sopporta una orribile camicia hawaiana e che è tra i pochi in grado di fare una dichiarazione d'amore melodrammatica a una moglie in coma (“il mio amore, la mia amica, il mio dolore, la mia gioia”), senza che nessuno nella sala rilasci una risata nervosa di imbarazzo. Infatti, al mio fianco prestigiosi critici cinematografici inghiottivano saliva. Quasi niente. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

War Horse

25/2/2012. Regista: Steven Spielberg. Sceneggiatura: Richard Curtis, Lee Hall. Interpreti: David Thewlis, Benedict Cumberbatch, Emily Watson, Peter Mullan, Niels Arestrup. 145 min. USA. 2011. Giovani.


Devon (Inghilterra). Una piccola fattoria dove Albert e i suoi genitori riescono a malapena a sopravvivere. Hanno bisogno di un cavallo da tiro, ma il ragazzo s’infatua di un cavallo elegante e promette che compierà questo lavoro. Arriva la prima guerra mondiale e il cavallo viene venduto all'esercito. Il ragazzo non si rassegna.

Il film è basato sul romanzo giovanile omonimo di Michael Morpurgo. Ogni episodio contiene un messaggio e una lezione di buon cinema. Il filo comune è sempre il cavallo che cambia proprietario, e che ha la fortuna di trovare in ogni caso una persona che ama gli animali e non ha perso la sua umanità. Le riprese sono eccellenti, ma il film si riduce ad una serie di quadri sciolti, con un filo debole, perché un cavallo, con tutto il suo fascino e intelligenza, è sempre un cavallo. Gli capitano cose che illustrano qualche cosa della guerra in ciascuno dei bandi, ma queste pennellate non sono sufficienti per parlare della guerra, e sono troppo per la storia del cavallo, le cui pene sono quasi insopportabile per il pubblico giovane al quale sembra destinato.

War Horse non è il miglior film di Spielberg, ma è un buon film che può essere goduto nonostante la sua lunghezza, la sua ambizione, e la facilità con cui sembrano risolversi le diverse situazioni. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Millenium. Uomini che odiano le donne

25/2/2012. Regista: David Fincher. Sceneggiatura: Steven Zaillian. Interpreti: Daniel Craig, Rooney Mara, Christopher Plummer, Stellan Skarsgård, Robin Wright. 158 min. USA. 2011. Sconsigliato. (VX).

David Fincher (Seven, Zodiac, The Social network), ha diretto il remake americano del film svedese basato sul primo romanzo della serie Millennium. Il regista canadese dirige un film superiore alla televisiva versione svedese imprimendo ritmo alla trama, forza visiva e un po’ più di profondità al rapporto tra i protagonisti. Ma non supera il problema del romanzo e del film precedente: manca storia -molto convenzionali, con i rapporti e i conflitti incassati meccanicamente-, non c'è contrappunto nel ritratto caustico della società svedese e l'enfasi nella morbosa truculenza è sfiancante. Ana Sanchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Sconsigliato. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

L'arte di vincere

25/2/2012. Regista: Bennet Miller. Sceneggiatura: Steven Zaillian, Aaron Sorkin. Interpreti: Brad Pitt, Jonah Hill, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Kerris Dorsey.133 min. USA. 2011. Giovani.



Questo grande film ha avuto una gestazione complessa. La sceneggiatura del premio Oscar Steven Zaillian (Schindler List, In cerca di Bobby Fischer, Awakenings) si basa su un romanzo e su un personaggio reale, Billy Beane (Orlando, Florida, 1962), manager della squadra di baseball di Oakland. Beane attuò una coraggiosa strategia sportiva basata su un complesso calcolo statistico applicato alle conoscenze dei giocatori di baseball della lega americana. Il film doveva essere stato diretto da Steven Soderbergh, con Pitt come protagonista. Soderbergh abbandonò il progetto, ma lo studio conservò Pitt e assunse Aaron Sorkin (creatore di The West Wing della Casa Bianca, ha vinto l'Oscar per la sceneggiatura non originale per The Social Network) perchè rivedesse la sceneggiatura di Zaillian. E il risultato è sorprendente.

Un film sportivo è spesso noioso e prevedibile. Di più, se lo sport è poco conosciuto, come il baseball in molti paesi. La sapiente guida di Miller (ricordiamo il suo grande Truman Capote di Philip Seymour Hoffman, che vinse l'Oscar) e un cast meraviglioso prendono lo script (con il cesellato dialogo di Sorkin) e colpiscono la palla fino a farla uscire del palcoscenico. La storia ha molta forza ed è molto bella. Ha un alto grado di astrazione, cioè, più che di baseball, si parla del lavoro, della fiducia, della famiglia, della perseveranza, il successo, il fallimento. Raramente è stato ritratta con tanto talento la epica perdente (in questo senso, la canzone della figlia di Beane, nella sua doppia versione, è un diamante). Il lavoro di Pitt è ancora una volta superbo. Da anni merita l'Oscar.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)