There Be Dragons

26/2/2011. Regista: Roland Joffé. Sceneggiatura: Roland Joffé. Interpreti: Charlie Cox, Wes Bentley, Olga Kurylenko, Rodrigo Santoro, Ana Torrent, Unax Ugalde, Geraldine Chaplin, Derek Jacobi. 105 min. USA, Argentina. 2010. Giovani. (V)

Josemaría e Manolo. Amici d'infanzia. La vita li unisce e li divide, in una Spagna che sprofonda gradualmente verso la guerra civile. Entrambi condividono il dolore causato da quella tragica situazione esistenziale, ma vi reagiscono in modo diverso. "Siamo nati soli e moriremo soli", dice Manolo, con tragico stoicismo. "Non ho avuto bisogno di imparare a perdonare, perché Dio mi ha insegnato ad amare" dirà, anni dopo, il sacerdote Josemaría Escrivá, fondatore dell'Opus Dei.



È facile e difficile scrivere di questo film, diretto dal regista di Mission e Urla del silenzio. Facile, perché non è necessario ricorrere a complessi argomenti per concludere che Joffé ha realizzato un film eccellente, forse il migliore della carriera. Il titolo There Be Dragons sintetizza bene una storia emozionante, di amore e disamore, un viaggio in cui ci sono draghi -i demoni interiori- che escono contro uomini e donne, alla ricerca di un significato e di speranza, in un mondo sconosciuto, selvaggio e inospitale.

Joffé mostra che, quando l'amore se ne va, lascia un vuoto che può riempirsi di contenuti molto spiacevoli. La sua storia, costruita in modo molto intelligente, si avvicina ad un mistero che, come spettatori e come persone -religiose o meno- sempre ci appassiona: perché l'amore è così potente, perché finisce sempre per affiorare in superficie, come sughero inaffondabile?

Alla qualità di uno spettacolare disegno di produzione (dietro le quinte ci sono tre vincitori di premi Oscar, che ricreano un arco storico-temporale di ottant'anni, contando su un budget di 26 milioni di euro), all'attraente narrativa del film (fotografia e montaggio sono molto buoni), si unisce un cast in cui ogni attore fa il suo lavoro in modo splendido, forse perché Joffé da sempre sa dirigere magnificamente il proprio cast, grazie al suo passato teatrale. Cox e Bentley sono semplicemente straordinari.

La sceneggiatura originale di Joffé rivela una densa complessità narrativa, da un'audace prospettiva, nonché un ritmo narrativo in due tempi che fluisce armoniosamente, alle volte travolgente come un torrente di montagna, altre con placida calma. E sempre con molta acqua, molta storia da raccontare, conflitti che mettono lo spettatore in situazioni universali, in quanto essenziali. Tra le mani di un altro regista meno esperto sarebbe stato facile incorrere in vari luoghi comuni, o perdersi in una lezione di storia locale, molto terra-terra, per di più su di un terreno ampiamente battuto sia dal cinema spagnolo, che da molti film statunitensi.

Dicevo che è facile scrivere che There Be Dragons è un grande film, drammatico, divertente e intenso. Ma che impresa, raccontare una storia simile, nel modo in cui lo ha fatto Joffé! Non ci dà una prospettiva qualunque, non si limita a sfiorare questioni di grande impatto, ed al contempo neanche vi si intrattiene oltre il lecito, né cerca di spiegare una guerra civile che è sempre una sconfitta per ogni cittadino. Il film mostra anzi come, da quella tragica vicenda, alcuni abbiano saputo tirar fuori il meglio di sé, altri siano rimasti aggrappati al loro odio preconcetto e molti -di entrambi le fazioni- abbiano profittato dei momenti loro favorevoli, per una spietata resa dei conti, pianificata in modo miserabile e con atteggiamento meschino.

Joffé e il suo cast -perché il cinema è un lavoro di squadra, nel bene e nel male- hanno confezionato un gran film, commovente e passionale, destinato a un vasto pubblico (sarà distribuito in tutto il mondo, in particolare sul mercato USA). Una storia imparziale, girata da un regista inglese di origine ebraica, di sinistra e agnostico, che ti regala qualcosa di inatteso. Ancora più sorprendente risulterà agli spagnoli stessi, così inclini agli estremi: al rosso o al nero. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Il grinta - La vendetta

26/2/2011. Regista: Ethan Coen, Joel Coen. Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen. Interpreti: Jeff Bridges, Matt Damon, Hallie Steinfled, Josh Brolin, Barry Pepper. 110 min. USA. 2010. Giovani. (V)

È bello ritrovarsi di fronte ad un buon western. So che non scrivo nulla di originale, ma -come sottolineato da molti esperti di storia del cinema- il western di qualità riassume spesso l'essenza del cinema, come racconto audiovisivo. "Nulla è più cinematografico di un cavallo al galoppo", disse Ford, forse il più grande regista della storia. Basta rivedersi Ombre rosse, per rendersi conto della verità di simile affermazione.



I Coen, dopo essere incappati in alcuni film meno riusciti, girano stavolta una bella storia, che evoca una visione del west tra nostalgia e delusione, ma priva di cinismo. La realizzazione è splendida, grazie ad una colonna sonora davvero riuscita, di Carter Burwell, e ad un cast di prima classe. È vero che, già nel 1969, Hathaway traspose in linguaggio cinematografico il romanzo di Charles Portis, e lo fece molto bene, con una colonna sonora, altrettanto indimenticabile, di Elmer Bernstein e un magistrale John Wayne, che vinse un Oscar un po’ tardivo, perché già meritato almeno in sei o sette film precedenti. Ma, fino a prova contraria, non è vietato fornire altre versioni eccellenti di una stessa storia, come dimostra lo splendido remake realizzato da James Mangold del celebre Quel treno per Yuma.

I Coen hanno letto questa storia con desiderio di fedeltà allo spirito dell’originale letterario, che precorre l’opera di Cormac McCarthy. Adottano il punto di vista di Mattie Ross, vigorosa e tenace ragazza di 13 anni, che si rifiuta di lasciare impunito l'assassinio del padre, “perché l'unica cosa che viene fornita gratuitamente in questa vita è la grazia di Dio”. Il ritratto del mondo duro e brutale, semplice e onesto, che Mattie ci presenta, è reso in modo intelligente: virtù e vizi ritratti corrispondono alla realtà. I Coen si trovano più vicini all'amaro Gli spietati di C. Eastwood che al tragico e lirico Ford de L'uomo che uccise Liberty Valance o di Sentieri selvaggi. La quattordicenne Hallie Steinfeld è magnifica e, pur da esordiente, recita stupendamente a fianco degli splendidi Bridges e Damon. Un film straordinario e, in diversi momenti, eccezionale. Si rivela il più alto incasso dei fratelli Coen. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Hereafter

26/2/2011. Regista: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Peter Morgan. Interpreti: Matt Damon, Cécile De France, Bryce Dallas Howard, Frankie McLaren, Marthe Keller. 129 min. USA. 2010. Giovani.

Assecondando il trend verso la speranza dei film più recenti, come Changeling, Gran Torino e Invictus, l'ottuagenario Clint Eastwood affronta, in questo nuovo lavoro, altri due grandi temi esistenziali: la morte e l'aldilà. E lo fa partendo da una sceneggiatura di Peter Morgan (The Queen, Frost/Nixon-Il duello, The Damned United), ispirata alle esperienze reali di persone che, trovatesi ad un passo dalla morte, sostengono di aver intravisto qualcosa dall'altro lato del tunnel della vita.



È il caso di Marie, prestigiosa giornalista e scrittrice francese che, dopo aver subito un'esperienza traumatica durante lo tsunami del 2004, nell'Oceano Indiano, ha dedicato il suo nuovo libro alla vita oltre la morte. In quest'opera, appare George, che ha il dono -o la maledizione- di essere in grado di contattare i cari estinti di quanti si rivolgono a lui, dopo avergli toccato le mani. Per anni, George e il fratello hanno sfruttato economicamente questo carisma. Ma ecco che George si rifiuta di continuare ad esercitarlo, e si mette lavorare -da manovale- al porto di San Francisco. Tramite Internet, viene a sapere di lui Marcus, ragazzo londinese -figlio di madre alcolizzata-, che desidera ardentemente “contattare” il suo gemello Jason, morto in circostanze tragiche. Le vite tormentate dei tre si avvicineranno gradualmente sempre più.

La prima cosa che sorprende di Hereafter è il nuovo cambiamento di tono e di stile adottato dal camaleontico Clint Eastwood. Il film inizia con una lunga e impressionante ricostruzione del maremoto nel Sud-est asiatico, superbamente girata in primo piano, di enorme impatto drammatico, seppure con effetti digitali che potevano essere più curati. Comunque, l'attore e regista californiano adotta un naturalismo sereno e trascendente -tanto per definirlo in qualche modo-, simile ad altri film contemporanei di genere esistenziale, come Grand Canyon, Tredici variazioni sul tema o Crash; lontano, invece, dalle dense tensioni iperrealiste di Mystic River o Million Dollar Baby. In questo naturalismo, recitano a proprio agio, calati in personaggi rifiniti con somma cura, tutti gli attori.

Eastwood dispiega qui le personali riflessioni sulla vita, la sofferenza, la morte e l'aldilà, sempre in modo molto meticoloso, tranne che nell'ultimo tema, dove fa ricorso ad una chiave di lettura New Age ed eclettica, invece che strettamente cristiana, aprendo ad un certo spiritismo. Forse questo approccio un po' sfuocato riflette i dubbi reali di Peter Morgan e Clint Eastwood. In ogni caso, si apprezza l'onestà e l'eleganza dello sguardo di entrambi -sempre senza enfasi ideologiche-, le loro indovinate critiche al materialismo edonista e alle frodi esoteriche, nonché l'apertura al trascendente attraverso il destino o la provvidenza -vero motore della trama- e del valore della redenzione personale. Resta la convinzione, che c'è qualcosa che va oltre la nostra esistenza terrena. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: ----- (ACEPRENSA)

Il cigno nero - Black Swan

26/2/2011. Regista: Darren Aronofsky. Sceneggiatura: Mark Heyman, Andres Heinz, John McLaughlin. Interpreti: Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Barbara Hershey, Winona Ryder. 110 min. USA. 2010. Adulti. (XV)

Nina è una giovane ballerina, combattiva, perfezionista, ma fragile, molto fragile. La sua tecnica è perfetta. Le manca però carisma e passione; appare ancora troppo rigida. Il contrario della sensuale ed esplosiva Lily. Nina è il cigno bianco, Lily il nero. Il direttore della compagnia cercherà di cambiar colore alle piume di Nina, spingendola, tra le altre cose, ad esplorare la propria sessualità.



Come di consueto, nella filmografia di Aronosfky, il film combina un'estetica soggiogante ad un tono opprimente e morboso, quasi malsano e malaticcio: quello che respira la protagonista. Il brillante e suggestivo involucro della danza serve al regista americano per rendere più evidente lo smembramento di un giocattolo rotto, diretto alla totale auto-distruzione.

Il film, comunque, non sa mantenere le promesse e, in questo senso, il finale rivela che -dopo il momento clou della svolta, del cambio di registro, del proprio indugiare nell’onirico in toni tanto inquietanti-, ci si trova davanti alla stessa solfa di tanti dozzinali film-tv, che passano sul piccolo schermo senza lasciar traccia.

Nonostante i premi e la copertura mediatica del film, si ha l'impressione che non sia certo un grande film. Senza l'interpretazione di Natalie Portman (estenuata, oltre ogni limite, da ore di balletto e da una dieta molto severa), la ricercata polemica dovuta ad una scena di sesso violento tra donne, nonché la fama di enfant terrible di Aronofsky, è un film per cui non varrebbe la pena nemmeno di esprimere un commento. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, V (ACEPRENSA)