The ladykillers

28/05/2004. Registi: Joel e Ethan Coen. Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen. Interpreti: Tom Hanks, Irma P. Hall, Marlon Wayans, J.K. Simmons, Tzi Ma, Ryan Hurst, Gorge Wallace. 103 min. USA, 2004. Giovani

Dall’esordio del 1984, con Sangue facile, i fratelli Coen hanno perseguito un programma di rinnovamento del cinema noir attraverso film come Crocevia della morte, Barton Fink (È successo a Hollywood), Fargo, o L’uomo che non c’era, e hanno approfondito le diverse peculiarità del genere commedia, con film come Arizona Junior, Mister Hula Hoop, Il grande Lebowski, Fratello, dove sei, o Prima ti sposo poi ti rovino. Proseguendo sulla linea del rinnovamento, hanno appena scritto e diretto, per la prima volta insieme, The Ladykillers, ennesima versione de La signora omicidi, di Alexander Mackendrick, libera fino all’eccesso. Negli anni Cinquanta, risultò la migliore commedia prodotta a Londra dagli Studi Ealing.

In un paese del Mississippi abita Marva, incantevole vedova afroamericana, presbiteriana, puritana e molto religiosa, che da vent’anni dialoga col marito defunto. Un bel giorno affitta una stanza di casa sua a Goldthwait, uomo noioso e manierato nel parlare, che si qualifica come professore di lingue classiche, nonché direttore di un gruppo di cinque musicisti, specialisti della musica del rinascimento. In realtà, i presunti musicisti sono aspiranti rapinatori, che vogliono svaligiare il vicino casinò galleggiante, attraverso un tunnel scavato di nascosto, a partire dallo scantinato di casa.

In The Ladykillers, è Tom Hanks, nella magistrale interpretazione di Goldthwait, a far rivivere l’ironia britannica di Alec Guinness in La signora omicidi. Goldthwait si presenta come un pretestuoso ammiratore di Edgard Allan Poe, ma con il volto del colonnello Sanders, icona dei Kentucky Fried Chicken. Il film è un tributo alla cultura folk del sud degli States, già ritratta dai Coen nel davvero notevole Fratello, dove sei. In questo caso, è un agile allestimento scenografico, arricchito dalla migliore musica gospel, ad illustrare le inverosimili avventure di questi maldestri e istrionici ladri; talvolta volgari, ma trasformati dai Coen in simboli perfetti della vacuità del materialismo utilitarista. Di fronte a loro, Marva incarna la semplice grandezza della bontà e della religiosità sincera, ricorrendo alla sconfinata umanità dell’attrice Irma P. Hall, la cui geniale interpretazione meriterebbe di ricevere i più ambìti premi. Jeronimo Jose Martín. ACEPRENSA.

Troy

28/05/2004. Regia: Wolfgang Petersen. Sceneggiatura: David Benioff. Interpreti: Brad Pitt (Achille), Eric Bana (Ettore), Orlando Bloom (Paride), Diane Kruger (Elena), Peter O'Toole (Priamo), Rose Byrne (Briseide). Durata: 161' . USA/Germania 2003. Genere: Dramma.Censura USA: Restricted. Adulti.

Circa 3000 anni fa Agamennone , un re greco pieno di mire imperialiste, decide di conquistare Troia con il pretesto di vendicare l'onore di suo fratello fratto becco dal bel Paride. E' costretto a portarsi con se l'altero Achille, terribile guerriero che si preoccupa solo che qualcuno parli di lui per i prossimi mille anni. A Troia intanto Ettore, tutto casa e famiglia, é costretto a scendere in campo per colpa di quello sciupafemmine di suo fratello.

Prendete un classico della letteratura mondiale come l'Iliade. Svuotatelo della polpa più succosa e lasciate solo il guscio. Procuratevi ora un budget quasi delle dimensioni dell'intero prodotto interno lordo della Grecia attuale. Farcite l'interno con cultura popolare del tipo Achille che sembra Superman o con riferimenti moderni come lo sbarco in Normandia. Date una pennellata di "politically correct", indispensabile per un blockbuster (Achille e Patroclo sono cugini e non più amanti, il cattivo Agamennone finisce ucciso). Aggiungete ora una buona dose di computer grafica per realizzare battaglie con migliaia di comparse artificiali. Cosa ottenete? Già. E' questo il punto.

Da buoni Europei che ancora ci ricordiamo " del pelide Achille l'ira funesta" o de "l'aurora dalle cerulee dita" può sicuramente dispiacere che il film non si preoccupi di offrirci alcuna suggestione della Grecia classica. Manca sopratutto la vita che scorre su due piani paralleli, quello dei mortali e quello degli dei dell'Olimpo, pronti con le loro beghe ad influenzare i destini degli eroi di questa terra. Il film ha una visione rigorosamente terrena ("ti accorgerai presto che l'amore verso gli dei è un amore senza contraccambio " dice Achille alla sacerdotessa Briseide) e Achille è rappresentato come un campione che crede solo nelle proprie capacità. E' assente inoltre una una scenografia che cerchi di rievocare le bellezze dei monumenti antichi (Troia appare bianca e spoglia sotto il sole) e ci fa rimpiangere le fantasie gotiche realizzate per la trilogia de Il Signore degli anelli.

Non possiamo però pretendere il film che avremmo voluto ma ci dobbiamo domandare piuttosto che cosa ci è stato proposto. Anche nel periodo glorioso dei peplum italiani degli anni '50-'60 c'era l'abitudine di concedersi molte licenze sui testi originali ma forse i nostri prodotti avevano il pregio dell'autoironia e di non voler essere più di quel che erano, cioè dei film di intrattenimento. Il "tallone di Achille" di Troy sta proprio nella pretesa di esser maledettamente serio, di voler rifare il verso all'epopea antica per costruire un'epica per l'uomo moderno.

Attraverso il protagonista Achille , molto ben reso da uno scultoreo Bradd Pitt, sembra passare la visione americana di un uomo-mito che conta solo su se stesso, geloso della propria indipendenza, cultore del "cogli l'attimo" perché la morte é dietro l'angolo. Il giovane sceneggiatore David Benioff che ha firmato il bello ed intenso la 25-ma ora , non sembra a suo agio nel costruire dialoghi che debbono mescolare amori molto borghesi con brandelli di filosofia sul destino dell'uomo, sulla gloria immortale e sul dovere patrio. Forse la parte più sincera del film, che avrà catturato l'attenzione del pubblico americano, è quella che tratta dell'inutilità della guerra da cui "niente di glorioso o di poetico può venire" e del principio affermato dal vecchio Paride quando implora ad Achille la restituzione del corpo di suo figlio: "anche tra nemici può esserci rispetto".

Valori/Disvalori Il protagonista, cinica macchina da guerra, subisce una parziale conversione verso il rispetto e la clemenza per i nemici.

Se suggerisce la visione a partire da Adulti: Per le scene di battaglia che sono cruente ma senza sangue né dettagli raccapriccianti. Alcuni incontri amorosi con nudi statici ripresi di schiena.

Giudizio Tecnico ***: Alta professionalità nel rappresentare i duelli e nell'uso della computer grafica per le scene di massa. Ottima recitazione di B. Pitt e P.O'Toole. La sceneggiatura non da' un "senso" al racconto

Franco Olearo. Per gentile concessione di www.familycinematv.it.

The missing

28/05/2004. Regista. Ron Howard. Sceneggiatura: Ken Kauffman. Interpreti: Cate Blanchett, Tommy Lee Jones, Evan Rachel Wood, Aaron Eckhart. 137 min. USA. 2003. Adulti.

Howard (Oklahoma, 1954), regista di A beautiful mind e Willow, gira un film molto lungo che celebra il valore dell’eccellente coppia di attori protagonisti, un padre (Tommy Lee Jones) e una figlia (Cate Blanchett) che la vita ha separato e ora ricongiunge per riscattare la figlia di lei (Evan Rachel Wood, protagonista in 13 anni-Thirteen), vittima di un rapimento.

L’azione, con accompagnameno musicale di James Horner (autore della colonna sonora di Mi chiamano Radio), si sviluppa nel New Mexico del 1885, con elementi eterogenei. Ne esce una strampalata rievocazione del mito del buon selvaggio -abbastanza puerile e fantasiosa- e i riti degli apaches, con i quali il padre prodigo, nonché sciamano, ha vissuto per lunghi anni. La figlia si guadagna da vivere come massaia e dottoressa naturista part-time. Il sequestratore si presenta invece come individuo psicopatico, soggetto a deliqui mistici. Sembra che Howard, incorso in una grossolana mistica esoterica, si accinga ora ad allestire Il codice Da Vinci. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V+ S D F. Qualità tecnica. ** (MUNDO CRISTIANO)

Una scatenata dozzina (Cheaper by the dozen)

28/05/2004. Regia: Shawn Levy. Sceneggiatura: Sam Harper. Interpreti: Steve Martin, Bonnie Hunt, Piper Perabo, Hilary Duff, Tom Welling, Ashton Kutcher. 98 m. USA 2003. Giovani.

È dai tempi di Mamma ho perso l’aereo, che le famiglie numerose non venivano presentate a modello, come appare in Una scatenata dozzina. Si tratta di un fresco, divertente e libero remake del classico In Dodici lo chiamano papà (1950) di Walter Lang, ispirato alla storia vera della famiglia Gilbreth, trasformata in best-seller da Frank ed Ernestine, due dei dodici figli di Gilbreth.

La folta famiglia Baker, qui protagonista del film, è composta da Tom e Kate -coniugi da ventitre anni- e dai loro dodici figli: sette maschi e cinque femmine, dai tre ai venti e passa anni, ognuno con carattere e problematiche diverse. Dopo il trasloco della famiglia da un paesino dell’Ilinois a Chicago, il successo della mamma, scritrice, e del papà, allenatore di football americano, metteranno alla prova la stabilità famigliare dei Baker e la forza del loro amore.

Certamente il copione è avaro di sorprese e la regia di Shawn Levy (Oggi sposi…niente sesso) appare modesta. In compenso, ciascuno dei diversi personaggi è delineato al punto da rendere convincenti, e dotate di contenuto, tutte le interpretazioni; spiccano quella di Steve Martin e di Bonni Hunt. Inoltre, quasi tutte le gags sono divertenti e garbate. Rappresenta il vigoroso elogio della famiglia numerosa e, al contempo, una radicale critica all’egoismo edonistico, alla mentalità da figlio unico, nonché al mito del successo professionale. Jeronimo Jose Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: F. Qualità tecnica. *** (MUNDO CRISTIANO)

Paycheck

28/05/2004. Regia: John Woo. Sceneggiatura: Dean Georgaris . Interpreti: Ben Affleck, Aaron Eckart, Uma Thurman, Paul Giamatti, Colm Feore, Joe Morton, Michael C. Hall. 104 m. USA 2003. Giovani.

Dopo il recente fiasco di Impostor, ecco un nuovo adattamento di un racconto breve, proposto da Philip K. Dick, autore di Blade Runner, Total recall (Atto di forza), Screamers (Urla dallo spazio) e Minority Report. Ambientato in un futuro prossimo, il copione segue le vicende di Michael, prestigioso programmatore, contrattato da una grande società. Dopo tre anni di lavoro su un progetto ultrasegreto, in cambio di 90 milioni di dollari, Michael si lascerà cancellare medicalmente dalla memoria tutto ciò che riguarda questo periodo. Ma a lavoro concluso, scoprirà che lui stesso ha scambiato i soldi con una misteriosa busta, per cui gli danno la caccia killer vari e FBI. Nella fuga sarà aiutato da una biologa della società.

I fans di John Woo (The Killer, Mission Impossible 2) si ritroveranno in pieno in questo film, che propone numerose fughe e combattimenti nel suo più congeniale stile. Sono scene girate con gran sfoggio di apparato scenografico, un profuso impiego del ralenti e una violenza sublimata da sporadici tocchi poetici. Il problema è che tali risorse non coinvolgono emotivamente perché i conflitti drammatici e le problematiche etiche si riducono a nulla, nel copione. Pertanto, i personaggi mancano di autenticità e spessore, malgrado gli sforzi degli attori. Certamente sono abbozzate interessanti riflessioni su libertà e memoria, ma finiscono per sembrare un pretesto per conferire quel tanto di dignità alla successione di fuochi d’artificio. Se non bastasse, a differenza di altri film di Woo, alquanto confuso appare il ritmo narrativo, e meno suggestivo il disegno di produzione. Jeronimo Jose Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V+ F. Qualità tecnica. ** (MUNDO CRISTIANO)

Agata e la tempesta

9/05/2004. Regia:Silvio Soldini. Sceneggiatura: Silvio Soldini, Doriana Leondieff, Francesco Piccolo. Interpreti:Licia Maglietta (Agata); Giuseppe Battiston (Romeo), Emilio Solfizi (Gustavo), Marina Massironi (Ines Silvestri). Commedia. Durata: 118'. Italia. 2004. Adulti

Agata è una libraia di mezza età che parla e sogna come i libri che legge e sognando si innamora di un ragazzo sposato più giovane di lui. Suo fratello Gustavo, sicuro ed affermato architetto, si scopre figlio abbandonato di una contadina del Comacchio. Ines, sua moglie, che conduce una trasmissione di cuori infranti, avrebbe tanto bisogno di qualcuno che rimettesse a posto il suo. Romeo gira per i paesi con un macchinone carico del suo campionario di vestiti e non può fare a meno di tradire continuamente sua moglie che è rimasta paralizzata in un incidente forse per colpa sua...

Soldini realizza questo film sulla stessa linea narrativa di Pane e Tulipani di cui ha molte cose in comune, senza però raggiungere il livello qualitativo del precedente.

Soldini ha costruito un suo mondo ed un suo stile narrativo che è reale con sfumature di surreale (Agata, ad ogni colpo di passione amorosa fa saltare tutte le lampadine), è intellettuale (citazioni da libri) ma popolare (reality show su canali regionali, gli incontri in una balera). La scenografia, i costumi si basano su colori accesi, uno stile Naiff che richiama il leggero drogaggio di surreale di cui è impregnato questo suo mondo.

Se in Pane e Tulipani l'innesco narrativo era generato da una Rosalba (di nuovo Licia Maglietta) abbandonata dal pullman durante una gita aziendale e costretta a rifarsi, senza molto rammarico, una nuova vita a Venezia, ora il movente è costituito dalla scoperta da parte di Gustavo dei suoi veri genitori. Entrambe le situazioni non fanno vrare la storia in dramma: solo un graduale adattamento, un atteggiamento accomodante dei protagonisti, anzi la piacevole scoperta del nuovo.

Questa bonomia esistenziale corrisponde però anche ad una leggerezza nelle proprie responsabilità: Agata si mette con un uomo sposato; Gustavo, a pochi giorni dalla consegna di un importante lavoro del suo studio, pianta tutti per risolvere i suoi casi personali e con l'occasione si concede una distrazione extraconiugale. Romeo fa altrettanto...Soldini ha un tocco leggero e divertente nel narrare e dirige molto bene sia i protagonisti che i caratteristi. Questa volta però non ci ha regalato una storia vera, non si vede un inizio ed una fine, una evoluzione dei personaggi, anche se cerca di drammatizzarla con un lutto sul finale che mal si inserisce nel contesto. Soldini si è perso, fra Genova e Comacchio, in un labirinto di fatti e personaggi che non sembrano portare da nessuna parte. Due scene di amore esplicito suggeriscono la visione a maggiorenni. Franco Olearo. Per gentile concessione di www.familycinematv.it.

Valori/Disvalori: Storie sentimentali disordinate: la coerenza non è un valore, ne in amore ne sul lavoro. Maggiorenni. Per alcune scene di sesso esplicito.Giudizio tecnico: Soldini sa raccontare con tocco leggero. Ben tratteggiati i personaggi. Ma la storia non trova il suo baricentro.

Van Helsing

19/05/2004. Regista: Stephen Sommers. Sceneggiatura: Stephen Sommers. Interpreti: Hugh Jackman, Kate Beckinsale, Richard Roxburg, Will Kemp, Shuler Hensley. 142 min. USA 2004. Giovani.

A Hollywood basta trionfare negli incassi, per poter far ciò che si vuole. Lo sa molto bene Stephen Sommers che, dopo aver dato saggio della sua abilità in film come Le avventure di Huckleberry Finn, Il libro della giungla e Presenze dal profondo (Deep Rising), ha avuto poi un successo travolgente in tutto il mondo con La Mummia e Il ritorno della mummia, simpatiche superproduzioni che hanno rinnovato il genere classico del film d’avventura. Con questi due ultimi successi, dopo aver ricevuto 150 milioni di dollari e una squadra tecnica di prim’ordine, ha potuto ora scrivere e dirigere Van Helsing, spettacolare e fantastica avventura, in cui Sommers risuscita quasi tutti i mostri della Universal. Il risultato è un prodotto divertente, anche se non del tutto omogeneo.

Il protagonista, Van Helsing, è l’audace cacciatore di vampiri creato da Bram Stoker nel romanzo Dracula. Qui appare nelle vesti di un supereroe del secolo XIX, al servizio di una specie di ordine segreto, con sede negli scantinati del Vaticano, diretto da un cardinale cattolico, cui appartengono però fedeli di tutte le religioni. La missione di questo ordine è sradicare il male dal mondo e, specialmente, distruggere le numerose creature diaboliche che seminano il terrore dall’immemorabile. Van Helsing è il miglior agente dell’ordine, da secoli schierato contro il male e con permesso di uccidere, come James Bond, con cui condivide pure la passione per le più sofisticate armi. Inoltre, non ha rimorsi, grazie ad una provvidenziale amnesia selettiva. Dopo aver ridotto all’impotenza a Parigi il brutale Mr. Hyde, Van Helsing si reca in Transilvania, in compagnia del suo collaboratore Carl, il fifone monaco-scienziato che gli ha progettato le armi di ultima generazione. Dovrà tener a bada il conte Dracula e le tre sue fidanzate che, dopo essersi associate con il Dr. Frankestein ed essersene disfatte, cercano di scoprire ora un metodo scientifico per dare vita alla loro folta e vampiresca discendenza. Se non bastasse, Dracula conta su di un esercito di feroci licantropi, mentre Van Helsing e Carl ricevono aiuto da una coraggiosa principessa di origine zingara e dai terrorizzati sudditi di questa.

Se si analizza il film in modo rigoroso, gli si può addebitare la scarsa profondità drammatica e lo smodato ricorso ad effetti tecnici ed illusionistici che lo avvicinano pericolosamente ad un altro film, La leggenda degli uomini straordinari. Può anche infastidire il superficiale sinecismo religioso –che sembra livellare in basso, pariteticamente, tutte le religioni-, ammettendo la violenza come legittima risorsa. Per non parlare poi dei sensuali ammiccamenti del protagonista con le fidanzate di Dracula, o dello stupido accenno alle debolezze erotiche del monaco Carl. Per fortuna, Sommers non indugia troppo su questi elementi volgari, ma li inquadra nelle coordinate classiche dei genere avventuroso e horror, attenuandoli con un ricorrente humour. Per il resto, il film risulta divertente, molto spettacolare ed interpretato con convinzione. Spicca specialmente l’alta qualità della fotografia di Allen Daviau, la musica di Alan Silvestri e soprattutto l’ambientazione -l’aspetto migliore del film- insieme ai costumi di Gabriella Pescucci.

Jeronimo Jose Martín. ACEPRENSA.

Mi chiamano Radio (Radio)


19/05/2004. Regista. Michael Tollin. Sceneggiatura: Mike Rich. Interpreti: Ed Harris, Cuba Gooding Jr., Debra Winger. 109 min. USA. 2004. Giovani.

Mi chiamano Radio ripropone un fatto vero -risalente agli anni settanta-, reso noto dalla rivista Sports Ilustrated. Harold Jones è il prestigioso allenatore della squadra di football americano del liceo di Anderson, tranquilla cittadina del South Carolina. Rispettato per integrità e senso morale, Harold finisce per dedicarsi eccessivamente alla squadra, trascurando il rapporto con moglie e figlia adolescente. La situazione si complica ancor più, quando Harold si decide ad aiutare James Robert Kennedy, un ragazzo di colore psicolabile, che riesce a riscattare dalla silenziosa solitudine, facendone il suo vice, nonché beniamino della squadra. L’iniziativa ridesterà però il razzismo e l’intolleranza, latenti in certi settori della città.

Certamente, il copione di questa bella storia di solidarietà appare un po’ troppo convenzionale e prevedibile, indulgendo talvolta in eccessivo sentimentalismo. Inoltre, l’allestimento scenografico di Michael Tollin denota scarsa personalità. Comunque sia, riescono davvero gradevoli sia il tono amabile e ottimista del film, che la decisa esaltazione dell’amicizia, della famiglia e dell’educazione ai valori, grazie ad attori eccezionali, capaci di conferire autenticità ai personaggi, senza mai scadere in rozzi istrionismi. Sono proprio i loro sforzi a compensare le debolezze del copione e dell’allestimento scenografico, rinforzando dall’interno l’accurata elaborazione del film. Notevole, la commovente e intimista colonna sonora di James Corner, in linea coi migliori pezzi del suo repertorio. Jeronimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: ---. Qualità: *** (MUNDO CRISTIANO)

Sotto il sole della Toscana (Under the Tuscan sun)

19/05/2004. Regia: Audrey Wells. Sceneggiatura: Audrey Wells . Interpreti: Diana Lane, Sandra Oh, Lindsay Duncan, Raoul Bova, Vincent Riotta. 113 m. USA-Italia. 2004. Adulti.

Distrutta dal traumatico e oneroso divorzio, una nota scrittrice lascia San Francisco e parte per l’Italia, in un viaggio organizzato da un gruppo di gay. Durante il soggiorno in un paese della Toscana, la donna rimane affascinata da una vecchia villa e l’acquista, fissandovi la sua residenza. Ben presto fa nuove amicizie, ritrova l’amore e l’allegria di vivere.

Al secondo film da regista, la sceneggiatrice Audrey Wells (Guinevere) colleziona una serie di luoghi comuni al genere secondario “donna matura insoddisfatta rinasce in Italia”, già visti in Un incantevole aprile (Mike Newell) e Only YouAmore a prima vista (Norman Jewison). Certamente interessante, la trama, splendidi, i paesaggi italiani, eccezionale, Diane Lane e perfino alcuni attori secondari. Pregio del film è quello, non solo di non sdrammatizzare il divorzio, ma di esaltare la famiglia, l’amicizia, la solidarietà. Caricaturale, invece, il ritratto degli italiani, sopratutto quando elogia la pietà popolare cattolica, rinnegandone al contempo i principi morali. Infatti, il film arriva ad impregnarsi di un pesante edonismo, con puerili tesi sull’omosessualità maschile e femminile. Per no parlare della maternità, sbandierata come diritto assoluto della donna. Sorprende tanta superficialità nella sceneggiatrice di un bel film come The truth about cats and dogs (Un uomo in prestito).

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D, F .Qualità: ** (MUNDO CRISTIANO)

Kill Bill (vol 1)


19/05/2004. Regista: Quentin Tarantino. Sceneggiatura: Quentin Tarantino. Interpreti: Uma Thurman, Lucy Liu, Daryl Hannah, Julie Dreyfus, Yuki Kazamatsuri. 111 min. USA. 2004. Adulti.

Agli inizi degli anni novanta, sono stati due film, Le iene (Reservoir Dogs) e Pulp Fiction, a render famoso Quentin Tarantino. Adesso, a quarant’anni suonati, il nostro torna alla regia sette anni dopo l’ultimo film, Jackie Brown. Kill Bi l 1 è la prima parte di un film improntato alle arti marziali. A cavallo tra Stati Uniti e Giappone, Kill Bill (Vol. 1) è la storia di un regolamento di conti tra mafiosi nel singolare modo -frammentario, originale, stravagante- già sperimentato nei due film già citati.

Una sanguinaria e guerriera Uma Thurman (grande attrice sempre, qualsiasi parte le venga affidata) deve opporsi a tutti gli ostacoli che le si presentano, impugnando una katana, con cui farà scorrere -per due ore circa- un fiume di sangue: quello di quanti l’hanno torturata e umiliata, il giorno delle sue nozze. Cattivi cattivissimi, degenerazione da bassi fondi, elegie alla violenza, ottusi e spietati personaggi, ripropongono gli ingredienti di un film straordinariamente ben girato, con eccezionali sequenze; per di più, unite a un generale tocco di follia underground di musica a pieno volume, appositamente evocata per indurre continui flussi di adrenalina. La brutalità di alcuni dialoghi e scene, il sangue a fiotti, l’humour nero (“potete andare via -dice la protagonista agli avversari sconfitti e feriti-, ma lasciatemi la vostra carne fatta a pezzi, perché mi appartiene” [dall’alto, la cinepresa indugia su una pista da ballo cosparsa di piedi e mani mozzati] fanno di Kill Bill una specie di western dal taglio orientale, con insistenti allusioni a Sergio Leone, Sam Peckinpah, Akiro Kurosawa, Zhang Yimou e ai grandi del cinema noir nordamericano.

Tarantino ha poco da raccontare. Ed è un peccato, perché non è il talento che gli manca, specie per quel suo personale stile di riprese visive, fantasioso e potente. Gli attori di Kill Bill prendono fin troppo sul serio una storia da niente, scatenando una malsana attrattiva alla violenza, malgrado tutti i tentativi canonizzarla col ricorso a canoni estetici.. Questa volta, il gusto di Tarantino per il genere pulp compromette la sua fiction. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti, con riserve. Contenuti: V+,S+, D+, F+ .Qualità: ** (MUNDO CRISTIANO)

Il siero della vanità

19/05/2004.Regista:Alex Infascelli. Sceneggiatura:Antonio Manzini Interpreti: Margherita Buy (Lucia), Barbara Bobulova (Azzurra), Francesca Neri (Sonia), Valerio Mastandrea (Franco). 92'.Italia. 2003. Adulti

Lucia e Franco, agenti di polizia, indagano su un caso misterioso. Uno dopo l’altro, tutti i personaggi intervenuti in una particolare puntata del famoso talk show condotto da Sonia Norton, scompaiono. Una buona idea sfruttata male. Alex Infascelli (Almost Blue) e Antonio Manzini non riescono a tradurre in un thriller efficace il soggetto firmato da Niccolò Ammaniti (da un bel romanzo del quale è stato invece ben tratto Io non ho paura). Regista e sceneggiatore indugiano infatti su dettagli e motivi secondari perdendo il filo del racconto. La trama investigativa – che in una storia su un’indagine poliziesca dovrebbe avere una certa rilevanza – è inconsistente. La suspense – che ci si aspetterebbe in un thriller – non incalza. La regia si concede manierismi analoghi a quelli che ingolfavano la narrazione anche in Almost blue. Ambientazioni sudicie, luci livide, atmosfere torbide: è avvertibile il tentativo di ricalcare lo stile di David Fincher (Seven, Fight club) di cui Infascelli è stato assistente alla regia per la realizzazione di alcuni video musicali.

Soprattutto, agli autori sembra sfuggire il tema stesso del film che stanno realizzando. Il siero della vanità (titolo depistante) verte sul dramma di persone che cercano una seconda opportunità. È il dramma di tutte le meteore televisive, che hanno brillato per un momento su un teleschermo, ma che non sono riuscite a trasformarsi in stelle fisse. Ma, nel film, è anche il dramma di poliziotti a cui è capitato di sbagliare e che hanno bisogno di ritrovare la fiducia in se stessi e in ciò che fanno. E, in generale, è il dramma di ogni uomo, che inevitabilmente commette degli errori e aspira ad avere l’opportunità di non ripeterli. Si trattava di un tema intrigante e profondo e il soggetto di Ammaniti avrebbe permesso di svilupparlo in modo interessante e originale. Ma regista e sceneggiatore si sono fatti prendere la mano dalla facile satira sociologica del malcostume televisivo, dal compiacimento negli stilemi del genere serial killer e sono andati fuori tema.

Ad aggravare i problemi è inoltre la mancanza di pietas nello sguardo degli autori sul mondo dei “famosi per quindici minuti”. C’è uno strisciante disprezzo per la Miss Italia che non ha sfondato, per la cantante di una sola canzone, per lo psicologo da talk show, per il comico dai travestimenti grotteschi, per l’illusionista che non è riuscito a diventare Houdini. E il disprezzo, oltre a non essere un proficuo atteggiamento critico, è un sentimento letale per una storia quando il narratore lo nutre nei confronti dei suoi personaggi. Elementi problematici per la visione: numerose battute volgari, numerose scene violente, alcune scene sensuali. Francesco Arlanch (la recensione è tratta dal libro "Film di valore" di prossima pubblicazione presso le edizioni ARES, a cura di A. Fumagalli e L. Cotta Ramosino).

Valori/Disvalori Traspare il disprezzo verso chi ha cercato di far fortuna alla televisione ed ha fallito

Si suggerisce la visione a partire da: Adulti. Numerose battute volgari, scene violente, alcune scene sensuali.

Giudizio técnico: **. Una buona idea (dal soggetto di Niccolò Ammanniti) sfruttata male dal regista e dallo sceneggiatore. Per gentile concessione di www.familycinematv.it.

Monster

9/05/2004 Regista: Patty Jenkins. Sceneggiatura: Patty Jenkins. Interpreti: Charlize Theron, Christina Ricci, Bruce Dern, Scott Wilson, Pruitt Taylor Vince. 103 min. USA. 2004. Adulti, con riserve.


Dopo tredici anni d’attesa, il 9 ottobre del 2002 moriva giustiziata in Florida Aileen Wuornos, considerata la prima serial killer degli Stati Uniti. Violata per la prima volta dal padre a 8 anni, prostituta a 13, il suo precipitare senza scampo in una vita da inferno inizia dopo aver conosciuto, in un bar frequentato da gay, una giovane e possessiva lesbica -Selby nel film-, con la quale fugge nel disperato tentativo di trovare un amore autentico. Il clima rarefatto di questa relazione traumatica, la disperazione dei genitori di Selby e il costante bisogno di soldi provoca, in Aileen, una tremenda agitazione che esplode davanti al brutale atteggiamento di un suo cliente. Sarebbe stato il primo dei sette uomini, che la Aileen dichiarò aver assassinato per legittima difesa.


Questa storia di sangue (ha già ispirato un telefilm e due documentari) segna il debutto, su grande schermo, della sceneggiatrice e regista Patty Jenkins, fresca di laurea all’American Film Institute. Senza dubbio, è un successo l’impressionante interpretazione dell’attrice sudafricana Charlize Theron, coproduttrice del film, Oscar per la migliore attrice e vincitrice anche del Globo d’Oro, nonché di numerosi premi della critica. Lontana da lei anni luce è Christina Ricci, troppo spesso non convincente.


Tale squilibrio tra le parti affossa ancor più la carenza di personalità di uno spettacolo, quello allestito dalla Jenkins, che diventa un’esibizione iperrealista della violenza e del sesso, la cui morbosità e volgarità offende la vista e l’udito. Tali difetti si assommano all’irregolarità del copione ed alla mancanza di prospettiva etica, che si rivela davvero irritante nei topici della vita lesbica, nonché per una certa qual indulgenza verso i crimini di Aileen, presentata quale vittima della società. Questo caos finisce per rendere indigesto tutto il film.

Jeronimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti, con riserve. Contenuti: V+, X+, D+, F+. Qualità: ** (MUNDO CRISTIANO)

The Company

9/05/2004. Regista: Robert Altman. Sceneggiatura: Barbara Turner. Interpreti: Neve Campbell, Malcolm McDowell, James Franco, Barbara R. Robertson. 112 min. 2004. Adulti.


Il film, stile documentario, riassume un anno di vita del Joffrey Ballet di Chicago. Le prove e gli spettacoli si intrecciano con le peculiarità di ballerini e direttori: un contratto, un progetto, un idillio, vecchie stelle che si ritirano per cedere il passo alle nuove, lo spettacolo che -per essere buono- esige molto lavoro e sacrificio; artisti di calibro mondiale che vivono in condizioni disagiate perché mal pagati, e così via. I personaggi meglio caratterizzati sono Ry (Neve Campbell), giovane e promettente speranza; Harriet (Barbara E. Robertson), ballerina veterana, ormai alle ultime esibizioni; Josh (James Franco), cuoco e amante di Ry, e Alberto Antonelli (Malcolm McDowell), direttore artistico della compagnia. Quest’ultimo personaggio è stato creato ad immagine di Gerald Arpino, leggendario direttore e coreografo del balletto Joffrey. L’evento principale narrato da questo bel film è la messinscena del balletto Il serpente blu, un’idea pazzesca -che per di più richiede un mucchio di soldi- di un coreografo canadese. All’inizio nessuno è soddisfatto: il budget, eccessivo; l’argomento e la strumentazione, ridicoli; l’autore, insopportabilmente pedante. Ma Antonelli intravede qualcosa di valido nel progetto. Così tutti si mettono a lavorare e ne esce fuori uno spettacolo di gran successo.

Girato come un documentario, The Company tematizza la creazione artistica in generale e il modo di concepirla, ed applicarla al balletto, da parte Robert Altman. In modo spontaneo la cinepresa entra in un lavoro che richiede oltre una cinquantina di attori, con la rispettiva parte, cui dedica il giusto tempo. Ma il ritmo narrativo è così freddo e distaccato, nel raccontare la passione nelle prove, gli idilli o gli incidenti professionali (come la rottura del tendine d’Achille di una ballerina), da sembrare quasi offensivo. La ribalta, in definitiva, spetta allo spettacolo di un’opera, in cui tutti sono coinvolti. Questa falsariga, tuttavia, arriva ad essere così schematica da lasciare insoddisfatti.
Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D, F. Qualità: ** (MUNDO CRISTIANO)

Cypher

9/05/2004. Regista: Vincenzo Natali. Sceneggiatura: Brian King. Interpreti: Jeremy Northam, Lucy Liu, Nigel Bennett, Timothy Webber. 96 min. 2004. Giovani.


Un ragioniere, sposatosi con una donna dispotica, decide di volger le spalle al tedio esistenziale e imbarcarsi in quella vita di libertà ed emozioni che gli garantisce la Digicorp, multinazionale tecnologica.

Il trentatreenne regista canadese Vincenzo Natali (Cube), ritorna ai suoi labirinti futuristi con un inquietante e stilizzato thriller di fantascienza e spionaggio industriale. L’inglese Jeremy Northam -premiato al festival di Sitges 2003- dà eccellente dimostrazione delle sue capacità interpretative, ben supportato dalla brava Lucy Liu, in un film validamente diretto, divertente ed emozionante. Benché Natali sappia far rendere i 10 milioni di dollari del budget, si avverte come la sua troupe provenga, per lo più, dai set televisivi. I ristretti orizzonti del film finiscono, così, per penalizzare la credibilità delle scene d’azione.


Come già avvenuto per Cube, Natali intride la sua ingegnosa trama di atmosfere opprimenti e inquietudini esistenziali. Sarebbe tuttavia stato auspicabile inserire un po’ più di anima in un copione troppo proteso alla costruzione dei personaggi e allo svolgersi delle vicende.

Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Identità violante (Taking lives)



9/05/2004. Regista: D. J. Caruso. Sceneggiatura: Jon Bokenkamp. Interpeti: Angelina Jolie, Ethan Hawke, Gena Rowlands, Olvier Martinez. 103 min. 2004. Adulti.


Angelina Jolie (Los Angeles, 1975), con le sue labbra carnose, dovrebbe costituire la marcia in più di un thriller di sbirri e psycho-serial-killer decisamente scontato: avrebbe meritato sale di terz’ordine, invece di finire su percorsi primari. La ragazza, carina e atletica - come sempre -, ci mette impegno; ma il copione è talmente scarso che, sia Angelina Jolie, sia il texano Hawke finiscono per smarrirsi.

Tutto (la rivalità tra sbirri, le morbose autopsie, gli ambienti rarefatti e sinistri della luminosa Montreal, gli interrogatori e gli inseguimenti, la violenza e gli spaventi) contribuisce ad elargire un film tedioso e prevedibile, che deve ricorrere a sfacciata volgarità (una sequenza erotica inserita a tutti i costi, senza necessità) pur di salvare lo spettatore dalla sensazione di forte perplessità che lo avvolge. Il film, negli Stati Uniti, ha raggiunto invece il terzo posto, per botteghino. Ma solo per la fama raggiunta da CSI (Crime Scene Investigation, telefilm della CBS di grande successo in USA), che i produttori hanno sfruttato, consegnando il progetto ad un abile regista televisivo.

Alberto Fijo. ACEPRENSA.