Koda fratello orso (Brother bear)

28/04/2004. Registi: Aaron Blaise, Robert Walker. Sceneggiatura: Steve Bencich. Colonna sonora: Phil Collins. Animazione: Mark Mancina. 85 min. 2004. Tutti.


È in corso l’ultima glaciazione, quando il giovane indiano Kenai diventa maggiorenne. I Grandi Spiriti gli assegnano il totem-amuleto dell’orso, simbolo dell’amore. Al giovane non piace: preferisce l’aquila, simbolo del coraggio, assegnata a suo fratello maggiore, Sitka, o l’astuto lupo concesso all’altro fratello, Denahi. Kenai provoca una tragedia e i Grandi spiriti lo trasformano in orso. L’orsacchiotto loquace, Koda, lo guiderà nel suo viaggio iniziatico, fino alla montagna dove la luce lambisce la terra.


Questo cartone animato, dello stesso team che realizzò Mulan e Lilo&Stich, è di pregevole fattura e rivela dettagli geniali, come la carica dei caribù, gli stormi di gabbiani o le illusioni ottiche suscitate dagli orsi bianchi sovrapposti allo sfondo di ghiaccio. La narrativa fluisce libera. Il livello artistico raggiunge i limiti cui può pervenire il cartone animato convenzionale in 2D. Include bellissime immagini di pitture rupestri, giocando bene con le dimensioni dello schermo. Ordinario nella prima mezz’ora, con una gamma di colori smorti, diviene panoramico, a colori smaglianti, da quando Kenai si trasforma in orso.


Peccato tutto questo spreco di talento in una storia che stenta a decollare. La prima parte, è una lezione di mistica New Age. La seconda, grazie all’apparizione di nuovi personaggi, ne guadagna in ritmo ed interesse, raggiungendo un positivo bilancio finale. Fernando Gil-Delgado, ACEPRENSA.

Pubblico. Tutti. Contenuti: -- Qualitá: *** (MUNDO CRISTIANO)

Finestra segreta (Secret window)

28/04/2004. Regista. David Koepp. Sceneggiatura: David Koepp. Interpreti: Johnny Depp, John Turturro, Maria Bello, Charles Dutton, Len Cariou. 96 min. USA. 2004. Adulti.


Mort Rainey (Johnny Deep), prolifico scrittore di gialli, è in crisi totale: la moglie lo ha abbandonato; vive da solo, nel suo mondo caotico, in una capanna isolata vicino a un lago. Soffre anche una crisi tremenda: cerca di scrivere, ma passa la maggior parte del tempo dormendo. Un giorno, chiamano alla porta e un tizio inveisce al suo indirizzo: “Mi hai rubato la storia!”. Quindi, gli porge un manoscritto: si tratta della replica letterale di un racconto, pubblicato anni prima da Rainey, intitolato “Finestra segreta”.


Il progetto di Finestra segreta, iniziato dalla Columbia, ansiosa di adattare un racconto di Stephen King, è stato affidato al regista-sceneggiatore di 40 anni David Koepp (L’uomo ragno, Panic Room, Missione impossibile, The Paper). Il risultato è positivo, con qualche riserva. Il copione risulta ben orchestrato, pieno di aspetti interessanti e di sorprese. Il regista ed il team di disegnatori sono riusciti a creare una ambientazione adeguata ad un racconto di mistero. La stessa casa, dove abita Rainey, sembra quasi un ulteriore personaggio. Depp dimostra, ancora una volta, il suo talento di dar vita a personaggi strani, come questo scrittore traumatizzato, da mesi taciturno e solitario.


La storia non appare originale: è un thriller, ma con mix convenzionale di mistero e fantasia. Non ci vuol molto a intuirne la trama; tanto più, trattandosi di un noto racconto di Stephen King. Non resta che rassegnarsi a un finale abbastanza scontato.
Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

A/R Andata+Ritorno

Regia: Marco Ponti. Sceneggiatura: Marco Ponti . Interpreti: Libero de Rienzo (Dante), Vanessa Incontrada (Nina), Kabir Bedi (Tolstoj). 96 m. Italia. 2004. Giovani.

A/R è il secondo lavoro dello sceneggiatore/regista di Avigliana Marco Ponti, dopo il buon successo di Santa Maradona (2001). Ritroviamo subito il suo stile personale ed inconfondibile di scrivere i dialoghi: botte e risposte veloci, ironiche ma spesso surreali, sempre giovanili come sono tutte le sue storie. In Santa Maradona il soggetto era assolutamente semplice e banale: giovani laureati in materie letterarie eternamente disoccupati che affrontano con goliardica filosofia i loro amori giovanili. Anche adesso, in andata+ritorno, la storia è fatta di niente: un ragazzo che anche questa volta non riesce a pagare l'affitto a fine mese (anzi ha dei debiti con la malavita) e una ragazza hostess di linea, che non riesce ad atterrare mai in una storia d'amore un po' seria.

Questa volta la comicità del racconto è meno intellettuale del precedente lavoro e più diretta, più vicina alla commedia all'italiana (tutta l'ultima parte del film è un omaggio a I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. C'è il rischio che il film venga dimenticato subito dopo l'uscita dal cinematografo? C'è il rischio di un effetto Pieraccioni, che graditissimo al pubblico nelle sue prime opere (I laureati, il ciclone) ha finito per venir travolto dalla sua stessa insostenibile leggerezza del narrare? Sono cosciente del fatto che A/R è stato mediamente giudicato inferiore alla prima opera, ma io voglio andare contro corrente : il lavoro è sì leggero ma questo costituisce la sua forza: una leggerezza che è stata trasformata in poesia romantica, come quando lui è invitato con un biglietto a salire sul tetto del museo egizio di Torino ad un'ora precisa, per poter vedere il volo di lei che passa sul cielo; "ma le hostess sanno anche tornare". Marco Ponti ha mostrato finora di saper raccontare benissimo le storie ; la prossima volta lo aspettiamo per un impegno meno minimalista.

Franco Olearo. Per gentile concessione di www.familycinematv.it.

Pubblico: Adolescenti. Contenuti: S, D, F .Qualità: *** (FAMILYCINEMATV)

Il segreto di McCaan (Secondhand Lions)


28/04/2004. Regista: Tim McCanlies. Sceneggiatura: Tim McCanlies. Interpreti: Michael Caine, Robert Duvall, Haley Joel Osment, Kyra Sedgwick. 111 min. 2004. Giovani.


Il segreto dei McCaan e un’incantevole storia di un paio di vecchi brontoloni, obbligati a sopportare durante l’estate il loro nipote di 12 anni, il timido Walter, cresciuto orfano di padre e vedendo poco anche sua madre. Un giorno, viene a sapere di avere dei parenti: sono tornati gli zii, Hub (Robert Duvall) e Garth (Michael Caine), da molto tempo assenti, e hanno comprato un ranch, dove vivono soli e, a quanto pare, con un’immensa fortuna. La storia nasconde un doppio mistero: dove si trova e da dove è saltato fuori il tesoro dei vecchi zii? Qual è la verità sui fratelli Hub e Garth?


La storia che ha scritto il regista Tim McCanlies ne ricorda altre (On Golden Pond, Big Fish), perché contiene elementi comuni all’immaginario universale, dove ci sono grandi e piccoli, dove un vecchio brontolone rivela un cuore d’oro, dove bisogna raccontare una storia ad un minore. La differenza è data dal tono equilibrato e dalla luminosa interpretazione dei veterani Caine e Duvall, davvero convincenti, ben coadiuvati dal giovane, Haley Joel Osmet. La bontà del messaggio, lo spirito avventuriere di altri tempi e i flash-back secondo il migliore stile hollywoodiano completano un film, più che riuscito, di un regista cinquantenne, autore della sceneggiatura di Iron Man e di Smallville. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Non ti muovere

28/04/2004. Regia: Sergio Castellitto. Sceneggiatura: Margaret Mazzantini, Sergio Castellitto. Interpreti: Sergio Castellitto (Timoteo), Penelope Cruz (Italia), Claudia Gerini (Elsa), Angela Finocchiaro (Ada) Italia, Spagna, Inghilterra 2004. 125 m. Scluso.

Visione dall'alto di una strada bloccata da macchine poste di traverso. La pioggia precipita giù fitta. Primo piano di un casco di motorino con i lacci aperti. Un'autoambulanza porta via una giovane ragazza. Inizia così la seconda prova di regista di Sergio Castellitto che ha portato sullo schermo il libro omonimo, premio Strega 2002 di Margaret Mazzantini, qui nelle vesti di co-sceneggiatrice.

Timoteo, chirurgo nell'ospedale dove è stata portata la ragazza ferita, scopre che si tratta di sua figlia. Resta lunghe ore ad attendere fuori dalla sala operatoria ed intanto, solo ed impotente davanti ad un destino che non può condizionare, sente il bisogno di confessare a sé stesso un evento accaduto 15 anni fa, quando sua figlia non era ancora nata e lui si era trovato, in piena estate, con la macchina in panne, alla periferia di Roma. Un donna modesta e neanche attraente lo aveva invitato nella sua casa abusiva, soffocata da palazzoni in costruzione, perché potesse fare una telefonata. Timoteo, annebbiato da un eccesso di alcool, se ne era impossessato brutalmente, senza una parola.

Quando poi era ritornato alla sua splendente villa al mare, dalla sua bella moglie, giornalista impegnata e con poca voglia di avere figli, risucchiato dagli impegni mondani della società di cui fa parte, aveva sentito nostalgia per quella attrazione primitiva ed era ritornato più volte a compiere quel silenzioso rituale finché, scoperta che non smettiamo mai di riscoprire, si era accorto che sulla sessualità aveva attecchito il sentimento e che dentro quel corpo c'era la fragile e dolorosa umanità di una donna troppo sola. Timoteo ama Itala, come lui le dichiara? La mia risposta è No.

Timoteo mantiene sempre la distanza di un uomo che ha e che può, né rinuncia alla sua superiorità quando le regala quelle scarpette rosse che le piacciono tanto; meglio piuttosto parlare di compassionevole empatia, struggente rimorso verso quella testimonianza vivente della sua incapacità di prendere una decisione. Ad un certo punto della storia l'onesta Italia, appena saputo che la moglie di lui sta aspettando un figlio, si domanda se il Signore li potrà mai perdonare. Nessun dubbio traspare invece in Timoteo, che oltre a dichiarare che Dio non esiste, non sente la necessità di giustificarsi davanti a nessuno.

L' interpretazione di Penelope Cruz è eccezionale e forse confermerà la regola che per vincere un premio occorre imbruttirsi. Il personaggio di Penelope è autoconsistente: ad ogni battuta che dice si percepisce il suo doloroso passato e si intravede il suo tragico destino.

Non così per Castellitto, il cui personaggio non è messo a fuoco nelle sue vere motivazioni. Per la suo senso di noia della vita e la ricerca di sensazioni forti, si potrebbe disturbare anche il nichilismo dello "Straniero" di Camus, ma sarebbe andare oltre le intenzioni della stessa autrice. Più realistico fare riferimento al solito italiano infedele e debole impersonato da Gassmann e Tognazzi in tante commedie all'italiana; solo che in questo caso il tono è terribilmente melodrammatico (si entra e si esce continuamente da una sala operatoria).Molto efficace invece Castellitto come regista: mostra di aver colto, con intuizioni visive originali e con una realizzazione molto curata, lo spirito delle pagine del romanzo della moglie. Franco Olearo. Per gentile concessione di www.familycinematv.it

Pubblico: Sconsigliato. Contenuti: V+, X+, D, F+ Qualità: **** (FAMILYCINEMATV)

Peter Pan

21/04/04. Regia: P.J. Hogan. Interpreti: Jason Isaacs, Jeremy Sumpter, Rachel Hurd-Wood, Olivia Williams, Lynn Redgrave, Ludivine Sagnier. 113 m. Tutti. 2004.


Ennesima versione di Peter Pan e Wendy, tratta dal popolare racconto di James Barrie, mescola la fedeltà al testo a spunti molto personali del regista. Da un lato, si accentua la storia sentimentale infantile tra Peter Pan e Wendy, molto più esplicita che in precedenti versioni. Dall’altro, si esalta la figura della madre e della famiglia in genere, mostrando quindi il personaggio di Peter Pan, ancora in cerca di una sua fisionomia definitiva. Questo, il grande pregio del film. La figura del padre di Wendy, il Signor Darling - rude e banale, nella versione di Walt Disney - appare qui molto timido, complessato, stile Woody Allen, con spunti davvero divertenti. Il cane Nana cede il ruolo di protagonista agli umani, specialmente alla zia di Wendy, una amabile Rottenmeyer che sperimenterà vari mutamenti esistenziali.


La visione del film è tutto un traboccare di fantasia e sogno, sulla scia dei grandi successi di Disney, con qualcosa in più. Capitan Uncino, personaggio pieno di drammi interiori, suscita simpatia nello spettatore. Invece, Giglio Tigrato svolge una parte meno rilevante. La chiave di succeso del film è data dal cast, con le sorprendenti rivelazioni di Rachel Hurd-Wood, nei panni di Wendy, e Olivia Williams, nel ruolo della madre. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Oceano di fuoco (Hidalgo)

21/04/04. Regista: Joe Johnston. Sceneggiatura: John Fusco. Interpreti: Viggo Mortensen, Omar Sharif, Zuleikha Robinson, Malcolm McDowell, J.K. Simmons. 136 m. Giovani. 2004.


Da secoli, si chiama Oceano di fuoco uno spaventoso raid di 3.000 miglia, pieno di insidie, attraverso i deserti dell’Arabia. Ogni anno gareggiano i più abili cavalieri beduini, montati sui migliori destrieri arabi. Molti dei partecipanti morivano durante la corsa, per sete, o uccisi da predoni. Nel 1890, partecipò alla gara uno statunitense di nome Frank T. Hopkins, scout dell’esercito degli Stati Uniti, a cavallo di Hidalgo, il suo mustang, nauseato dai massacri di indiani e dalla partecipazione al patetico circo di Buffalo Bill. Era la prima volta che prendeva parte alla corsa uno straniero, per di più su di un cavalcatura di taglia modesta.


Frank Hopkins è veramente esistito, ma Oceano di fuoco è pura fiction, classico film di avventura, realizzato da un regista, come Joe Johnston, esperto nel genere (Jumanji, Jurasic Park III). L’eroe è un solitario cavaliere a caccia d’avventure, in groppa al suo cavallo; ci sono grandi cavalcate, inseguimenti, battaglie campali, sequestri e liberazioni di principesse, tempeste di sabbia, imboscate, pozzi d’acqua avvelenata, trappole assassine, esotici oasi, storie d’amore e tanti di quei dettagli, da superare lo standard hollywoodiano.

La narrazione filmica si avvale dei migliori effetti tecnici moderni, ora per rallentare l’azione, ora per cercare (forse senza sempre riuscirci) di darne profondità. Come nel personaggio del samurai di Tom Cruise, Hopkins vive da alcolizzato, perseguitato dagli incubi del passato. Per di più, con l’aggravante di essere meticcio. L’avventura di Hidalgo richiama il recente Seabiscuit, il cavallo considerato tipico perdente, che trionfa grazie alla costanza e alla tenacia del suo fantino. Una divinità indiana, stile New Age come Hollywood ci ha abituati, viene evocata al momento culminante, per infondere coraggio al cavaliere e alla sua cavalcatura. Un Viggo Mortensen, comunque credibile, apporta al ruolo del suo personaggio un aria di nobiltà e di spiritualità.

Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: VF. Qualità: *** (MUNDO CRISTIANO)

Ti do i miei occhi (Te doy mis ojos)

21/04/04. Regia: Icíar Bollaín. Sceneggiatura: Icíar Bollaín e Alicia Luna. Interpreti: Laia Marull, Luis Tosar, Candela Peña, Rosa María Sardá. Kiti Manver. Giovani-Adulti. 106 m. 2004.


Dedicato al tema della violenza domestica, il film può trasformarsi in arma a doppio taglio. Infatti, trattandosi di argomento in gran voga sui mass media, e ammettendo che investa un problema da prendere sul serio, il pubblico interessato, purtroppo, si rivela spesso incline al facile manicheismo, avido di truculenze di basso livello. Per questo, è da elogiare il virtuosismo della spagnola Icíar Bollaín (Hola, ¿estás sola?, Flores de otro mundo), che ha girato un film equilibrato e ricco di sfumature.


La storia si centra nel rapporto guastatosi tra Pilar e Antonio (molti bravi Laia Marull e Luis Tosar), sposati e con un bambino, in una città di provincia. Una notte, lei si presenta in lacrime, col bimbo, in casa della sorella. Ha sofferto un ennesimo episodio di maltrattamento, che la spinge alla separazione temporanea. La coppia continua a sentirsi innamorata, ma lei quasi non può dominare la paura quando intravede l’inizio di un episodio di violenza, da parte di lui. Uscire, lavorar fuori casa in un museo, stringere nuove amicizie è ciò che offre a Pilar nuove possibilità.


Anche Antonio, da parte sua, vuole uscirne mettendosi in cura, ma i suoi stessi angusti orizzonti vitali rappresentano un pesante fardello. Il quadro è completato dall’ambiente che circonda la coppia: la madre, che ha resistito accanto al marito fino alla fine dei suoi giorni; la sorella, indignata, che non capisce come Pilar voglia fare un altro tentativo di risollevare le sorti del matrimonio; le colleghe di lavoro, presentate con tratti stereotipati, prototipi di un’indipendenza per lo più esibita; il terapeuta, a caccia di soluzioni; i compagni della terapia di gruppo, che presentano uno spaccato del livello di considerazione, di cui godono presso le rispettive mogli.


Bisogna apprezzare la poliedrica presentazione del problema, che evita di demonizzare qualcuno. In ogni caso, Bollaín, adotta un taglio comune a certo cinema contemporaneo, quasi totalmente impermeabile alla trascendenza e senza speranza nella possibilità che le persone cambino. Le scene di violenza sono misurate. Spesso, il panico è evocato più per allusione, o accennato ricorrendo a sequenze accelerate. Si può capire la dura scena dell’umiliazione, che si svolge in terrazzo, anche se avrebbe potuto essere più castigata, senza perdere di efficacia. Poche invece le attenuanti per una scena erotica, seppure inserita a sottolineare il desiderio dei due protagonisti, dopo la prolungata separazione. Jose María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X+, D+, F. Qualità: *** (MUNDO CRISTIANO)

Fratelli per la pelle (Stuck on you)


21/04/04. Regia Peter e Bobby Farrelly. Sceneggiatura. Peter e Bobby Farrelly. Interpreti: Matt Damon, Greg Kinnear, Eva Mendes, Meryl Streep, Cher. 118 m. Adulti. 2004.

Un nuovo film “demenziale” dei Farrelly (Tutti pazzi per Mary), questa volta più gradevole e sentimentale, e perfino con validi contenuti. Due fratelli siamesi di 30 anni si sono abituati a vivere insieme, a condividere le passioni e aiutarsi in tutto. Il giorno che Bob s’innamora e Walt vuole trionfare a Hollywood come attore, la loro vita in comune si farà più complessa, dovendo fronteggiare importanti cambiamenti. Non mancano situazioni grossolane, ma il bilancio è positivo. Ci sono graffianti critiche al mondo del cinema, ai rapporti su Internet, al politically correct. E si smonta il mito dell’individualismo e dell’indipendenza, come forme di libertà. I protagonisti, testimoni di una vita senza egoismi, sono capaci di sacrificarsi l’un per l’altro, per di più divertendosi un mondo. Il film è completato da una rassegna di attori secondari a rappresentare, tattate con delicatezza, tutte le minoranze sociali immaginabili: cinesi, latini, indiani, negri, e anche emarginati e deficienti. Damon, Kinnear e Eva Mendes ne escono attori a pieno merito. Meryl Streep e Cher recitano la parte, senza il minimo senso del ridicolo. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S+, D, F. Qualità: *** (MUNDO CRISTIANO)