The departed

28/10/2006. Regista: Martin Scorsese. Sceneggiatura: William Monahan, Wai Keung Lau, Siu Fai Mak. Interpreti: Leonardo DiCaprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Mark Wahlberg, Martin Sheen, Ray Winstone, Vera Farmiga, Alec Baldwin, Anthony Anderson. 152 min. USA. 2006. Adulti. (VXD)

In film come New York Stories, Quei bravi ragazzi, Casinò, o Gangs of New York, Martin Scorsese ha già manifestato la sua cruda visione dei gruppi mafiosi operanti negli Stati Uniti e dei tentativi di infiltrazioni nella controparte: la polizia. Tentativi a loro volta ricambiati. E questa reciprocità costituisce l’argomento centrale di The Departed, adattamento libero del film di grande successo Infernal Affairs (2002), di Wai Keung Lau e Siu Fai Mak.

L’azione gira intorno a Frank Costello, il potente e crudele capo-mafia di Boston. Per farla finita con Frank, il Dipartimento di Polizia del Massachussetts inserisce nell’entourage di Costello un infiltrato: il giovane poliziotto Billy, idealista e pronto a rischiare di persona, originario dello stesso quartiere del mafioso. Ma il mafioso, in contemporanea, infiltra nell’Unità Indagini Speciali della Polizia Federale Colin, altro giovanotto del sud di Boston, ora trasformatosi in prestigioso agente di polizia.

Oltre la crescente angoscia che accomuna gli infiltrati, per la doppia vita cui devono sottoporsi, questo film di Scorsese preferisce, a differenza di altri film dello stesso genere, ribadire la tipica e topica connection tra poliziotti corrotti e mafiosi crudeli, così ricorrente nel genere poliziesco. Inoltre, il crescente fatalismo della trama -con il conseguente inasprirsi di violenza, sordidezza e scene osé- finisce per diventare irritante e artificiosa: troppo somigliante al cocktail impiegato da Scorsese in altri suoi film. Ne deriva una scarsa verve drammatica e morale del copione, nonché una desolata crudezza capaci di svalutare l’eccellente regia di attori e la coinvolgente messa in scena, dove Scorsese si conferma nel dominio delle inquadrature, nella mobilità delle riprese e nelle forme di transizione, di azioni in parallelo, di effetti di montaggio… In questo senso, The Departed è un brillante esercizio di stile, classico e moderno al contempo, ma non rientra nel novero dei migliori film del veterano regista di New York. Jeronimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Water

28/10/2006. Regista, sceneggiatura: Deepa Mehta. Interpreti: Seema Biswas, Lisa Ray, John Abraham. 115 min. India, Canada. 2005. Giovani-adulti. (SD)

Deepa Mehta, regista indiana di 55 anni, residente a Toronto dal 1973, chiude con Water la sua trilogia degli elementi (Fire, Earth). E lo fa con una commovente e bella storia relativa alla penosa situazione in cui versano le vedove, nel suo paese di origine. La storia ha luogo nel 1938, nel pieno della lotta di Gandhi per ottenere l’indipendenza del paese. Alla morte del marito, un giorno dopo le precoci nozze, la vedova-bambina, Chuyia -di soli 8 anni- entra in un ashram: una residenza per vedove. Attraverso i suoi innocenti occhi misuriamo il clima di un paese esotico, dominato da un tremenda divisione di classi, a sua volta fonte di gravissime ingiustizie: tra queste, la situazione di abbandono in cui versano le donne che restano vedove. Notevoli interpretazioni e buon polso narrativo emergono in un racconto variegato, che inquadra la realtà sociale del paese attraverso una trama romantica. La protagonista è una delle vedove dell’ashram, che esercita la prostituzione.

Mehta evita la tentazione di cadere nel folklore pittoresco, caratteristica di molti film girati nei paesi più frequentati dal turismo occidentale. Sono davvero rivelatrici due importanti considerazioni che aiutano a inquadrare il film nel contesto adeguato. Innanzitutto, la situazione delle vedove persiste, tuttora, davvero penosa in varie zone dell’attuale India: ossia, a settant’anni circa dall’epoca in cui è ambientato il film. Un secondo aspetto duro da digerire: le autorità indiane hanno rifiutato il permesso di girare nei luoghi originali evocati dal film, costringendo la regista ad effettuare le riprese in Sri Lanka, con molte misure di sicurezza: sempre con la paura di attentati o azioni di disturbo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

The black dahlia

28/10/2006. Regista, Brian De Palma. Sceneggiatura: Josh Friedman. Interpreti: Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Aaron Eckhart, Hilary Swank, Mia Kirshner. 120 min.USA. 2006. Adulti. (VXD)

Los Angeles, 1947. Il cadavere di Elizabeth Short, giovane aspirante attrice, compare selvaggiamente mutilato in uno spiazzo vuoto di Hollywood. Il mistero che avvolge l’omicidio alimenta l’interesse della stampa, che battezza il caso come “l’assassinio della Dalia Nera” (per il colore dei vestiti della vittima, ma anche a ricordo di La Dalia Azzurra, film dell’anno precedente, scritto da Raymond Chandler con Veronica Lake protagonista). All’epoca si ipotizzarono numerose teorie ricostruttive: alcune voci giunsero ad attribuire il crimine a celeberrimi personaggi del cinema. Ma il caso rimase irrisolto.

Nel 1987 lo scrittore americano James Ellroy -che, ancora bambino, fu spettatore del violento assassinio della madre- decise di raccogliere il testimone di questo crudele episodio. Nel suo libro, oltre ad inventare un colpevole, ordiva intorno all’omicidio della Dalia una sordida e intricata trama di violenza, crimine, depravazione, pornografia e corruzione, con il massimo eclettismo possibile…

Quasi vent’anni dopo, il veterano regista Brian De Palma, decide di portare sul grande schermo il brutale romanzo di Ellroy. Inizialmente, De Palma aveva quasi tutto a suo favore, per girare un buon noir: un’intensa storia basata su fatti reali, un cast più che accettabile, ove brillano soprattutto le due protagoniste femminili -Scarlet Johansson e Hilary Swank-, nonché un generoso preventivo per largheggiare in spese, relativamente alle ricostruzioni ambientali. E, soprattutto sulla sua esperienza di regista, peraltro frequentemente sopravvalutato.

Con un budget assai più limitato, Curtis Hanson e Brian Helgeland adattarono un altro romanzo di Ellroy –L.A. Confidential- traendone un stupendo film, capace di incassare 126 milioni di dollari. Al contrario, il film di De Palma non raggiunge le aspettative: è un film di classe, ben girato, con una fotografia molto curata, ma che lascia lo spettatore assolutamente freddo. Con le relative conseguenze.

Il film, non solo ci impiega troppo a partire, ma molto prima della farraginosa conclusione è già finito a fondo. Il copione di Josh Friedman (il padre del noiosissimo La guerra dei mondi) è debole e confuso; se già non si segue bene la trama, nemmeno resta, almeno, la soddisfazione di soffermarsi sui personaggi: privi di profondità e non credibili, se non anche ridicoli (soprattutto quando li si vuole presentare nelle loro esaltate passioni e ossessioni). In questo panorama, tutto si rende più difficile per il cast, che perviene soltanto ad interpretazioni meramente corrette, ad eccezione di Johansson, capace di rasentare il patetico.

The Black Dalia (50 milioni di budget, 22 milioni ricavati negli Stati Uniti) conferma due cose. La prima è che il noir privo di copione, di personaggi e di conflitto morale -qui quasi del tutto assente- risulta un prodotto altamente indigesto. E ciò, malgrado la buona ambientazione e certe scene di azione davvero riuscite (De Palma usa la steadycam forse come nessuno, ma come narratore è decisamente scarso). La seconda: bisognerà attendere la “prequel” di Gli Intoccabili, per vedere se De Palma riesce a recuperare consensi. Probabilmente intitolato The Untouchables: Capone Rising, il film racconterà l'arrivo del boss malavitoso a Chicago e la sua ascesa ai vertici del mondo criminale. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Little Miss Sunshine

28/10/2006. Registi: Jonathan Dayton, Valerie Faris. Sceneggiatura: Michael Arndt. Interpreti: Grez Kinnear, Steve Carell, Toni Collette, Alan Arkin, Abigail Breslin. 101 min. USA. 2006. Adulti. (DS).

La storia è semplice. Si potrebbe riassumere in una riga: gli Hoover si recano, in uno sgangherato furgoncino, ad un concorso di bellezza infantile. Se si descrive un po’ gli Hoover, la cosa si complica. Olive, la piccola e grassottella beniamina, è quella che si presenta al concorso. L’accompagnano il fratello Dwayne –stupido adolescente che ha fatto voto di silenzio-, il nonno -un singolare anziano, incallito in pornografia ed eroina-, suo zio –gay, con un tentativo di suicidio alle spalle-, il papà -un professionista del training autogeno, che vende ricette per raggiungere il successo-, e la mamma, che dedita al tentativo di mantenere unita questa strana famiglia.

Dalla sua eccellente accoglienza nel festival di Sundance, questo film costato soltanto 8 milioni di dollari non ha smesso di lievitare; lo riprova l’eccellente risultato economico ottenuto negli USA, accompagnato dal recente successo di pubblico al festival di San Sebastian. Parte del successo è dovuto, senza dubbio, a un copione molto divertente che riesce a diluire -al meno a camuffare- una brutale carica critica contro la società del successo, che è anche la società del l’edonismo, della confusione e della mancanza di riferimenti educativi (da antologia le scene dove ognuno dei genitori propone consigli opposti ai figli).

Il problema, come in tante altre produzioni di matrice indipendente che mettono il dito nella piaga, è che la soluzione finale -tipo “non c’è niente di più bello della famiglia unita”- appare così leggera e superficiale come le toppe ai piedi. Servono soltanto a concludere il film. In fondo, lo riconosce meravigliosamente la co-regista Valerie Faris quando afferma che “non volevamo girare un film suoi valori famigliari, ma sul valore della famiglia”. È sempre qualcosa, ma... Davvero basta questo? Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: D, S (ACEPRENSA)

Pirati dei Caraibi. La maledizione del forziere fantasma

21/10/2006. Regista: Gore Verbinski. Sceneggiatura: Ted Elliott y Terry Rossio. Interpreti: Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley, Stellan Skarsgard, Bill Night. 150 min. USA. 2006. Giovani. (VS)

Nel cinema nessuno possiede la formula magica del successo. Perciò, quando uno fa centro con un film, non gli resta altro che pensare di trarne un successivo episodio. Proprio quello che si è verificato anche per il tandem Bruckheimer-Verbinski, dopo che nel 2003 proposero Pirati dei Caraibi: La maledizione della prima luna, con cui hanno guadagnato larghi consensi di pubblico, di buona parte della critica e di un grande numero di quei cineasti nuovamente propensi a vedere con favore la possibilità di risuscitare generi di film giudicati morti e sepolti da tempo.

Questo film prosegue proprio dove era terminato il precedente: le fallite nozze di Elizabeth e Will. La trama, benché più complicata e con un maggior numero di personaggi secondari, riprende lo stesso schema: due squadre, nella prima Jack Sparrow -con i buoni- e nell’altra i cattivi, in questo caso un po’ sfumati, diretti -questo sì- dal super spietato Capitano Jones. Comunque, la trama è la cosa meno importante perché, siccome ci sarà un terzo episodio, il film finisce con il classico: “il seguito alla prossima puntata”.

Se La maledizione della prima luna ha costituito una gradevole sorpresa -specialmente per il riuscitissimo personaggio di Johnny Depp, la seconda parte manca proprio del fattore sorpresa. Il che rende quanto meno inspiegabile la lunghissima durata del film: gli ultimi quaranta minuti -con il terzo attacco del kraken- risultano pesanti.

A parte lo scoglio dell’eccessiva lunghezza, questa seconda parte è però più che accettabile. Come nel primo episodio, c’è una saggia dosatura di azione e humour -molto spassosa la storia nell’isola di Pelegosto-; ma il tono generale è più dark e molto meno romantico.

Il film ha una messa in scena spettacolare, di quelle che aiutano a riconciliarsi con il cinema commerciale, che non lesina mezzi né per ricostruire le navi -occhio al vascello dell’Olandese volante-, né per girare battaglie –otto giorni per girare la scena del combattimento più impegnativo- e nemmeno per cercare e ricreare località e scenari.

Nel capitolo interpretativo, Johnny Depp, anche se rischia di diventare ripetitivo (nella prima film era stato invitato a inventarsi pure il personaggio, dandogli carta bianca) continua nel suo ruolo alla grande. Anche se non è tanto difficile far bella figura se hai come comprimari, al solito, un mediocre Orlando Bloom e una -più che mai- scarsissima Keira Knightley. Malgrado i 150 minuti e il recital di smorfie di Knightley, a fine agosto il film aveva incassato 924 milioni di dollari: è in testa agli incassi del 2006. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Il diavolo veste Prada

21/10/2006. Regista: David Frankel. Sceneggiatura: Aline Brosh McKenna. Interpreti: Meryl Streep, Anne Hathaway, Emily Blunt, Stanley Tucci, Adrian Grenier. 109 min. USA. 2006. Giovani-Adulti (SD).

Crudelia De Mon, voglio dire, Miranda Priestly, è la redattrice capo di Runway, prestigiosa rivista americana di moda. La redazione di Runway assomiglia moltissimo ad una passerella di moda, dove le giornaliste-modelle sfilano al suono della musica della loro dispotica principale. Sono le regole del gioco. Quelle che dovrà imparare Andrea Sachs, l’ultima stagista assunta da Miranda, se vuol conservare il posto di lavoro.

Nel 2003, Lauren Weisberger scrisse Il diavolo veste Prada, un best-seller applaudito dal pubblico e criticato dalla stampa, specialmente quella specializzata in moda. Non si trattava di permalosità: Weisberger aveva lavorato come stagista a Vogue, agli ordini di Anna Wintour, capo dell’edizione nordamericana della famosa testata francese e una delle persone più influenti nel mondo della moda.

A questo punto avrete capito che la tiranna Miranda Pirestly è Anna Wintour e che il film è una crudele radiografia del mondo del giornalismo e della moda, mascherato da commedia leggera.

Il film è prevedibile, ma David Frankel ha un copione intelligente -e a tratti divertente-, che raccoglie alcune idee azzeccate sul prezzo della fama. Se inoltre hai un buono staff tecnico e nel cast un valore sicuro -Meryl Streep- e un ispirato Stanley Tucci, il risultato è un prodotto molto superiore a commedie simili.

Inoltre, in modo che tutto finisca bene, Anna Wintour ha preso il film con humour: è andata all’anteprima e ovviamente vestita Prada. E come poteva non esserlo? Peraltro, ha abbandonato poi la sala a metà film. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Scoop

21/10/2006. Regista, sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Woody Allen, Scarlet Johansson, Hugh Jackman, Ian McShane, Nigel Lindsay, Robyn Kerr. 96 min. USA. 2006. Adulti. (S)

Sembra come se con Match Point il regista di New York avesse voluto iniziare una nuova tappa creativa con nuovi argomenti e ossessioni, e con nuove muse e ambienti. Infatti, nel suo ultimo film, Scoop, ripropone: attrice protagonista (Scarlet Johansson), città (Londra) e argomenti (aristocrazia britannica, amori interclassisti, fantasmi dell’aldilà che ritornano per risolvere questioni pendenti…). Non è Woody Allen a rompere con il suo passato: più semplicemente evolve. Di fatto è impossibile qui non vedere evidenti parallelismi tra questo film e Misterioso omicidio a Manhattan o La maledizione dello Scorpione di Giada. Anche il semplice intreccio di Scoop ricorda in molti momenti la suspense di Hitchcock. Per esempio in Il sospetto o in Notorius, film garbatamente rievocato nella scena della discesa in cantina con un mazzo di chiavi: quello che possiede soltanto il criminale.

Sondra (Scarlet Johansson) è una giovane studentessa di giornalismo che un giorno riceve una rivelazione mentre si presta al ruolo di cavia in uno spettacolo di magia. In questa rivelazione, viene informata del nome dell’autore di un noto omicidio, uno psicopatico che terrorizza la società londinese. Ma il nome è quello di un uomo conosciuto e influente dell’aristocrazia britannica. Sondra, aiutata dal pusillanime mago Splendini (Woody Allen), si lancia nell’indagine di questo caso, che potrà far di lei una prestigiosa giornalista.

Il film si presenta definito dallo stile comico tradizionale di Allen: dialoghi ironici e divertenti, gags commisurate all’emblematica personalità del suo personaggio, nonché un surrealismo già esibito in Harry a pezzi, dove le questioni ultime convivono con il quotidiano in modo sorprendente. Qui vediamo, per esempio, la morte con tanto di falce, che appare nel film come la cosa più normale. Il sesso, la psicoanalisi e il giudaismo, argomenti ricorrenti nel cinema classico di Allen, sono notevolmente ridimensionati, per lasciare spazio a questioni come la colpevolezza, la morte, la critica sociale che, senza difettare nella precedente filmografia, sembrano ora e in Match Point presentare nuovi aspetti.

Il film non pretende di trattare con profondità un determinato tema, ma soltanto evocare questioni che preoccupano l’autore, e soprattutto, divertire molto. Lo dimostra la trama e lo humour che funziona perfettamente. Inoltre, l’improbabile tandem Allen-Johansson offre qui risultati davvero inattesi. Non si tratta di un capolavoro, bensì di un’ulteriore saggio di un cineasta che produce un film all’anno. Lui lo sa, né altro pretende. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S (ACEPRENSA)

World Trade Center

21/10/2006. Regista: Oliver Stone. Sceneggiatura: Andrea Berloff. Interpreti: Nicolas Cage, Michael Peña, Maria Bello, Maggie Gyllenhaal, Stephen Dorff, Jay Hernandez. 129 min. USA. 2006. Giovani. (V)

Con gli eventi dell’11 settembre 2001 sono state scritte in modo indelebile le prime righe della storia del XXI secolo. Il film in esame, con scandalo dei seguaci dell’Oliver Stone più polemico, non cerca di propinare profonde retrospettive sul significato di quel particolare evento. Semplicemente, e non è poco, prende spunto da questa cornice per raccontare il dramma molto personale di due poliziotti rimasti sepolti sotto le macerie di una delle Torri gemelle. John McLoughlin e Will Jimeno si erano recati laggiù con l’intenzione di aiutare quanti erano rimasti intrappolati nelle Torri dell’attentato. Ma poco hanno potuto fare, se non sopravvivere. Con la perizia di un entomologo, Stone, che si piega totalmente al copione di Andrea Berloff, descrive l’angoscia della coppia di poliziotti e delle loro famiglie, che aspettano notizie all’esterno. E sottolinea come la fede e il ricordo delle persone amate si possano trasformare in forti stimoli, per resistere.

Il film ha un forte aroma classico e mostra i diversi risvolti dell’eroismo, senza dar luogo a cinismo di bassa lega o a discorsi politici, del tutto fuori luogo. L’unica licenza che si permette Stone, in questo senso, è quella del personaggio del tenace marine che rovista tra la macerie, con il forte desiderio di vendicare l’affronto subito dagli Stati Uniti: vicenda che culmina con il suo arruolamento per andare a combattere in Irak. Oltre questa reazione, molto umana d’altra parte, abbiamo una storia della quale conosciamo il finale, ben raccontata, con interessanti caratteri umani. Spicca la coppia di Nicolas Cage (che nel film ricorda James Stewart, così come Kevin Costner somigliava vagamente a Gary Cooper in JFK), e Michael Peña, mentre Maria Bello e Maggie Gyllenhaal sono brave a interpretare il ruolo sofferto delle rispettive mogli. Anche se sembrerebbe che il regista si trovi meno a suo agio, che in altre occasioni, tutta la parte iniziale del film, con l’idea dell’ombra maligna di uno degli aerei e il crollo delle Torri, è più che notevole. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)