Gran Torino

21/3/2009. Regista: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Nick Schenk. Interpreti: Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, John Carroll Lynch. 116 min. USA. 2008. Giovani (D)

Clint Eastwood, 78 anni, dirige e impersona il protagonista di questo notevole film, in alcuni momenti magistrale. Si tratta di un anziano che ha perso la moglie e vede come il suo quartiere vada riempiendosi d’immigranti asiatici. Eastwood interpreta con grande espressività Walt Kowalski, di origine polacca, veterano della guerra di Corea e per molti anni operaio in una fabbrica della Ford. Kowalski cura come il cimelio più prezioso una Ford Gran Torino, modello a cui montava l’albero della trasmissione, quando lo produceva in catena di montaggio.




Eastwood non recitava dal 2004 e, dopo aver visto il film, è facile capire perché ha deciso di assumere questo ruolo. Il primo copione di Nick Schenk può rivelare alcune debolezze, rispetto alla trama, ma ha dei personaggi e dei conflitti magnifici, sviluppati in modo davvero intelligente.

C’è una fluidità molto riuscita, con sequenze brillanti che propongono una serie di personaggi di eccellente profilo, da cui emerge un'adolescente, una vicina di Kowalski, e un giovane parroco, che riveste un ruolo chiave in un film che tratta con affettuosa simpatia la Chiesa cattolica. A differenza di altri film del regista, come Gli spietati, c’è dello humour e una tenerezza -per niente forzata e molto naturale- nel contesto del film. Duro, come tutti quelli di Eastwood.

La verità è che mi sono annoiato in Changeling, la precedente pellicola di Eastwood, che sembra girata quasi in modo svogliato. Forse per questo -andavo infatti prevenuto alla visione di Gran Torino- ho avuto una gradita sorpresa. Si sente (meravigliose le sequenze impersonate dalla già travolgente, benché esordiente, Ahney Her) lo stupendo senso del ritmo che il regista e attore californiano riesce ad esprimere, quando raggiunge il vertice delle sue opere.

Non mi sembra, in assoluto, un film poco impegnato, o come si dice in modo spregiativo: un film commerciale. Al contrario, vi risuonano le note del miglior cinema di Eastwood. È sufficiente segnalare la notevole abilità con cui riesce a render presente, nella trama, la defunta moglie di Kowalski, la vivacità di dialoghi altamente allusivi o il forte impatto visivo di alcune scene girate in chiesa.

Con 144 milioni di dollari d’incasso, leader di spettatori negli Stati Uniti, Gran Torino è di gran lunga il film più popolare di Eastwood, in patria. Girato con destrezza e con forte umanità, non priva di humour, sviluppa un finale bellissimo, ipnotizzante per la vista e l’udito, capace di incollare lo spettatore alla poltrona. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: D (ACEPRENSA)

I love shopping

21/3/2009. Regista: P.J. Hogan. Sceneggiatura: Tracey Jackson, Tim Firth, Kayla Alpert. Interpreti: Isla Fisher, Hugh Dancy, Krysten Ritter, Joan Cusack, John Goodman, Kristin Scott Thomas, John Lithgow. 104 min. USA. 2009. Giovani.

C’era una donna attaccata ad una carta di credito, una consumatrice paranoica. Questo possiamo dire di Rebecca Bloomwood, giovane giornalista, sveglia e gradevole, ma che non riesce a resistere alla tentazione di acquistare ogni genere di vestitini e scarpe ad hoc. Fino al punto, che le sue svariate carte di credito cominciano a raschiare il fondo del barile, e sopraggiunge uno specialista in ricupero crediti che -ostinato- non le dà più tregua. In questa trama, mentre la protagonista spera di realizzare il sogno di lavorare per una rivista di moda, si produce un'ironica eterogenesi dei fini, che la fa invece approdare ad una rivista di finanza, dove i suoi commenti a firma “La dama dal fazzoletto verde” le aggiudicano un inatteso successo; in linguaggio popolare, Rebecca dà consigli su come spendere responsabilmente, cosa che lei non sa fare neanche da lontano. Neppure il capo, quel bel tipo di Luke, riesce a intuire la verità. Anzi, crede che Rebecca sia una vera esperta in economia domestica.



Simpatica commedia basata sui popolari romanzi di Sophie Kinsella, che nel suo ritratto delle angosce di una donna dei nostri giorni si riaggancia ad altri successi già tradotti in film, come Il diavolo veste Prada e Il diario di Bridget Jones. L’australiano P.J. Hogan, che ha creato molte attese con le prime commedie, Le nozze di Muriel e Il matrimonio del mio miglior amico, ma che poi ha perso decisamente colpi, riprende ora lo stile del secondo film citato, con agile ritmo, pieno di divertenti gag, trasferendo a New York l’azione londinese in cui si svolgeva la trama originale.

Il film fa sorridere per tutto il tempo, perché si giocano con intelligenza le carte della storia d'amore, il rapporto tra le due amiche, il suspense dell'esattore, il proliferare degli acquisti e le riunioni di tutte quelle persone che vogliono smettere… Isla Fisher e Hugh Dancy sono due giovani attori in crescita che reggono bene il film, contando anche su attori secondari di altrettanta qualità. Alcuni (Krysten Ritter, Kristin Scott-Thomas, Robert Stanton) meglio valorizzati di altri (John Goodman, Joan Cusack, John Lightow). Se si vuole, il film espone una critica al consumismo esacerbato, ma non va presso troppo sul serio, avendo per principale scopo l'intrattenimento degli spettatori. Il fato è che, dopo averlo visto, ti viene una voglia matta di comprare qualsiasi cosa. Nella messa in scena ci sono idee ingegnose, come l’animazione di manichini che invitano a comprare i vestiti che indossano. DECINE21.

Pubblico: Giovani. Contenuti: Amore 2, Lacrime 1, Riso 2, Violenza 0, Azione 0, Sesso 0 [da 0 a 4](DECINE21)

Frozen river - Fiumi di ghiaccio

21/3/2009. Regista: Courtney Hunt. Sceneggiatura: Courtney Hunt. Interpreti: Melissa Leo, Misty Upham, Michael O'Keefe, Mark Boone Junior, Charlie McDermott, James Reilly, Dylan Carusona, Jay Klaitz. 97 min. USA. 2008. Giovani.

Ray Eddie, donna di mezz’età, è madre di un adolescente e di un bambino. Vive nello stato di New York, alla frontiera con il Canada (Quebec). Il marito si è assentato, e non è la prima volta: la sua “passione per il gioco” lo spinge a spendere i pochi soldi che si riescono a risparmiare. E questo, proprio nel momento più inopportuno, quando si pensava di acquistare una casa prefabbricata, molto più degna di quella in progressivo degrado dove vivono i protagonisti. In queste circostanze, lei conosce Lila, un'indiana della tribù mohawk, che si dedica a introdurre immigranti clandestini, nascosti nel bagagliaio della propria macchina, attraversando il fiume ghiacciato che separa Canada da Stati Uniti. Siccome è rimasta senza macchina, in una certa occasione riesce ad ingannare Ray Eddie e ad utilizzare la macchina di lei. Questa, disperata per l'assenza del marito e la mancanza di soldi, decide di associarsi a Lila, per aiutarla temporaneamente nel triste lavoro.




La magnifica pellicola, del miglior cinema indipendente statunitense, è stata giustamente premiata a Sundance. Si tratta di una storia apparentemente semplice, la cui miglior qualità è l’umanità dei personaggi, spinti dalle circostanze a lavori che presuppongono il traffico di essere umani. La sceneggiatrice e regista Courtney Hunt sa spiegare bene la trama, mostrando due donne, per niente orgogliose di quel che fanno -accettare soldi per portare gente in cerca di una vita migliore, che per pagarsi il viaggio rischia di restare schiavizzati per anni- ma che pensano alle persone che loro amano. A come portare avanti la famiglia. È reso molto bene il progressivo rapporto che si stringe tra le due donne, fino ad arrivare a qualcosa di molto simile all'amicizia che, come risaputo, emerge nella capacità di sacrificio, in questo caso dell'una per l’altra. Ben delineato è anche il personaggio del figlio adolescente. Validi risultano gli attori secondari, mafiosi o poliziotti, impersonati con credibilità e verismo. Ci sono momenti d’intensa drammaticità -il trasporto di una coppia di pachistani, con la perdita del bebè, proprio la notte di Natale-, ed un finale ispirato. Grande lavoro da parte di sconosciute attrici, come Melissa Leo e Misty Upham. Il luogo dove si svolge l’azione, sul fiume gelato, facilita una bellissima fotografia, ricca di effetto.

Pubblico: Giovani. Contenuti: Amore 3, Lacrime 3, Riso 0, Violenza 0, Azione 1, Sesso 0 [da 0 a 4](DECINE21)

Watchmen

21/3/2009. Regista: Zack Snyder. Sceneggiatura: David Hayter. Interpreti: Patrick Wilson, Malin Akerman, Billy Crudup, Matthew Goode, Carla Gugino. 163 min. USA. 2009. Adulti. (VXD)

Anche se spiace sia ai creatori di Watchmen, graphic novel di più di 400 pp., pubblicata nel 1986, che agli autori della fedele versione cinematografica, ci troviamo pur sempre davanti una storia di supereroi, una delle innumerevoli produzioni del genere, sfornate da Hollywood. Questa premessa è doverosa, perché in taluni ambienti, propensi a certa mitomania, sembra che davanti alle opere di alcuni autori di comic si debba parlare solo sottovoce e a capo chino.

Il britannico Alan Moore è uno sceneggiatore che ha fatto delle impostazioni di fantastoria (ricostruzione logica, applicata alla storia, che presuppone eventi mai accaduti ma che avrebbero potuto accadere) e di un discorso gnostico, dagli accenti totalitari, il marchio di fabbrica personale per rinnovare la fantascienza in versione comic.

Nelle sue più espressive opere (V di Vendetta, Watchmen, From Hell) Moore parte da argomenti molto noti e sfruttati, per dar loro un peculiare giro di vite, grazie all’inestimabile aiuto di eccellenti e sperimentati disegnatori. I suoi argomenti tragici e disincantati sfociano però in un pessimismo tremendista: il mondo non ha rimedio perché siamo stati cattivi, lo siamo ancor di più e nel futuro saremo anche molto peggio. In ambienti scuri e sinistri, personaggi oppressi dalla disperazione assistono o impersonano progetti di violenza deviante (spesso sadica) e di sesso morboso (spesso esplicito, in versione pornografica). Il tutto, in un mondo pervertito. Certamente, dal punto di vista estetico, ci sono elementi molto riusciti nella pianificazione narrativo-visuale di questi comic, davvero ben disegnati e colorati. Ma non è men certo che, quando vengono paragonati a gente del livello creativo di un Eisner, Raymond, Foster o Pratt, risultano tutt'altro che geniali.

Erano necessarie queste considerazioni previe, perché il film di Snyder, nel bene e nel male, è molto fedele al libro originale. Il regista è diventato famoso per la sua versione filmica di 300, la graphic-novel di Frank Miller, altro autore di comics simile a Monroe, in parecchi aspetti.

L’azione di Watchmen si svolge nel 1985, quando è imminente il rischio di una guerra nucleare tra Stati Uniti, che in questa fantastoria sono ancora governati da Nixon, e Unione Sovietica. Dei supereroi andati in pensione devono affrontare la situazione, a partire dal misterioso assassinio di uno di loro.

Con un budget molto generoso (tra 150 e 200 milioni di dollari) e largo spiegamento tecnico, Snyder traspone su grande schermo la storia, che si sviluppa con una certa calma (qualcosa di insolito in film comics) ed una certa de-costruzione narrativa, per circa 2 ore e 40 minuti. Alla fine, più della spettacolarità di molte sequenze, il finale esibisce la semplicistica solennità di una sceneggiatura da oracolo di supermercato, una storia fondata su di una superficiale ed esibita visione magico-gnostica della vita. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

La pantera rosa 2

7/3/2009. Regista: Harald Zwart. Sceneggiatura: Scott Neustadter, Michael H. Weber, Steve Martin. Interpreti: Steve Martin, Jean Reno, Emily Mortimer, Andy Garcia, Alfred Molina. 92 min. USA. 2009. Giovani. (D-)

Riecco in azione Tornado, il famoso ladro di opere d’arte, già in pensione da diversi anni; in poche settimane si impossessa della Magna Carta britannica, della Spada dell’Imperatore del Giappone, e della Sacra Sindone. Si teme voglia ora impossessarsi di Pantera Rosa. Per fermarlo, si crea un Dream Team poliziesco internazionale, in cui si inserisce l’ispettore Clouseau.



Nient'altro da aggiungere, perché questo è tutto. Il film risulta una successione di gag prive di spessore. D’altra parte, siamo sullo standard senza pretese dei film della serie Pantera Rosa. Se proprio vogliamo salvar qualcosa, le due prime avventure, con Peter Sellers protagonista, sono risultate belle commedie. Questo nuovo episodio non si salva dalle critiche, ma ha il pregio di non indurre in inganno lo spettatore: non lo illude con la pretesa di essere qualcosa di diverso dal solito.

L’inizio è molto buono: un lungo episodio di animazione di Pantera Rosa, con il celebre tema musicale, presenta gli attori e riassume la storia. Il cast è da antologia. Il tutto però, si riduce ad una serie di battute umoristiche, con Steve Martin protagonista, che fanno ridere più o meno: secondo l’età, la maturità e la nazionalità dello spettatore. Gli attori compaiono due alla volta, ma fanno davvero ben poco.

Il grande talento di Steve Martin, che dovrebbe orientarsi ad altri ruoli, ha scelto di impersonare Clouseau, ed un Clouseau con un modo di camminare strano e un carattere stravagante. Quanti però sono disposti ad accettarlo così, ignorando i film di Peter Sellers, finiranno per divertirsi parecchio, guidati da un assortimento di numeri comici (alcuni veramente divertenti, altri simpatici, altri decisamente improponibili per uno come Steve Martin). Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA

Pubblico: Giovani. Contenuti: D- (Almudí)

Bride wars - La mia migliore nemica

BRIDE WARS - LA MIA MIGLIORE NEMICA

7/3/2009. Regista: Gary Winick. Sceneggiatura: Greg DePaul, Casey Wilson, June Diane Raphael. Interpreti: Kate Hudson, Anne Hathaway, Candice Bergen, Steve Howey, Chris Pratt. 90 min. USA. 2009. Adulti. (SD)

Un matrimonio al Plaza Hotel di New York ha segnato l’infanzia di Liv ed Emma. Per vent’anni non hanno smesso di sognare e attendersi un matrimonio identico a quello rimasto così impresso nella memoria. Liv è avvocatessa di successo; Emma, una maestrina. Quando i rispettivi fidanzati propongono loro di sposarsi, inizia il conteggio alla rovescia.



In questa mediocre commedia non si parla altro che di lusso, consumismo, bella gente, dicendo sciocchezze in serie e nient’altro… ma con l’inevitabile morale della favola: in fondo, tutto ciò è accessorio, quello che conta sono i valori, l’amicizia, l’amore e la sana ricerca della felicità.

Nel film ci sono due brave attrici, che si comportano da bamboline senza cervello, accompagnate da fidanzati insipidi, immerse in situazione teoricamente divertenti e in dialoghi che dovrebbero essere scintillanti: tutto troppo scontato. Il regista, Gary Winick, vanta un passato senza infamia e senza lode, con film come 30 anni in 1 secondo e La tela di Carlotta. Gli sceneggiatori sono tre attori (due uomini e una donna) privi della necessaria esperienza, per redigere un copione. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

L'onda

7/3/2009. Regista: Dennis Gansel. Sceneggiatura: Dennis Gansel, Peter Thorwarth. Interpreti: Jürgen Vogel, Christiane Paul, Frederick Lau, Max Riemelt, Jennifer Ulrich, Jacob Matschenz. 101 min. Germani. 2008. Giovani. (VSD)

Dennis Gansel ha già mostrato in NaPolA il proprio interesse per i giovani e l’attrazione che le ideologie totalitarie possono esercitare su di loro. Con L’onda, ripropone il tema, ma in un contesto attuale e senza evocare il nazismo. La trama gira intorno a Rainer Wenger, carismatico professore di liceo, che desidera dirigere un progetto educativo intorno all’anarchia; ma un collega lo anticipa, e si deve accontentare di trattare in classe il tema dell’autarchia.


Mettendo in rilievo il nesso che la collega alla dittature, a fascismo e nazismo, Wenger articola sessioni molto pratiche, dove espone gli elementi che ne spiegano il potere d'attrazione: spirito di gruppo, ideali comuni, mutuo soccorso, divise e distintivi esteriori… Un giorno chiede che tutti vengano a lezione in jeans e camicia bianca, o che disegnino un logo. I ragazzi cominciano ad entusiasmarsi di questo movimento che denominano “L'onda”. Sembra che guadagnino in autostima e spirito d’iniziativa. Ma può succedere che l’onda si trasformi in tsunami, un distillato di atteggiamenti violenti, abuso di potere e spregio delle minoranze.

È un film meglio impostato, che risolto. È un peccato che Ganser e Peter Thorwarth, che adattano alla Germania attuale un romanzo di Todd Strasser -l’azione del libro si svolge negli Stati Uniti- non abbiano concepito un finale più chiaro e rifinito. L’idea, interessante e suscettibile di dibattito, mette in guardia non solo verso il pericolo di certe ideologie, ma anche verso l’abbrutimento di ragazzi, che si annoiano con stupefacenti, alcool, sesso e feste, mostrandosi bisognosi di ben altro, per riempire la loro vita. Allusivo è anche il profilo del professore protagonista, che finisce per perdere il controllo dell’esperimento, incapace di ristabilire un ritorno alla normalità: per pura vanità.

Tra i personaggi degli studenti, alcuni sono più interessanti di altri e se ne può già intuire il destino. Gansel imprime alla narrazione un ritmo dinamico, molto heavy, che permea le attività clandestine dei ragazzi sia in queste lezioni che galvanizzano gli studenti che nelle partite di pallanuoto. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

The reader

7/3/2009. Regista: Stephen Daldry. Sceneggiatura: David Hare. Interpreti: Kate Winslet, Ralph Fiennes, David Kross, Lena Olin, Bruno Ganz. 124 min. USA, Germania. 2008. Sconsigliata. (X)

Il regista inglese Stephen Daldry (Billy Elliot) insiste sulla linea desolata e nichilista del precedente film, The Hours. In questo caso adatta il romanzo -un successo di vendite- del giudice e professore di Storia del Diritto, Bernhart Schlink, pubblicato in Germania nel 1995. Il romanzo utilizza un rapporto sessuale come metafora degli atteggiamenti personali e collettivi che hanno permesso l’orrore dei crimini dei nazisti nella colta e raffinata Germania, paese che, paradossalmente, quando esplose la guerra era leader mondiale nella scienza giuridica, nell’arte e nella cultura.

La storia, in parte autobiografica, racconta la relazione tra una matura controllore di tram e un adolescente appassionato, amante della lettura. L'azione si svolge in una città tedesca, poco dopo l'epilogo della II Guerra Mondiale. Otto anni dopo si rincontrano in un tribunale che giudica sui crimini di guerra commessi in campo di concentramento.

Daldry si sofferma in un modo molto discutibile sulla corruzione di un minore, con insistenza sospetta su scene di sesso esplicito, che a quanto pare, hanno servito alla Winslet a vincere l’Oscar alla migliore attrice. Questa opzione, unita al prepotente desiderio di superare qualsiasi remora, per resistere a qualsiasi indizio di pentimento o redenzione, fa perdere equilibrio al film. Le sequenze del processo e della fase carceraria, che poi completano la storia, non riescono a decollare: le ali lorde di fango, inibiscono gli sforzi di Ralph Fiennes, Bruno Ganz e Lena Olin che riescono solo a conferire un po' di respiro a un film volutamente asfissiante, ultima produzione dei defunti Pollack e Minghella. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Sconsigliato. Contenuti: X (ACEPRENSA)

The wrestler

7/3/2009. Regista: Darren Aronofsky. Sceneggiatura: Robert Siegel. Interpreti: Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Ernest Miller. 115 min. USA. 2008. Adulti. (VXD)

Film come Il teorema del delirio, Requiem for a dream e L’albero della vita, tutti infarciti di simboli esoterici e mistici, hanno trasformato Darren Aronofsky nel più singolare e criptico dei registi statunitensi contemporanei. Ora ha impresso una svolta alla carriera con The Wrestler, film fuori dagli schemi, dove si immerge lo spettatore nel bizzarro sottobosco del wrestling, questa lotta libera truccata e scenografica, a mezza strada tra sport e spettacolo morboso che sprigiona sensazioni forti in certe zone degli Stati Uniti e del Messico.



Sorprendentemente, il film di Aronofsky ha vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia 2008 e ha sdoganato la carriera interpretativa di Mickey Rourke, da anni dato per disperso, con patetiche comparse in film minori, come Domino, Sin City e Stormbreaker. Grazie alla personale interpretazione, Rourke ha vinto il Golden Globe al miglior attore drammatico, nonché il Premio Bafta.

Per la prima volta non è Aronofsky l'autore del copione, bensì Robert Siegel, da anni editore della rivista satirica The Onion. Vi si narra la penosa esistenza di Randy The Ram Robinson, lottatore di wrestling del New Jersey, celeberrimo negli anni ottanta, soprattutto per un mitico combattimento con l’Ayatollah. Vent’anni dopo, Randy tira a campare in un caravan a noleggio. Mentre nei giorni feriali lavora in un supermercato, nei week-end partecipa a combattimenti di terza categoria di wrestling. I crescenti problemi cardiaci, il senso di colpa per il fallimento coniugale e la solitudine della figlia, lo portano a reimpostare la sua caotica esistenza. Una matura ballerina di striptease, madre e single, darà loro una mano.

Notevole la splendida canzone The Wrestler, di Bruce Springsteen, come pure l’ambientazione del film e l’opprimente messa in scena di Aronofsky, che cala lo spettatore nel malsano mondo del wrestling e nella patetica vita di Randy. In tal senso, la recitazione di Mickey Rourke risulta straordinaria, sia per le prestazioni fisiche -sorprendenti per i suoi 57 anni suonati- sia per l'attendibile ricostruzione del dramma del personaggio chiave. Sembra quasi che la vita dell'attore si confonda proprio con quella del protagonista.

Malgrado gli sforzi di Marisa Tomei, Evan Rachel Wood e del resto del cast, la trama si perde in uno sviluppo troppo fatalista e prevedibile, con momenti reiterativi e noiosi, nonché irritanti e sfacciati feed-back di sesso esplicito. Affiora anche una violenza ributtante, cui si indulge con compiacenza. Peccato, perché la storia di redenzione di Randy The Ram Robinson centra il cuore dello spettatore. Avrebbe meritato di creare ben altre allusioni. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti:V, X, D (ACEPRENSA)