Le cronache di Narnia: il principe Caspian

26/7/2008. Regista: Andrew Adamson. Sceneggiatura: Andrew Adamson, Christopehr Markus, Stephen McFeely. Interpreti: Andrew Adamson. Con Georgie Henley, Skandar Keynes, William Moseley, Anna Popplewell, Ben Barnes, Peter Dinklage, Pierfrancesco Favino, Sergio Castellitto. 140 m. USA, Gran Bretagna. 2008. Tutti. Nelle sale, dal 14 agosto.

Il film propone il secondo episodio della serie Cronache di Narnia, dello scrittore C.S. Lewis. Alla cinepresa, il solito Andrew Adamson. Narnia è governata dai telmarini. Sono uomini che hanno conquistato il paese, dopo averne cacciato gli indigeni: le creature magiche. Miraz, fratello del defunto re telmarino, ha appena avuto quel figlio maschio che pone a rischio la successione del legittimo erede, il principe Caspian. Consigliato dal tutore, il dottor Cornelius, Caspian fugge di notte nel bosco, dove si imbatte nele creature dell’antica Narnia, che credeva del tutto leggendarie. A lui spetterà suonare quel corno che, secondo l'antica tradizione, serve a chiamare tutti a raccolta, in tempi difficili.



A un anno dal successo di Le Cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio, ecco che i fratelli Pevensie (Peter, Susan, Edmund e Lucy), dalla banchina del metrò -di una Londra ambientata nel 1941- si trasferiscono magicamente a Narnia. Trovano un luogo molto diverso da quello della prima avventura. Infatti, ogni anno trascorso nel mondo “normale”, corrisponde a secoli nel paese di Narnia. Mentre Caspian cerca di convincere le creature magiche ad aiutarlo a sconfiggere l’usurpatore, ecco comparire i Pevensie, pronti a mettersi dalla sua parte.

Anche se si tratta di una storia fantastica, la scelta di narrarla con intelligente realismo rende credibile quanto vi succede, seppure in un mondo diverso. Emerge un chiaro sforzo di fedeltà all’originale e, al contempo, il saggio intuito di non scollare troppo la trama della storia di Caspian -che si accinge ad affrontare lo zio Miraz- dalla vicenda dei Pevensie, nella loro riscoperta di Narnia. Inoltre, lo staordinario successo del precedente episodio ha permesso al nuovo film di contare su un budget ancora più consistente. Lo si vede dal disegno di produzione, dalle scene di battaglie, e dalla più accurata inventiva nel delineare le creature magiche, integrandole nelle diverse scene.

Probabilmente, il desiderio di non fallire l'ulteriore chance, inventando un assalto al castello di Miraz e dilatando l'epica narrativa, ha finito per nuocere un po’ all’insieme. Il risultato è stato di conferire troppa attenzione agli effetti speciali, a scapito del profilo dei personaggi e dei loro conflitti.

Il punto di forza della saga cinematografia di Narnia, anche in questo film, risiede nel cast. Invece di cercare attori di fama, sono stati selezionati interpreti molto bravi, abili nel configurare i vari personaggi, e tuttavia ancora relativamente nuovi al grande pubblico. Bisogna dunque render omaggio al lavoro di Sergio Castellitto che, impersonando il cattivo Miraz, riesce a rappresentare un personaggio ambizioso, in modo molto umano, senza ricorrere ad un facile istrionismo. José María Aresté. ACEPRENSA.

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Agente Smart - Casino totale

26/7/2008. Regista: Peter Segal. Sceneggiatura: Tom J. Astle, Matt Ember. Interpreti: Steve Carell, Anne Hathaway, The Rock, Alan Arkin, Terence Stamp, James Caan, Masi Oka. 110 m. USA. 2008. Giovani. (D)

Versione cinematografica della divertente serie tv, anni Sessanta, sulla lotta tra due potenti servizi segreti avversari: Control e Kaos, chiare parodie di CIA e KGB. I 138 episodi della serie (Get Smart, il titolo originale) seguono i passi delle scarpe-telefono di Maxwell Smart, un bel tipo di metodico analista, che lavora per la Control. Quando -a sorpresa- arriva la promozione ad agente operativo, Smart deve entrare in azione. E lo fa, in compagnia della sperimentata, bella ed efficacissima agente 99.



I creatori della serie -trasmessa dal 1965 al 1970, prima dalla NBC e poi dalla CBS- sono stati Mel Brooks e Buck Henry, due provetti sceneggiatori, specialisti di commedie comiche, sovente un po' sboccate. Il loro sodalizio si era comunque già manifestato anche in vari film: Frankestein junior, Il laureato, Il mistero delle dodici sedie, I produttori. Il successo a Get Smart è stato garantito dalla parodia -davvero divertente- della più nota saga di James Bond, agente 007.

È un peccato che il film abbia quattro o cinque barzellette grevi (alla Mel Brooks), del tutto gratuite. Infastidisce, perché è un film proprio divertente, con una storia ben narrata e splendidi attori come Steve Carrell e Anne Hathaway, coppia fissa e veramaente brillante, dall'86 al 99: degni successori di Don Adams e Barbara Feldon. Alan Arkin, recente vincitore di Oscar con Little Miss Sunshine, impersona il capo dell'Agenzia. Il film, che con qualche dettaglio in più poteva risultare una commedia molto gradevole e adatta ad un pubblico universale, -alla fine- si addice solo al divertimento -talvolta un po' greve- di un pubblico di adolescenti; pur dando vita, in alcune sequenze, a risate irrefrenabili, e vantando una messa in scena spettacolosa. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: D (ACEPRENSA)

Kung Fu Panda

26/7/2008. Registi: Mark Osborne, John Stevenson. Animazione. 95 m. USA. 2008. Tutti. Nelle sale, dal 29 agosto.

Po, grasso panda, assai pigro -ma fanatico ammiratore di arti marziali- lavora da sguattero e cameriere nel ristorante di noodles del padre, l’anatra Mr. Ping. Un giorno, dopo diverse rocambolesche vicende, la tartaruga Oogway promuove Po a Guerriero Dragon, da opporre ai leggendari Furious Five, ottimi allievi del maestro Shifu. Po, si vede così obbligato ad imparare kungfu, e alla svelta, se vuole davvero fermare il temuto Tai Lung, vendicativo leopardo delle nevi.



Classica parodia dei film di arti marziali, rivela il lato debole nel tono leggero e nello sviluppo episodico, tipico delle produzioni animate di DreamWorks (Shreck, La gang del bosco, Bee movie). Inoltre, approfondisce poco i personaggi secondari, soprattutto i Furious Five: le rispettive storie avrebbero potuto essere meglio delineate.

Comunque, i disegni dei personaggi, gli sfondi e l’animazione in 3 D, sono forse i più riusciti -finora- della casa di produzione di Jeffrey Katzenberg. E siccome il copione è originale, divertente e positivo, il film riesce nell'obiettivo di divertire e suscitare ilarità. Proprio lo scarso sviluppo delle trame dei personaggi secondari, consente peraltro -a DreamWorks- una vasta rosa di possibilità di sviluppo, in ulteriori episodi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

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In Bruges

26/7/08. Regista: Martin McDonagh. Sceneggiatura: Martin McDonagh. Interpreti: Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Jérémie Renier, Thekla Reuten, Clémence Poésy, Jordan Prentice. 101 m. Gran Bretagna, Belgio. 2008. Adulti (VSD)

Il trentottenne londinese Martin McDonagh, già vincitore di Oscar con il miglior cortometraggio del 2006: Six Shooter, breve storia da commedia noir (protagonista l’irlandese Brendan Gleeson), è ora al suo primo vero e proprio film. Il regista britannico riconferma la stessa linea contenutista e formale del precedente successo, avvalendosi di una coppia di attori protagonisti, il citato Gleeson ed un altro irlandese, Colin Farrell, che si rivelano ottimi interpreti nei panni di una coppia di killer prezzolati, inviati a Bruges dal “capo”, dopo un “lavoretto” complicato. I due si mimetizzano da turisti, intenti a visitare Bruges, una delle città medievali meglio conservate al mondo: la cosiddetta “Venezia del nord”.



McDonagh, autore anche della sceneggiatura, è scrittore di talento. Il film rivela dialoghi riusciti, canaglieschi e realistici, togliendo ogni glamour alla vita dei due killer, che condividono una peculiare amicizia, sempre sul filo del rasoio. Attira l’attenzione la solida struttura della storia, nonché la trama principale, ben condotta, capace di sviluppare la tensione fino al clamoroso finale. McDonagh amministra con maestria le risorse di personalità, vantate dai due protagonisti.

Forse il film dà la sensazione di risultare troppo breve. Non avrebbe comunque giovato il ricorso ad un maggior numero di personaggi, scenari e trame secondarie. È anche evidente che avanzano 15 minuti. Per di più, alcune grossolanità nei dialoghi -e in alcune sequenze di ambientazione- creano talora disagio nello spettatore.

La fotografia di Eigil Bryld è assai indovinata. Ricorda quella già realizzata per il film svedese Prima della tempesta. Bryld si astiene dallo stile di buona parte del cinema commerciale statunitense, che al minimo pretesto è solito ricorrere alle riprese dall'elicottero, da una macchina o da una giraffa. È apprezzabile questo non-conformismo delle riprese, se si tiene poi conto della bellezza della città e di alcuni luoghi dove si potevano girate certe scene, ad esempio nel museo Groeningen, ricorrendo alle trovate usuali. L’eccellente colonna sonora è di un grande: Carter Burwell. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

La notte non aspetta

12/7/2008. Regista: David Ayer. Sceneggiatura: James Ellroy, Kurt Wimmer, Jamie Moss. Interpreti: Keanu Reeves, Forest Whitaker, Hugh Laurie, Chris Evans, Naomie Harris, Martha Higareda, Jay Mohr, John Corbett, Terry Crews, Amaury Nolasco. 109 m. USA. 2008. Giovani-adulti. (VD)

L’agente Ludlow è un poliziotto provetto, ancora provato dalla recente tragica morte della moglie. Malgrado i suoi metodi violenti e l’alcoolismo, è protetto e incoraggiato dal capo della sua unità, un ambizioso commissario che si fida di lui: il tipo ideale, per risolvere quei problemi che nessuno osa affrontare. Il brutale assassinio di un collega inquadrerà proprio Ludlow, come principale sospetto, secondo la prospettiva del dipartimento di Affari Interni.



Il cinema tematizzato su poliziotti corrotti è talmente di moda, che rende arduo risultare originali. Questa storia -tratta da un racconto di James Ellroy (L.A. Confidential, The Black Dahlia)- non fa eccezione. L’inizio del film è divertente e dinamico, anche se in realtà -per chi desideri imbattersi in storie di poliziotti rudi e non convenzionali- l’agente McClane (Die Hard 4.0) è molto più attraente e apprezzato. Man mano che la trama va avanti, battendo i noti meandri della corruzione, infiltratasi nella polizia, si sente la carenza di un maestro del noir e dei relativi personaggi, delineati a tutto campo. Infatti, i personaggi di La notte non aspetta, sembrano figurine standard, da incollare sull’album. Il film è ben realizzato, malgrado la vistosa ed eccessiva violenza, tipica del regista David Ayer (Harsh Times), già sceneggiatore di pellicole come Training Day, S.W.A.T.,The Fast and the Furious e U-571. Ayer riesce a mantenere il ritmo, grazie anche ad un buon cast di attori, tra cui emerge Forest Whitaker, in un ruolo -davvero- a lui congeniale. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Funny games

12/7/2008. Regista: Michael Haneke. Sceneggiatura: Michael Haneke. Interpreti:Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Devon Gearhart, Brady Corbet, Boyd Gaines. 111 m. Gran Bretagna, USA, Francia, Austria, Germania, Italia. 2007. Adulti. (VD)

Nel 1997, al festival di Cannes, Michael Haneke presentava Funny Games. Il film vinse un premio secondario, quello della critica internazionale, provocando un serrato dibattito tra sostenitori e detrattori. L’edizione in dvd è stata ben recepita, forse perché il film era stato proiettato -nelle sale dell’epoca- per un periodo troppo breve; o anche, perché fa davvero bene vedere questo film, sapendosi sicuri a casa propria, con il telecomando a portata di mano. Intervistato per l’occasione, Haneke ha esposto il suo pensiero in proposito. Ciò che si riprometteva, con questo film, era una critica al modo in cui i media -specialmente il cinema- tematizzano la violenza.



In quell’intervista -davvero illuminante- il regista tedesco sviluppa la sua teoria (quanto sanno risultare malvagi gli esseri umani, ossessionati dalla necessità di saziarsi di violenza) e conclude con una frase che condivido pienamente: val la pena vedere questo film, soltanto se esiste un fondato motivo. Altrimenti, di fatto, è un’autentica tortura per lo spettatore.

Tesi e spiegazioni a parte, è chiaro che Haneke è sedotto dal tema della violenza. Lo ha dimostrato in molti altri film: da Benny’s video (quasi una sorta di prima versione di Funny Games, con identico protagonista) a La pianista. Questo regista si compiace di indugiare nella mente tormentata e carente di senso di un assassino. A tal punto, che potremmo perfino dubitare che intenda davvero mettere alla gogna la violenza…

D’altra parte, bisogna riconoscere che Haneke rivela una certa maestrìa filmica. Riesce a realizzare montaggi, capaci di estenuare i nervi alla gente. Sa poi miscelare il contrasto -tra tono drammatico e comico- in modo assai efficace, che la durata lentissima delle sequenze è idonea a calamitare… Ma tutto questo, a che pro? Se già se lo chiedeva lo spettatore del 1997, a maggior ragione quello attuale. Perché, dieci anni dopo, Michael Haneke gira esattamente lo stesso film: la stessa storia di una famiglia agiata in ostaggio, torturata in modo selvaggio da due giovani, apparentemente normali? Stesse inquadrature, stessi dialoghi, identico ambientamento temporale. Cambiano solo gli attori. Perché dunque Haneke realizza questo remake di sé stesso, se non guadagnar soldi negli States, e cercare di farne guadagnare a Naomi Watts che, a parte il fatto di non trovarsi a suo agio nel film, lo coproduce? La verità è che, a suo tempo, erano state davvero pregevoli le recitazioni della versione originale (Susanne Lothar e lo scomparso Ulrich Mühe).

Haneke ha forse voluto ripetersi, perché la sua versione inglese è più universale e la reazione del pubblico diversa, dopo film come Saw e Hostel. Ragioni che suscitano però perplessità, in una persona che suscita perplessità. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

12

12/7/2008. Regista: Nikita Mikhalkov. Sceneggiatura: Nikita Mikhalkov, Vladimir Moiseyenko, Aleksandr Novototsky. Interpreti: Nikita Mikhalkov, Sergei Makovetsky, Sergei Garmash, Aleksei Petrenko, Yuri Stoyanov, Valentin Gaft. 153 m. Russia 2007. Giovani. (VD)

Cinquant’anni fa, Sidney Lumet realizzò la regìa di un intenso e drammatico film giudiziario, sulle deliberazioni di una giuria, La parola ai giurati (12 Angry Men), partendo da un testo ideato da Reginald Rose. Il risultato, già allora rasentava la perfezione. Sembrava quasi un capriccio di un regista, dotato di scarsa fantasia e bisognoso di una solida trama, correre il rischio di allestirne una nuova versione, mezzo secolo dopo. Si è cimentato -con 12- il cineasta russo, Nikita Mikhalkov. Con l’aiuto di altri sceneggiatori, possiamo affermare che è risultato capace di conservare l’impalcatura della storia originale, situandola però nella Russia attuale, arricchendo così -i personaggi- di tante novità.



Una giuria, composta di dodici uomini, si ritira a deliberare sul caso di un giovane ceceno, accusato di aver ucciso il patrigno russo. Inizialmente, il gruppo non prende sul serio il processo: il desiderio comune è finire quanto prima, ciò che considerano un lavoro ingrato, capace solo di sottrare loro tempo prezioso. Tutti sono convinti della colpevolezza dell’accusato, ma in realtà nessuno si è soffermato a considerarne le prove a carico. Solo quando uno di loro osa rompere l’unanimità, riguadagnando quella dignità che sembrava perduta e osando a richiamare tutti sul fatto che stanno giudicando un essere umano, è solo allora, che ognuno si sente costretto ad approfondire un caso che coinvolge tutti, non solo l’imputato. Questo processo obbliga i giurati a guardarsi dentro, arrivando a toccare varie ferite dell’anima, non ancora cicatrizzate.

È sorprendente il risultato raggiunto da Mikhalkov. Ciò che, a prima vista, aveva tutta l’aria di un’operazione artificiosa -ambientare la trama in Russia-, risulta invece rivelare il volto di quella nazione. Si entra nel merito di come la Russia abbia assimilato il sistema democratico, si affrontano gli odi etnici e la corruzione russa, nonché le diseguaglianze sociali e la crisi della famiglia. E questo, con fine intelligenza e senza nulla di posticcio. Tutto al contrario, il film aiuta a penetrare il senso tragico del popolo russo, con una magnifica contrapposizione di personaggi, che trasferisce l’attenzione -dagli uni agli altri- con grande naturalezza, spesso in validi duelli recitativi, a due o tre interpreti. Anche se si può criticare l’eccessivo ricorso a passaggi ad effetto, non si intacca il valore sostanziale del film. Tutto il cast recita in modo superbo, configurando la credibilità di personaggi che vanno dal rozzo taxista, al chirurgo di umili origini, al “nuovo ricco” imprenditore televisivo o al tipo inquieto, seminatore di dubbi.

Mikhalkov non solo esibisce un alto senso drammatico, ritagliandosi un ruolo del tutto secondario -che soltanto nel finale riveste un certo rilievo-, ma riesce anche a realizzare un film ad alto impatto visivo, con una fotografia perfetta, un favoloso uso della cornice della ex-palestra scolastica, dove si riunisce la giuria. E avvalendosi pure, di un’ispirata colonna sonora. I flash-back sulle sequenze precedenti il crimine sono davvero rivelatori, evitando di esibire particolari truculenti, ma con momenti di forte intensità. Inoltre, immagini come quella del pallone di pallacanestro incastrato nel tabellone del canestro, del passerotto imprigionato, della tubatura a vista, o di una negletta immagine della Madonna, mettono -ben in luce- pregi e difetti dei russi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Alexandra

12/7/08. Regista: Aleksandr Sokurov. Sceneggiatura: Aleksandr Sokurov. Interpreti: Galina Vishnevskaya, Vasili Shevtsov, Raisa Gichaeva. 92 m. Russia 2006. Giovani (VS)

Il nuovo film del siberiano Aleksandr Sokurov (Podorvikha, 1951) narra una storia essenziale che, al contempo, risulta di respiro universale. Un’anziana signora, Alexandra Nikolaevna, va a trovare il nipote, che non vede da sette anni. Denis è un capitano dell’esercito, che combatte in Cecenia. Dopo un lungo ed estenuante viaggio in treno, l’anziana signora arriva al campo militare, dove trascorrerà qualche giorno. Alexandra si fa vedere ovunque, parla con tutti, guarda molto, discute con il nipote, fa amicizia con un’anziana cecena. Prende infine il treno, per tornare a casa.


Il cinema di Sokurov (Père et fils, Il sole, L’arca russa) è ermetico: ammette diverse letture. Nel caso presente, c’è una critica alla guerra cecena, in particolare, ed a tutte le guerre in generale. Lo sguardo di Alexandra indugia su soldati appena adolescenti, che vanno perdendo la loro umanità; impugna un kalashnikov, prende la mira, dicendo: “è molto facile”. Va al mercato locale e parla con i “nemici”. Si rende conto delle barriere di odio, che hanno provocato i combattimenti. E invita la sua nuova amica cecena a venirla a trovare a casa sua, in Russia. Infine, si preoccupa del nipote, del suo futuro: che potrà mai fare, quando prenderà congedo? Dovrebbe sposarsi, una buona volta!

Alexandra non è un film facile da vedere. La tavolozza pittorica di Sokurov tende alla monocromia. Saturato negli esterni, tutto assume l’uniforme color seppia; negli interni, tende invece al verde. Sokurov gioca continuamente con il suono e il fuori campo. Il film provoca un disagio continuo; l’ambiente è inquietante, minaccioso, surrealista. Bisogna accettare l’assurda situazione di vedere l’anziana signora trovarsi in questo luogo e in queste anomale circostanze. Inoltre, bisogna accettare che si tratti di una favola, in cui Alexandra sembra il simbolo della “grande madre Russia”, che difende la famiglia, che vuol bene a tutti; che si lamenta -ma in modo discreto- di molte cose. Bisogna anche ricordare che il cinema di Sukorov ha carattere onirico. Sarà anche vero, che nessuna Alexandra è mai andata in quel campo militare; ma è certo che suo nipote, e chiunque si identifichi in lui, ha sempre desiderato quella visita.

Non è il miglior Sukorov, ma certo propone un film valido, costruito in torno a Galina Vishnevskaya, attrice proveniente dall’opera russa. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)