Il petroliere

16/2/2008. Regista: Paul Thomas Anderson. Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson. Interpreti: Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Kevin J. O’Connor, Ciaran Hinds, Dillon Freasier. 158 min. USA. 2007. Adulti. (V).

Quasi nessuno dubita del talento di questo regista californiano di 37 anni, che ama spesso defilarsi. Autore del notevole Magnolia e di quella piccola meraviglia che è Ubriaco d’amore (Punch-Drunk Love), Anderson miscela in modo coinvolgente la crudezza alla tenerezza, in storie a tinte fortemente drammatiche, che costituiscono parte rilevante del cosiddetto cinema d’autore.



Questo lungo film (nonostante il montaggio sia stato alleggerito di quasi un’ulteriore ora di proiezione) si ispira, molto liberamente, al romanzo Oil (1927) di Upton Sinclair (1878-1968), prolifico scrittore e attivista politico nordamericano della sinistra radicale.

Si tratta di una storia epica, che gira intorno al petrolio, e del rapporto amore-odio con l’oro nero, di un personaggio duro e diffidente: Daniel Plainview. Costui è un avventuriero che, nel 1898, cerca giacimenti petroliferi nei deserti californiani, in condizioni estreme. Si scorrono 30 anni della sua esistenza, dove interpretano ruoli importanti suo figlio, e un lunatico ed ambizioso predicatore di una setta. Il film è affascinante, anche se risulta tuttora troppo lungo e mostri come il taglio, che pure è stato apportato, sia stato un po’ maldestro (brusco salto nell’evoluzione della condotta del protagonista). Essendo film duro, colpisce il modo contenuto di Anderson, che non si concede effetti non necessari.

Daniel Day-Lewis (Il mio piede sinistro) dovrebbe vincere il suo secondo Oscar, perchè “buca lo schermo” con i suoi gesti, la sua voce, il suo modo di guardare: è ormai uno dei migliori attori viventi, per storie di taglio drammatico.

Lo stile del film è impressionante, con un montaggio ed un sonoro capaci di incrementare esponenzialmente la carica drammatica, soprattutto all’inizio del film. Molto brillante risulta anche l’utilizzo del colore e della luce, in una fotografia molto curata, col ricorso a pause dosate che, nel frenetico cinema attuale, avevamo dimenticato. Sono certamente dei meriti, se si considera che l’epoca, il paesaggio, la storia, i personaggi, e quei conflitti sono stati trattati in quantità industriale sia nella letteratura, che nel cinema a stelle e strisce.

Insomma, è un film ragguardevole, con una storia potente, amara e tragica, condita di molti riferimenti tratti da grandi scrittori statunitensi del XX secolo (Steinbeck, Faulkner, Flannery O’Connor..), anche se -evidentemente- Sinclair non risulta di pari livello. Ci sono allusioni a Il tesoro della Sierra Madre ed alla forza visiva del cinema di Terrence Malick. Il film è candidato a 8 Oscar (film, regista, sceneggiatura, attore, fotografia, montaggio, direzione artistica, colonna sonora). e desconfiado, Dafa riferimento al Alberto Fijo. ACEPRENSA.
Pubblico: Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Lo scafandro e la farfalla

16/2/2008. Regista: Julian Schnabel. Sceneggiatura: Ronald Harwood. Interpreti: Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze, Anne Consigny, Patrick Chesnais, Niels Arestrup, Jean-Pierre Cassel, Marina Hands, Max Von Sydow, Isaach De Bankolé. 112 min. Francia. 2007. Giovani-adulti. (XD)

Film indimenticabile, per la ricchezza della storia e per il profilo estetico. Ciò è valso, a Julian Schnabel, il meritato premio di miglior regista a Cannes, nonché la candidatura a 4 Oscar. Racconta la storia vera di Jean-Dominique Bauby, giornalista francese, che sopravvissuto a un devastante infarto, resta paralizzato: Può solo muovere un occhio e la palpebra. In una tale carenza di mezzi espressivi, riesce tuttavia a comunicare con il mondo esterno, le persone amate, il medico, la logopedista… E perfino a scrivere un libro.

Dal punto di vista narrativo è commovente e, al contempo, abile nell’eludere il facile sentimentalismo. È un atto di coraggio in confronto ad temi quali la sofferenza, il desiderio di morire e di vivere, la spiritualità. E soprattutto, è originalissima la regia, i piani soggettivi del malato, la decisione di non farlo vedere -se non quando il film risulta già abbastanza avanzato-, le scene oniriche, dove entra in gioco l’immaginazione, il buon uso della voce in off… Il film, rasenta la perfezione.

Molto apprezzato il lavoro di tutti gli attori, ma specialmente la maestria della regia. Schnabel dimostra di essere artista a tutto tondo, un grande creativo capace di confezionare al contempo una buona storia, di elaborare modi estetici nuovi, di collaborare validamente con artisti come il direttore di fotografia Janusz Jaminski, o con i produttori Frank Marshall e Kathleen Kennedy, di decidere di filmare direttamente in lingua francese, di esaltare la luminosità… Il cineasta apporta molto di suo, ma al contempo, sa giocare con i simboli originali, immaginati dallo stesso protagonista, come il senso di claustrofobia al risveglio, paragonabile al sentirsi intrappolato in uno scafandro da palombaro, o la capacità di esprimersi muovendo le palpebre: come il battito d’ala di una farfalla. José Maria Aresté. ACEPRENSA.
Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Cloverfield

16/2/2008. Regista: Matthew Reeves. Sceneggiatura: Drew Reeves. Interpreti: Michael Stahl-David, T.J. Miller, Jessica Lucas, Lizzy Caplan, Mike Vogel. 85 min. USA. 2008. Giovani. (VD)

Un giovane e brillante manager viene festeggiato nel suo appartamento di Manhattan, prima di trasferirsi in Giappone, dove sarà il nuovo vicepresidente di una società. Improvvisamente, dopo una scossa di terremoto, si spengono le luci. Quelli della festa salgono in terrazzo e di là vedono e ascoltano cose spaventose… Inizia la fuga…



La Bad Robot, società di produzione di J.J Abrams (uno dei più scaltri, nel panorama dell’industria audiovisiva USA), sostiene questo film che, con un budget di 25 milioni di dollari, nel corrente 2008 risulta finora in testa al ranking dei maggiori incassi, con 64 milioni di dollari. A detta performance ha contribuito l’esordio in una data ben scelta (il “ponte” per la festa di Martin Luther King), nonché una davvero abile campagna di promozione, iniziata con un trailer, filmato e diffuso nei mesi precedenti al lancio, in cui la testa della Statua della Liberta rotola per la Quinta Avenue.

Sembra che l’idea sia venuta ad Abrams (creatore di serie popolari) da una visita in Giappone, per promuovere una delle sue produzioni. Entrando con uno dei figli in un negozio, ha comprovato il successo dei prodotti che hanno a che vedere con il mostro Godzilla, creato nel 1956. Da qui si è messo in moto il film, scritto e diretto da due collaboratori abituali di Abrams, gente che ha ideato serial come Felicity, Angel, Alias e Lost. Emerge chiara, l’ispirazione tratta da precedenti pellicole, che vanno da 1997: Fuga da New York, al recente The Host.

Dal punto di vista tematico, Cloverfield non scopre nulla di nuovo, ma bisogna riconoscere che offre diversi spunti, assai notevoli. La storia di un mostro sanguinario che devasta la città è un déja vu: cosciente di questa realtà, la squadra di Abrams ha cercato un proprio modo di risultare originale.

L’opzione di maggior richiamo è quella che potremmo chiamare “estetica YouTube”. Il film simula una registrazione di un videoamatore (un paranoico amico del protagonista, affetto da sindrome da reporter “maniaco-ossessiva”, che filma la festa nell’appartamento e decide di offrire un saggio all’umanità, di una espressiva testimonianza della fuga del suo gruppo di amici). Con tutto ciò che implica un tale schema: ossia, una cinepresa che non si ferma un solo momento e lavora sempre molto aderente ai personaggi. È anche interessante e ingegnoso il modo di costruire il montaggio e l’illuminazione. Si tratta, insomma, di raccontare un fatto straordinario e che dà nell’occhio, secondo una prospettiva quotidiana e domestica. La verità è che il risultato raggiunge un certo livello, anche se paga dazio il fatto di limitarsi -in modo radicale- all’uso di questa unica e rudimentale prospettiva. I tifosi del terrore, di spaventi, di bestiacce e di urla, esternati in YouTube, lo gradiranno fino ad un certo punto. Quanti invece sono facili alle vertigini, avranno il mal di mare… Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Lontano da lei (Away from her)

16/2/08. Regista: Sarah Polley. Sceneggiatura: Sarah Polley. Interpreti: Julie Christie, Olympia Dukakis, Gordon Pinsent, Michael Murphy, Kristen Thomson. 110 min. Canada. 2006. Adulti.

Grant e Fiona, sposati da cinquant’anni, anche se in passato non tutto è filato liscio, sono una coppia felice. Quando Fiona inizia a manifestare i primi sintomi di alzheimer, decidono di recarsi in un centro residenziale specialistico. Uno dei requisiti del centro è che sono proibite le visite nei primi 30 giorni.



La prima dell’attrice canadese Sarah Polley nasce da un adattamento del breve romanzo di Alice Munro The Bear Came Over the Mountain. Il film risente dell’influsso del cinema di Isabel Coixet (Polley è stata protagonista di La mia vita senza me, nonché di La vita segreta delle parole). Come Coixet, Polley si trova a suo agio con storie intimiste, centrate su personaggi, con sequenze lente ed una bella fotografia. Comunque, le manca il dominio del testo scritto e la buona mano per il melodramma, propri della regista iberica.

Così, mentre Coixet eccelle nella costruzione di storie decisamente melodrammatiche, che riescono a commuovere senza scadere nel sentimentalismo, Lontano da Lei, oltre certi problemi di ritmo, presenta un’impostazione più flebile e sentimentale. Questo toglie forza e verosimiglianza al film -in alcune trame addirittura manipolatore e falsante- che esibisce comunque un’emotività artificiosa. In tal senso, l’isolamento della coppia, senza figli né amici, è per lo meno sorprendente. Nonostante tali premesse, resta un degno esordio, ben girato, nonché magnificamente interpretato da Julie Christie. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.
Pubblico: Adulti. (ACEPRENSA)

Asterix alle Olimpiadi

16/2/2008. Registi: Frédéric Forestier, Thomas Langmann. Sceneggiatura: Alexandre Charlot, Franck Magnier, Olivier Dazat, Thomas Langmann. Interpreti: Gérard Depardieu, Alain Delon, Clovis Cornillac, Benoît Poelvoorde, Stéphane Rousseau. 118 min. Francia. 2008. Tutti

Nel villaggio degli irriducibili Galli, si prendono a botte i Romani, si cacciano cinghiali e, di tanto in tanto, irrompe l’amore. Questa volta é caduto nelle sue reti Lunatix, giovane guerriero, intrepido e romantico, che si innamora perdutamente dalla principessa greca Irina, ambita anche da Bruto, il corrotto figlio di Giulio Cesare. La contesa per la ragazza emerge nei Giochi Olimpici, cui Lunatix partecipa, in compagnia di Asterix, Obelix, il druida Panoramix e il bardo Asuranceturix.



Sorprende l’incapacità dei quattro sceneggiatori e dei due registi di portare a buon fine questa libera versione di uno dei migliori libri di Uderzo e Goscinny. Ambientazione ed effetti speciali sono buoni, gli attori fanno il loro dovere, non si perde mai l’amabile tono familiare, lontano dallo humour grossolano di altri film simili. E ciononostante, tutte le innovazioni rispetto al classico film comico, risultano a detrimento del copione, le trovate finiscono per stancare ed i colpi di humour appaiono troppo banali: privi della sottile ironia presente negli originali. Jeronimo José Martín. ACEPRENSA.

Nella valle di Elah

2/2/2008. Regista: Paul Haggis. Sceneggiatura: Paul Haggis. Interpreti: Tommy Lee Jones, Charlize Theron, Frances Fisher, Susan Sarandon, James Franco. 121 min. USA. 2007. Adulti (VXD)

Il regista di Crash gira un film che denota evidenti lacune di sceneggiatura, salvandosi solo per la qualità di due grandi attori. Questo, in sintesi il giudizio dell’atteso film di uno dei registi e sceneggiatori più prestigiosi del panorama internazionale. La verità è che il cineasta canadese risulta noioso, nonché semplicistico e monocorde, pertanto falso, nel suo resoconto sulla guerra ed i militari, in generale, e sull’Irak in particolare. Già era avvenuto in Flags of our Fathers (scritta da Haggis, diretta da Eastwood) che, pur non essendo film di grandi pretese, resta già ad un livello superiore rispetto a quello che qui commentiamo.



Nella valle di Elah produce la sensazione che Haggis stia cadendo nella formula del thriller altamente emotivo, dove un evento fortemente drammatico riunisce due personaggi in una specie di viaggio di autoredenzione.

Il film sembra un misto di Codice d’onore e Il cacciatore. Abbondano le sequenze discorsive, che già lo renderebbero inefficace. Se non che, come detto, ecco Jones e Theron, pronti a tenerlo a galla, agevolati da alcune sequenze felici, di cui Haggis è peraltro capace, che affascinano lo spettatore (una bandiera rovesciata, carica di senso, un freddo corridoio con luce al neon dove cammina un uomo che sembra uno zombie…).

Il titolo, ispirato ad un episodio biblico, riferisce della lotta di un veterano del Vietnam in cerca del figlio, appena tornato ad una base militare statunitense, proveniente dall’Irak, dove ha avuto la sua vicenda di soldato. Aiuterà quel padre una detective, che soffre di continue umiliazioni da parte dei colleghi di polizia. Il film ha alcune insistenti sequenze, all’interno di bische di malaffare, che si potevano tranquillamente omettere.

D’altra parte, Haggis eccede nei tratti caricaturali con cui disegna gli odiosi e stupidi colleghi della donna poliziotta. La tendenza dell’autore ad una specie di determinismo pessimistico, sembra palese. In Crash aveva dato ossigeno alla storia, al contrario della precedente sceneggiatura di Million dollar baby. Inoltre, aveva dato buona prova di sé anche nella stesura dell’ultimo film della saga Bond, Casino Royale, dove riscosse il consenso della critica per avere reso più vulnerabile e meno cinico il personaggio di Fleming. Insomma, per giudicarlo definitivamente occorrerà vedere il suo terzo film da regista. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA

Mr. Magorium e la bottega delle meraviglie

2/2/2008. Regista: Zach Helm. Sceneggiatura: Zach Helm. Interpreti: Dustin Hoffman, Natalie Portman, Jason Bateman, Zach Mills. 94 min. USA. 2007. Tutti.

Zach Elm è un giovane cineasta americano, autore della sceneggiatura di Vero come la finzione, interessante riflessione sulla morte, in chiave meta-letteraria. Per il suo primo film da regista, Helm ha puntato su di una sceneggiatura previa -la prima da lui scritta-, tratta dalla sua autobiografia, quando -per pagarsi gli studi di recitazione all’università DePaul di Chicago- dovette lavorare in un negozio di giocatoli.



Mr. Magorium è l’eccentrico proprietario di un enorme e meraviglioso negozio di giocattoli, meta di decine di bambini che si accampano tra vistosi “lego”, palline dal rimbalzo magico e invenzioni davvero originali. L’unico problema del negozio è che Mr. Magorium ha 243 anni! Forse, è arrivato il momento di andarsene, lasciando la bottega all’attuale incaricata, Molly Mahone, pianista dall’autostima assai scarsa. Mr. Magorium, per definire la questione, contratta un ragioniere, uomo grigio e lontano dal mondo magico di cui è permeato.

Bisogna dar plauso, in questa opera prima pilotata da Walden Media (Le cronache di Narnia), a un disegno di produzione spettacolare, degno erede della meravigliosa messa in scena di La fabbrica di cioccolato di Tim Burton. La riproduzione del negozio -scenario abituale di oltre due terzi del film- è fantastica, né l’accompagnamento musicale di Alexander Desplat potrebbe riuscire più indovinato.

Comunque, questa tecnica di lusso non riesce a nascondere il fatto che la sostanza della storia è poca cosa, di scarsa consistenza, qua e là perfino stiracchiata. È vero che Helm include riflessioni interessanti, quali l’atteggiamento sereno davanti alla morte, che rinvia a qualcosa che va oltre questa vita, la relatività del tempo o la preminenza dello spirito sulla materia, già tutto emerso in Vero come la finzione; ma, forse cosciente che il pubblico è diverso dal solito (il film ha un target familiare/natalizio), queste riflessioni restano appena abbozzate, né di questi temi traspare sviluppo alcuno dalla sceneggiatura. Così, la storia rimane monca e la maggior parte del peso finisce per ricadere sugli interpreti: magnifici attori, che qui si limitano a fare solo la propria parte (nel caso di Natalie Portman, il personaggio appare perfino lezioso). Ciò non impedisce, in certi momenti, di ritrovarsi coinvolti, al ritmo della musica, nel carosello colorato della bottega: bastano questi minuti bellissimi per compensare il biglietto d’ingresso. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

Across the universe

2/2/2008. Regista: Julie Taymor. Sceneggiatura: Dick Clement, Ian La Frenais. Interpreti: Evan Rachel Word, Jim Sturgess, Joe Anderson, Dana Fuchs. 133 min. USA. 2007. Adulti. (VXD)

Storia d’amore degli anni Sessanta tra Lucy, una statunitense che ha perso il fidanzato in Vietnam, e Jude, operaio dei cantieri navali di Liverpool. Nel Greenwich Village, di New York, vivono la loro particolare odissea, con la guerra in Vietnam, le manifestazioni, gli scioperi, gli scontri con la polizia, il movimento hippie… musica, alcol, droghe e sesso.

Il film non racconta una storia, quella di Jude e Lucy, bensì ritrae un’epoca: gli anni della ribellione, il conflitto generazionale, l’amore libero, le droghe, ecc. In qualche modo, completa l’immagine tracciata da Forrest Gump, sottolineandone i punti più foschi lasciati da quel film; e lo fa, colmandone la lacuna più vistosa: l’assenza assoluta di canzoni dei Beatles.

Across the Universe è un’opera molto personale di Julie Taymor. La storia base della regista, è un pretesto qualsiasi per incidere, a martellate visive e sonore, le immagini dell’epoca. Il film diventa, più che un musical, un gigantesco videoclip, coraggioso, di notevole impatto, costruito integralmente sulle canzoni dei Beatles.

Across the Universe risulta uno spettacolo affascinante, ambizioso, ma anche diseguale; cerca, riuscendoci, di provocare emozioni più che idee, anche se -ad onor del vero- varie sequenze sfiorano il ridicolo. Tuttavia, appare un modo convincente di rievocare un periodo troppo spesso idealizzato, evidenziandone le molteplici ombre e non solo le luci. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Into the wilde

2/2/08. Regista: Sean Penn. Sceneggiatura: Sean Penn. Interpreti: Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt, Jena Malone, Catherine Keener, Hal Holbrook. 140 min. USA. 2007. Adulti. (X)

Dopo essersi laureato all’università, Christopher McCandless, giovane di 22 anni, cui tutti predicono un brillante futuro, dona tutti i suoi risparmi ad una ONG, iniziando a viaggiare per gli Stati Uniti. La sua fissa è di trasferirsi in Alaska, per vivere, autosufficiente, da cacciatore. Ve lo spinge un’insoddisfazione esistenziale, unita all’ansia di comunione con la natura, tratte -per lo più- dalle letture di Thoureau, Jack London e dell’ultimo Tolstoi. Nell’agosto 1992, dopo solo tre mesi così vissuti in una foresta dell’Alaska, il giovane muore di fame. I cacciatori che s’imbattono nel suo cadavere trovano un diario tra le sue povere cose.

Basato su un best-seller (a sua volta, tratto da un articolo giornalistico) di John Krakauer, questa storia di 140 minuti avrebbe potuto essere narrata in un’ora sola e senza problemi. Penn mostra ancora una volta (Into the Wilde è il suo quarto film da regista) che il suo mestiere non è dirigere film, né tanto meno scrivere copioni: la sceneggiatura è penosa. Per il resto, è un classico documentario da tv locale, con personaggi caratterizzati da uniformità esasperante. La candidatura all’Oscar, del veterano Hal Holbrook, è solo in parte giustificata. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)