Beowulf

8/12/07. Regista: Robert Zemeckis. Sceneggiatura: Neil Gaiman, Roger Avary. Interpreti: Ray Winstone, Anthony Hopkins, John Malkovich, Angelina Jolie. 113 min. USA. 2007. Adulti. (VXD)

Il poema epico Beowulf, scritto in versi ritmici nell’antico inglese del sec. VIII, racconta di un potente guerriero goto, andato in aiuto dei Danesi, che subivano gli attacchi di un terribile mostro chiamato Grendel. Beowulf eliminò il mostro e chi, non meno temibile, l’aveva partorito. La seconda parte del poema presenta un anziano Beowulf che, malgrado l’età avanzata, parte per combattere un dragone che minaccia la sua gente. La storia mostra un mondo nel quale gli dèi germanici incominciano a essere offuscati dal cristianesimo.

Questa nuova versione supera le precedente, ma risulta ancora insoddisfacente. Fa fatica a trovare il proprio settore di pubblico. Forse per questo si è optato per il formato 3D, strategia che ha funzionato fino ad un certo punto: il film ha guadagnato finora 50 milioni di dollari: un terzo di quanto è costato. Negli Stati Uniti, il film è stato qualificato PG13, il che è veramente sorprendente. Non c’è altra spiegazione se non intuire una specie di transazione con l’organismo che qualifica i generi, che forse si è lasciato impressionare delle piroette del montaggio di Zemeckis per impedire di mostrare zone erogene…. mentre si dimostra, invece, prodigo in oscenità.

Il procace ambiente del primo atto (si sente la mano dello sceneggiatore di Pulp fiction) e il modo repellente di presentare il combattimento tra Beowulf e Grendel, sono puro delirio nello stile dei comic underground. La seconda parte del film migliora, anche se non è niente di speciale.

L’adattamento del poema pone almeno due grandi interrogativi: cosa pretendevano di fare, regista e sceneggiatore, e per chi? Dubito molto che le bravate di un gruppo di fanfaroni, lascivi, assassini e ubriaconi possano piacere o interessare a qualcuno. È accettabile che manchino allusioni all’incipiente diffusione del cristianesimo, per restar fedeli al poema originale; ma convertire il Beowulf in testo anticristiano è un esercizio di manipolazione ideologica. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Diario de una tata

8/12/07. Regista: Robert Pulcini, Shari Springer Barman. Sceneggiatura: Robert Pulcini, Shari Springer Barman. Interpreti: Scarlett Johansson, Laura Linney, Alicia Keys, Chris Evans, Donna Murphy, Paul Giamatti, Nicholas Art. 106 min. USA. 2007. Giovani-adulti. (D)

Il Diario di una tata racconta, in prima persona, l’avventura di Annie Braddock (Scarlett Johansson), brillante universitaria che si converte in bambinaia di una ricca famiglia di Manhattan. Il diario ha la forma di uno studio di carattere antropologico, conforme alla carriera di studi di Annie. Il diario commenta con apparente obiettività le sue esperienze e scoperte: le regole che governano la moda, il cibo, gli affari, la cultura, l’ozio, ecc. nel mondo dei ricchi, nonché il vuoto delle loro vite.

Il film inizia in modo eccellente: Annie visita il Museo di Storia Naturale e commenta gli spaccati sui cittadini della top class, originari di New York. Il film finisce come è iniziato, mentre la bambinaia trae le conclusioni dell’esperienza vissuta. Il copione è basato su di un libro scritto da due universitarie di New York che hanno lavorato come bambinaie per pagarsi gli studi e -si dice- racconta situazioni reali vissute dalle stesse. Con più o meno verosimiglianza, il film (scritto e diretto dalla coppia Springer-Pulcini) risulta una satira, sviluppata senza ferire nessuno. Il problema è che il film resta a metà tra la commedia famigliare e la commedia a sfondo critico per adulti, senza accontentare nessuna delle due potenziali platee. Tutto è soft, discreto, amabile, quasi asettico: la trama si sviluppa con troppa facilità, fino ad una conclusione contundente, poco ragionevole, che stride con quanto visto fino a quel momento. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: D (ACEPRENSA)

Leoni per agnelli (Lions for lambs)

8/12/2007. Regista: Robert Redford. Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan. Interpreti: Robert Redford, Meryl Streep, Tom Cruise, Peter Berg, Michael Peña, Derek Luke, Andrei Garfield. 95 min. USA. 2007. Giovani. (V). Nei cinema dal 14 dicembre.

Si tratta di un film interessante, a sfondo politico e sociale, con trama che si sviluppa su tre differenti livelli. Janine, una veterana giornalista televisiva, è stata chiamata per una intervista esclusiva da Jasper, senatore repubblicano con aspirazioni presidenziali. Nella conversazione da soli, della durata di circa un’ora, gli spiega la nuova strategia contro il terrorismo in Afganistan ed in Irak, di cui si sta facendo promotore. Arian, soldato di colore, ed il commilitone Ernest, messicano, amici dal tempo dell’università, partecipano di questa nuova strategia e anche la subiscono, fino a restare intrappolati e accerchiati dietro le linee nemiche dei talebani. Questi due uomini, già tra i migliori alunni di Stephen, professore di un’università di Los Angeles, sono da questi citati ad esempio, per educare un brillante ma frivolo allievo, perché prenda sul serio la sua formazione.

Robert Redford ci presenta un buon film -la sceneggiatura di Matthew Michael Carnahan è davvero solida-, che in nessun momento nasconde la sua evidente intenzione didattica, sottolineata anche dal fatto che Redford si riserva il ruolo di professore. Evitando la facile demagogia, presenta una radiografia della società statunitense che offre elementi di dibattito, relativamente a varie tendenze. Ci sono i politici che, anche quando sono sinceri patrioti, spesso pensano in termini globali, senza considerare però i costi umani personali, o si muovono per ambizione. Poi ci sono i mezzi di comunicazione che, preoccupati dall’audience, hanno abbandonato il loro ruolo di controllo del governo, diventando un’ulteriore cinghia di trasmissione di messaggi governativi. Quindi i professori, che devono rendere gli alunni consci dei rispettivi talenti, ma che corrono anche il pericolo di diventare soltanto dei teorici. Infine, la gioventù: e qui si confrontano i desideri delle migliori teste delle minoranze nere e ispaniche, che ambiscono un riconoscimento da parte dei loro concittadini, a fronte della frivolezza di altri giovani senza ideali, che pensano soltanto alle feste, sprecando le loro vite.

In un film come questo, è vitale la misurata trasposizione da uno scenario a un altro, e Redford riesce a concatenarli con grande naturalezza. Ma è tutto l’insieme, che risulta esprimere una gran coesione. Gli attori sono eccellenti. Diventa curioso come Meryl Streep può passare da direttrice di una rivista di moda in Il diavolo veste Prada alla giornalista liberale e incisiva di questo film: due personaggi che esercitano la stessa professione, ma molto diversi tra loro. Tom Cruise sa incantare nel suo ruolo, molto umano e per niente demonizzato, alla sua prima produzione in United Artists. Recitano molto bene i due soldati, un grande Michael Peña, in un ruolo che potrebbe ricordare quello recitato in World Trade Center, che però mantiene una propria identità: qui è uno studente, là era un padre di famiglia, anche se in entrambi i casi si tratta di personaggi che aspettano essere riscattati. Molto interessante lo studiato personaggio di Andrei Garfield, brillante ma poco motivato studente. Il film è un lungo interpellarsi su ciò che potranno diventare gli Stati Uniti in futuro, ivi inclusa -per estensione- la stessa società occidentale. José Marìa Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Come d'incanto

8/12/2007. Regista: Kevin Lima. Sceneggiatura: Bill Kelly. Interpreti: Amy Adams, Patrick Dempsey, James Marsden, Timothy Spall, Idina Menzel. 103 min. USA. 2007. Giovani.

Dopo aver mostrato le sue qualità in film di cartoni animati per la Walt Disney, come In viaggio con Pippo o Tarzan, lo statunitense Kevin Lima ha superato con successo il suo passaggio al cinema d’azione reale in La carica dei 102. Adesso miscela animazione e azione reale in Come d’incanto, divertente restauro della formula classica delle fiabe.

La protagonista è la bellissima principessa Giselle che, espulsa dal suo mondo magico e musicale da una regina malvagia, viene catapultata nell’attuale New York. Ed ecco che Giselle, fino ad allora semplice cartone animato, si trasforma in una bella ragazza, con tutti gli atteggiamenti snob ed i modi di parlare delle eroine da fiaba. Poco a poco, si rende conto che, nel caotico mondo reale, non sempre c’è un lieto fine. Ma trova accoglienza da parte di un avvocato divorziato, padre di una bimbetta. Presto, la malvagia regina dovrà intervenire.

Fin dalla sua prima sequenza animata, questo originale film prende garbatamente in giro l’innocenza ostentata delle fiabe classiche, secondo la versione Walt Disney, da Biancaneve a Cenerentola, passando per La Bella addormentata o Bambi. In questo modo, il nodo della storia, nel mondo reale, si riempie di un efficacissimo humour da parodia, rafforzato dall’eccellente interpretazione di Amy Adams, che recita in ogni momento realmente identificata in una principessa da fiaba. Purtroppo, questa scintilla e questo buon umore si vanno spegnendo, man mano che il film si snoda, e specialmente dopo una sciocca sequenza consumistica che si scontra fino all’epilogo con il tono edificante e pedagogico che fino allora aveva conservato il film.

Da parte sua, Kevin Lima fa bella figura nei passaggi animati, dirige bene tutti gli attori e gira con freschezza le sequenze di azione reale; specialmente ricorrendo alle diverse coreografie musicali, dove brillano di luce propria le canzoni dei detentori di Oscar, Alan Menken e Stephen Schwartz, qui pronti a fornire un ulteriore saggio della loro bravura. In tal modo, ne viene fuori un notevole film per famiglie, con salti di ritmo ma divertente, che conferisce continuità ai sostanziosi contributi di Walt Disney, in un genere spesso abusato. Jerònimo José Martìn. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

La musica nel cuore

LA MUSICA NEL CUORE

8/12/2007. Regista: Kirsten Sheridan. Sceneggiatura: Nick Castle, James V. Hart. Interpreti: Freddie Highmore, Keri Russell, Jonathan Rhys Meyers, Terrence Howard, Robin Williams. 100 min. USA. 2007. Giovani. (S)

Dall’appassionata ma breve storia d’amore tra due giovani musicisti -una promettente violoncellista e il chitarrista ribelle di un gruppo rock- seguirà la nascita di August Rush. August, cresciuto in orfanotrofio, si rivelerà bambino prodigio dotato di innato talento per la musica. Le sue pazienti ricerche -per identificare i genitori- saranno infine coronate da successo.

Kirsten Sheridan, figlia dell’irlandese Jim Sheridan e sceneggiatrice del bellissimo film In America, dirige il suo secondo lavoro cinematografico a partire da una sceneggiatura di James V. Hart e Nick Castle, autori del popolare Hook-Capitan Uncino. Del precedente film, In America, conserva il tono melodrammatico, il ritratto dell’innocenza (qui incarnata da un Freddie Highmore che incomincia a diventare adolescente, che si conferma magnifico attore), alcune dosi di iperromanticismo e la difesa ad oltranza del valore della famiglia. Da Hook, deriva invece il ritmo narrativo: tipico di una favola.

La musica nel cuore è un racconto di Natale, con tutti i pro e i contro. Concesso che Sheridan non è Frank Capra e che il copione, in certi passaggi, risulta inverosimile (come succede a quasi tutte le opere narrative), rischiando un po’ troppo una deriva melodrammatica, la giovane regista irlandese appare comunque autrice di un film più che buono. Un film che si fonda su di un buon gruppo di attori, ancor meglio assortiti nel cast (molto azzeccato affidare la parte del cattivo a Robin Williams), su di un’originale colonna sonora e, infine, su di un’impostazione molto positiva che include un elogio della fede e della famiglia. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Elizabeth. The golden age

ELIZABETH. THE GOLDEN AGE

24/11/07. Regista: Shekhar Kapur. Sceneggiatura: William Nicholson, Michael Hirst. Interpreti: Cate Blanchett, Geoffrey Rush, Clive Owen, Abbie Cornish, Samantha Morton, Jordi Mollà, Rhys Ifans.114 min. GB. 2007. Adulti. (S)

Circa dieci anni fa, il regista indiano Shekhar Kapur (Le quattro piume) è diventato celebre con Elizabeth, primo capitolo di una trilogia sulla vita di Elisabetta I, da lui chiamata “la regina vergine”. Il film, che all’inizio sembrava destinato ad un modesto iter commerciale, ha poi ricevuto sette nominations agli Oscar (ha vinto quella del miglior trucco) e ha vinto 6 riconoscimenti Bafta. Con la stessa equipe, Kapur presenta adesso Elizabeth. The golden age, che affronta la vita della regina tra gli anni 1585 e 1588.

La storia ha due assi portanti: l’ostilità tra l’Inghilterra protestante di Elisabetta I e la cattolica Spagna di Filippo II, che culmina nel film nella sconfitta finale dell’Invincibile Armata (1588), ed il preludio ad una relazione tra Elisabetta e l’affascinante marinaio inglese Sir Walter Raleigh.

Come nel primo film, la messa in scena è spettacolare, anche se alcuni momenti arriva ad una tale esuberanza -specialmente nel capitolo dedicato alla musica- da pretendere davvero troppo. Come nel primo film, vanta ancora un cast di lusso, che più volte arriva a superarsi, al punto da rendere quasi credibile una sceneggiatura altrimenti destinata a far la fine della flotta spagnola: colare a picco nelle acque della Manica.

La storia della crisi personale di Elisabetta I -divisa tra senso del dovere ed incipiente idillio con Raleigh- è raccontata in modo pessimo, scritta a strattoni, narrata in modo sconnesso; infine, presentata in modo assai inverosimile.

Circa il rispetto dello sfondo storico del film, Kapur pensa di cavarsela, riconoscendo che “la storia dipende dall’interpretazione e 400 anni danno luogo a molte diverse interpretazioni”. Con tale frase fatta ripropone la più truculenta della versioni della “Leggenda Nera spagnola”, fornendone una versione decisamente manichea, specialmente nella prima parte del film. I buoni sono gli inglesi protestanti, liberati da un’energica ma integerrima regina (la cui reale biografia potrebbe invece alimentare altrettante “leggende nere”). I cattivi sono i cattolici spagnoli, banda di fanatici fondamentalisti, intolleranti, ignoranti (non sanno neanche parlare spagnolo, grazie alla stravagante decisione di fare recitare gli attori britannici che li impersonano nel castigliano approssimativo da turista straniero) ritratti in modo decisamente dozzinale. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Sleuth. Gli insospettabili

SLEUTH. GLI INSOSPETTABILI

24/11/2007. Regista: Kenneth Branagh. Sceneggiatura: Harold Pinter. Interpreti: Michael Caine, Jude Law. 86 min. USA. 2007. Adulti. (D)

Nel 1972, Joseph Mankiewicz aveva girato un capolavoro: l’adattamento della pièce teatrale di Anthony Shaffer imperniato sul gioco che Andrew Wyke (Laurence Olivier), famoso scrittore di gialli, propone all’amante di sua moglie: il giovane parrucchiere Milo Tindle (Michael Caine). Il regista del Giulio Cesare, già allora ne ottenne un thriller psicologico di alto livello che offrì al pubblico, dotato delle magistrali interpretazioni magistrali di Olivier e Caine. Anche ora, 35 anni dopo, non sembra da meno l’attuale riedizione.

Il materiale di Sleuth era già buono. Pertanto, non sorprende l’idea di alcuni -Jude Law è il produttore- di farne una nuova versione. Certe decisioni hanno rivelato notevole saggezza: tagliarne drasticamente la durata (da 139 a 86 minuti); affidare a Michael Caine un ruolo completamente diverso (non soltanto dal suo, bensì anche da quello di Olivier); contrattare Branagh -il più teatrale dei registi cinematografici contemporanei- per dirigere il film; ed infine, chiedere al premio Nobel britannico Harold Pinter (esperto nel rievocare personalità ambigue, in ambienti torbidi) di riscrivere la sceneggiatura.

Branagh, al ritmo dell’eccellente musica di Patrick Doyle, ne trae una messa in scena affascinante. La dimora di stile georgiano del film originale mantiene soltanto la facciata. All’interno, i grotteschi pupazzi del famoso romanziere sono stati sostituiti dalle nuove tecnologie: camere di sicurezza, schermi al plasma, comandi e ascensori trasparenti consentono a Branagh la possibilità di fare riprese impossibili, originali, con strane combinazioni cromatiche. Tutto, in questo allestimento scenico, ben si adatta al testo elaborato da Pinter, molto più duro, conciso, scomodo e inquietante della precedente versione. E anche più volgare e pungente, così che il film risulta ora più adeguato agli adulti dell’originale.

I primi 50 minuti di Sleuth sono sensazionali. Il film ha ritmo; la trama, il vigoroso montaggio e il duello tra i protagonisti avvincono lo spettatore. Il problema è nelle sequenze che rappresentano il terzo e ultimo atto. Qui Pinter si allontana dall’opera originale, prescinde dall’originale gioco di indovinelli di Tindle e dall’agile e tagliente atmosfera finale della pièce di Mankiewicz, per prolungare il duello in un nuovo giro di vite (rientra nello stile di Pinter ricorrere alla bestemmia e ad una chiara allusione gay) che si presenta peraltro inverosimile.

Sulla recitazione, Law non è Olivier e, anche se in certi momenti appare brillante, in altri appare un po’ gigione, lasciando trasparire i suoi limiti. Ma Caine è sempre Caine, e vederlo (e ascoltarlo) recitare è una gioia. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: D (ACEPRENSA)

Stardust

24/11/2007. Regista: Mathew Vaughn. Sceneggiatura: Jane Goldman y Matthew Vaughn. Interpreti: Claire Danes, Charlie Cox, Michelle Pfeiffer, Robert de Niro, Sienna Miller. 130 min. GB, USA. 2007. Giovani.

Secondo film del trentaseienne londinese Mathew Vaughn, già noto negli anni Novanta come produttore di titoli quali Lock&Stock e Snatch- Lo strappo. Stardust è l’adattamento al cinema dell’omonimo romanzo del britannico Neil Gaiman, pubblicato nel 1999, con eccellenti illustrazioni di Charles Vess.

Il giovane Tristano, semplice e ingenuo dipendente di un negozietto del paese di Muro, cerca di conquistare il cuore della frivola e civettuola Victoria, prossima sposa di un raffinato pretendente. Travolto dalla passione d’amore, Tristano le promette di portarle una stella. Per cercarla, dovrà superare il muro che circonda la sua tranquilla città. Inizia un viaggio, contro il tempo, popolato di streghe, principi ereditari e pirati, tutti alla ricerca della stella.

Stardust è una fiaba ingegnosa, abilmente intonata ad una versione filmica. Le somiglianze con La storia fantastica sono evidenti, come pure alcuni elementi tratti dalla Storia infinita e dalle Cronache di Narnia, ma bisogna riconoscere che la storia di Stardust è creativa ed originale, così da non potersi definire un misto di varie fiabe precedenti.

L’autore della storia originale è famoso per un drammatico ed espressivo romanzo grafico, intitolato Sandman, pubblicato tra il 1986 ed il 1996. Il riferimento è pertinente, perché Stardust è quello che potremmo chiamare una fiaba per adulti, cioè una storia che farà sorridere gli adulti e attirerà i più giovani. Per i bambini non ci sono gravi inconvenienti, sebbene lo humour iconoclasta e certe oscurità della trama non siano adeguate a minori di 12 anni.

Il film, interessante e dotato di buon ritmo, conta su di una recitazione molto divertente e su di una trama riuscita. La messa in scena e il disegno di produzione sono abbastanza buoni, in gran parte perché prendono a modello le magnifiche illustrazioni del romanzo originale, seguendo poi fedelmente le descrizioni di un libro ben scritto e pieno di vivacità. Claire Danes propone alla perfezione la stella caduta, una giovane di carattere. Il resto del cast è perfetto. Dopo l’abbuffata della saga di Harry Potter, Stardust è film fresco e divertente, dotato di una fantasia misurata, di eccellente livello. Dotato di un budget di 65 milioni di dollari, il film ha finora introitato 80 milioni, di cui però solo 38 dal mercato nordamericano. Significativo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Michael Clayton

24/11/2007. Regista: Tony Gilroy. Sceneggiatura: Tony Gilroy. Interpreti: George Clooney, Sidney Pollack, Tom Wilkinson, Tilda Swinton. 119 min. USA. 2007. Adulti. (D)

Tony Gilroy, finora autore di sceneggiature (suoi gli adattamenti al cinema dei romanzi di Robert Ludlum per la saga Bourne e di altri testi come Soluzione estreme, L’avvocato del diavolo, Rapimento e Riscatto), per la prima volta dirige un buon thriller di ambiente forense, che riesce a catturare l’interesse dello spettatore, tenendolo in tensione fino alla fine. Un efficace Clooney incarna Michael Clayton, avvocato e -tempo addietro- collaboratore del pubblico ministero, che ha abbandonato l’esercizio della sua professione, dopo aver ricevuto l’incarico di risolvere -con discrezione- i problemi e le situazioni difficili dove finiscono regolarmente per trovarsi gli avvocati ed i clienti di un potente studio legale di New York, specializzato in cause milionarie. Clayton risolve questi “problemi” con l’efficacia di un chirurgo, anche se il trattamento che lo attende, alla fine, lo farà sentire pieno di rancore, desideroso di iniziare una nuova vita con i soldi ricevuti a seguito della missione compiuta.

Il film, prodotto da Clooney, Soderbergh, Minghella e Sidney Pollack, ha una struttura circolare che pretende di conferire originalità ad una storia non originale e resa fragile da una certa carenza di definizione tematica. Tenendo conto che il copione non risulta un gran che, l’opera si affida tutto all’eccellente cast, dove stecca solo un istrionico Tom Wilkinson. La fotografia di Robert Elswit (Good nigth and good luck, Syriana) e la musica di James Newton Howard (The interpreter, Blood diamond) aiutano a sostenere il film, altrimenti destinato al fiasco. Dopo esser stato inserito nella sezione ufficiale del Festival di Venezia, il film ha raccolto 33 milioni di dollari nelle sale degli USA: discreta cifra, tenendo conto che è costato 25 milioni. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: D (ACEPRENSA)

Die Hard 4.0

27/10/07. Regista: Len Wiseman. Sceneggiatura: Mark Bomback. Interpreti: Bruce Willis, Timothy Olyphant, Maggie Q, Justin Long, Jeffrey Wright. 130 min. USA. 2007. Giovani. (VD)

John McClane si trova ancora nel posto e al momento sbagliato, ma con i suoi spicci metodi di lavoro -un uomo analogico in un mondo digitale- riesce a salvare il mondo e a rendere più forte il legame con la sua giovane figlia.

Il film, è ovvio, offre un ritmo vertiginoso ed elaborate scene d’azione. Sono eccessive, ma che importa? Una volta entrati in un mondo in cui tutto è possibile, si godono autentici momenti di grande spettacolo drammatico, tra cui la lotta nel tunnel, il modo di abbattere un elicottero con una macchina o il duello tra camion e caccia da combattimento.

Ma gli effetti speciali e le coreografie non sono sufficienti. C’è anche un copione intelligente di Mark Bomback, che prende le mosse dall’articolo giornalistico di John Carlin, A farewell to the arms (Addio alle armi), sull’eccessiva dipendenza tecnologica. La trama specula su cosa può accadere, se pirati informatici riuscissero a collassare le reti che regolano il traffico, la somministrazione di energia elettrica, le finanze, la sicurezza nazionale… E il fondo delle paure collettive, toccato dopo il 11 settembre, sembra offrire credito a tali inquietanti ipotesi. McClane deve portare a termine un lavoro semplice –mettere uno hacker a disposizione dello FBI- ma le cose si complicano quando un gruppo di terroristi cercano di eliminare l’uomo da lui prescelto. Lo dirige un corpulento e cattivo Timothy Olyphant, con oscuri propositi, svelati solo in seguito.

Il film è fedele allo spirito della saga anche nelle nostalgie dell’eroe per la vita famigliare. Il sacrificio e la rinuncia è il prezzo che deve pagare chi possiede così alte qualità, necessarie per lottare contro i cattivi di turno. C’è inoltre molto senso dello humour, battute azzeccate e simpatia per McClane (un eccellente Bruce Willis), quando conversa con il suo protetto, sua figlia, lo FBI o i cattivi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani V, D (ACEPRENSA)

The Bourne ultimatum - Il ritorno dello sciacallo

THE BOURNE ULTIMATUM – IL RITORNO DELLO SCIACALLO

27/10/2007. Regista: Paul Greengrass. Interpreti: Matt Damon, Julia Stiles, Joan Allen, David Strathairn, Paddy Considine, Scott Glenn, Edgar Ramírez, Albert Finney. 111 min. USA. 2007. Giovani. (VD) Nelle sale dal 1 novembre.

Cinque anni fa, un film d’azione -senza tante pretese- finiva per sbancare le sale cinematografiche di tutto il mondo, facendo di Matt Damon una star. Non mancarono le lodi della critica, che vide in questo film un interessante rinnovamento del cinema di spionaggio. Era The Bourne Identity. Due anni dopo, il marchio si consolidava e progrediva con The Bourne Supremacy, grazie soprattutto alla messa in scena del britannico Paul Greengrass. Adesso, la saga e il regista consentono di catalogare come un classico, tra le pellicole di spy-story, l’ultimo prodotto: The Bourne Ultimatum.

Tenendo conto che si tratta di un film intricato, il miglior riassunto dell’argomento è forse quello offerto dalla ditta produttrice: “In The Bourne Identity, il protagonista cerca di scoprire chi è in realtà. In The Bourne Supremacy si vendicava per quello che aveva dovuto subire. Adesso, Jason Bourne torna a casa e ricorda tutto”. Si può aggiungere che, prima di tornare a casa, deve passare da Mosca, Torino, Parigi, Londra, Madrid, Tangeri, New York e Los Angeles e che, strada facendo, dovrà mettersi alla prova con nuovi assassini prezzolati dalla CIA, trovando aiuto inatteso, alle volte anche nel cuore della discussa agenzia federale, dove sembrano sapere come è iniziata la angosciosa fuga di questa smemorata machina per uccidere che è Jason Bourne.

Di nuovo, il copione è più asciutto ed elaborato della media nel cinema di azione convenzionale, rispetto –ad esempio- alla saga di James Bond e relative numerose imitazioni. Nell’agilissima successione di spettacolari sequenze di azione ed interludi intimisti, il copione riesce a dar slancio al dramma di vari personaggi centrali, ma specialmente di Jason Bourne. Questi si dimostra ansioso di scoprire la sua identità smarrita. Sempre in lotta permanente tra desiderio di vendetta, contro coloro che hanno rovinato la sua vita, ed un incipiente coscienza di colpevolezza, che lo porta a moderare i suoi istinti assassini. Malgrado questo approccio, il film -come i precedenti- è molto violento, esibendo talvolta una messa in scena eccessivamente appariscente e un frenetico montaggio, che debilita puntualmente la credibilità delle situazioni.

In ogni caso, Matt Damon e il resto degli attori –sopra tutto Julia Stiles, Joan Allen e David Strathaim- prendono molto sul serio i loro personaggi. Paul Greengrass li dirige con mano vigorosa, senza lesinare pathos allo spettatore, con alcune sequenze di azione da antologia, quali l’inseguimento nella Stazione di Waterloo a Londra, o la doppia fuga ad Algeri, una e l’altra sviluppate in un tempo visivo e drammatico prodigioso. E tutto, sempre sostenuto dall’eccellente partitura musicale di John Powell. Non è certo che la saga abbia un seguito. E neanche che sia Paul Greengrass a dirigerla. Una volta tanto, però, i buoni amanti del cinema d’azione, restano ansiosi di tornare a divertirsi con questo binomio di sicura efficacia. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Becoming Jane

27/10/2007. Regista: Julian Jarrold. Sceneggiatura: Kevin Hood, Sarah Williams. Interpreti: Anne Hathaway, James McAvoy, Maggie Smith, Julie Walters, James Cromwell. 120 min. GB, 2007. Giovani. (S)

Nell’Inghilterra di fine Settecento, la giovane Jane Austen (1775-1817), figlia di un pastore anglicano, settima di otto fratelli, vive in campagna una vita semplice e pacifica. I genitori, seguendo le consuetudine dell’epoca, vogliono trovarle un buon partito, che le assicuri il futuro. Nell’ordinata vita dell’intelligente e sensibile Jane, irrompe Tom Lefroy (ben interpretato dallo scozzese James McAvoy), giovane avvocato irlandese stabilitosi a Londra, arrogante, altezzoso e spaccone.

Accurata produzione britannica, con la partecipazione della BBC, oltre a vantare una collaudata tradizione, si impone per un’ambientazione riuscita e in virtù di un racconto scorrevole e interessante. Si tratta di porre in relazione tra loro alcuni episodi della vita della celeberrima scrittrice ed i suoi romanzi, traendone una serie di conseguenze. Bisogna comunque ammettere, che i romanzi della Austen (ed i film ispirati dagli stessi) surclassano quest’opera: degna, ma non certo un capolavoro.

La vivace Anne Hathaway ha carisma da vendere. Con notevole sforzo, è anche riuscita nell’intento di recitare in perfetto inglese, senza il minimo accento americano. Grazie a lei, risultano attenuati gli errori e la mancanza di sfumature del grezzo copione che, da una parte, non riesce a rendere la mentalità di un’epoca alquanto diversa dalla nostra, e dall’altra, risulta fin troppo assimilabile ad uno spettacolo televisivo; per di più, nell’accezione peggiore del termine. Probabilmente, non è un caso che regista e sceneggiatori provengono dalla TV. Jarrold ha appena concluso le riprese di Ritorno a Brideshead, versione cinematografica del capolavoro di Evelyn Waugh, con Emma Thompson nel ruolo di Lady Marchmain.

Becoming Jane, con un budget di 16,5 milioni di dollari, è stato distribuito dalla Miramax in USA, ottenendo 18 milioni di dollari; il che vuol dire, che è stata una scelta sontuosa aver affidato il ruolo di protagonista ad un’attrice americana, malgrado interpreti un personaggio femminile, che più britannico non si può. Nel Regno Unito, il film ha incassato molto meno: 6,6 milioni di sterline. È in preparazione una serie della BBC, sullo stesso tema, intitolata Miss Austen Regrets, impersonata dall’attrice londinese Olivia Williams (Sesto senso, Tara Road). Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Ratatouille

27/10/2007. Regista: Brad Bird. Sceneggiatura: Brad Bird. Musica: Michael Giacchino. Animazione. 110 min. USA. 2007. Giovani.

Il terzo lungometraggio di Brad Bird ne conferma il talento di regista. Dopo il notevole film Il gigante di ferro e l’eccellente Gli Incredibili, Bird ha preferito qui puntare, e parecchio, su una trama assai rischiosa, consapevole che solo Pixar poteva accettare la sfida (anche economica: 100 milioni di dollari di budget). La società di animazione di John Lasseter, produttore esecutivo del film, ha stabilito standard di qualità incredibili. E in Ratatouille è evidente che, senza lo straordinario lavoro degli animatori tecnici di Pixar, il film non avrebbe funtzionato. Girare un film su di un topo di campagna che sogna con diventare una star della haute cuisine francese, in un ristorante parigino, è tutt’altro che scontato. La ripugnanza naturale che gli esseri umani avvertono per i topi resterà immutata, malgrado molti film di animazione abbiano cercato di presentarci topolini simpatici e carini. Ma mettere insieme topi e alimentazione, inserendo un topo in cucina, è giocare d’azzardo. Ancora più se si rinuncia al comodo espediente di permettere un dialogo tra roditori e persone.

La cosa più sorprendente del grande copione di Ratatouille è il modo di stabilire i rapporti tra roditori e persone, con conflitti davvero ingegnosi ed un’eccellente crescendo drammatico, che culmina in uno dei migliori climax nella storia del cinema d’animazione. Il film gioca più volte sul modo di conciliare le aspirazioni dei roditori con quelle degli uomini utilizzando, come scenario di convivenza delle due speci, la cucina di un ristorante parigino. Brid ha scritto un copione con trovate assai geniali, anche se il film poteva tranquillamente durare 15 minuti di meno (evitando alcuni lunghi dialoghi didattici, un po’ pedanti).

Nel disegno dei personaggi, Pixar è sempre Pixar: lo spettatore rimane a bocca aperta dall’ammirazione, specialmente per il dominio della gestualità dei personaggi, che nel caso di Rèmy, il topo blu protagonista del film, è prodigioso. La qualità della fotografia e del montaggio danno lustro a un disegno di produzione accuratissimo, con una magnifica riproduzione di Parigi e delle sue atmosfere, molto riuscita. Le sequenze di azione, grazie al dominio dell’animazione dei movimenti violenti, hanno grande dinamismo, sottolineato dalla riuscita partitura musicale di Giacchino. Cercate di arrivare puntuali alla proiezione: il cortometraggio incluso Anche gli alieni sbagliano (un’autoscuola per marziani), diretto dal fine editore di suoni Gary Rydstrom, è divertentissimo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: (ACEPRENSA)

Sapori e dissapori

29/09/07. Regista: Scott Hicks. Sceneggiatura: Sandra Nettelbeck, Carol Fuchs. Interpreti: Catherine Zeta-Jones, Aaron Eckhart, Abigail Breslin, Stanley Tucci, Patricia Clarkson.105 min. USA. 2007. Giovani.

Kate Armstrong è la chef di un restaurante alla moda di Manhattan. Il suo regno è la cucina, dove svolge la sua arte con perizia ammirevole, aiutata da sguatteri e camerieri. La proprietaria è contenta di lei, ma la obbliga ad andare a fare psicoterapia: deve imparare a controllare il suo terribile caratteraccio, guadagnando al contempo in affabilità. Kate, sulla trentina, vive da sola, celibe, senza impegno e senza amici. Una bambina e un cuoco irrompono nel menu esistenziale di questa grande professionista, amante del metodo (paradigmatico il modo come è solita allacciarsi il grembiule), nonché di una vita regolare che le permette di sentirsi al sicuro ed a posto.

Basta leggere quello che abbiamo detto perché una buona attrice non esiti a proporsi per la parte: “dove devo firmare?” Ma in questo caso tutto è molto più semplice. La signora Douglas si è studiata Ricette d’amore, il film tedesco magistralmente scritto e diretto da Sandra Nettelbeck, con memorabile recitazione di Martina Gedeck.

Il remake nordamericano lo segue quasi in ogni dettaglio, con una deliziosa Zeta-Jones e un roccioso e rozzo Aaron Ekhart. Questi fa quel che può, soprattutto se paragonato al grande Sergio Castellino. D’altra parte, il modo di caratterizzare la bambina, interpretata da Abigail Breslin, non finisce di risultare convincente.

La regia dell’australiano Scott Hicks (Shine, Cuori in Atlantide) è adeguata, anche se affiora quel retro commerciale e sentimentalista, che tanto danno infligge a molti film statunitensi. Comunque, specialmente per chi non ha visto Ricette d’amore, il film risulterà davvero gradevole. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani (ACEPRENSA)

I Simpson - Il film

29/9/2007. Regista: David Silverman. Sceneggiatura: James L. Brooks, Matt Groening, Al Jean. Musica: Hans Zimmer. Animazione. 87 min. USA. 2007. Giovanni-adulti.


Cosa si può dire dei Simpson che già non si sappia? La serie televisiva è da 17 anni sulla cresta dell’onda. Ogni settimana ottiene grande successo, tanto negli Stati Uniti che fuori. Gli spettatori sanno tutto di questa singolare famiglia nordamericana. La storia che vivono i Simpson, in questa occasione, è simile a quelle già viste su piccolo schermo: Lisa si è impegnata, con scarso risultato, in una crociata ecologista per salvare il lago di Springfield e, quando è prossima al successo, Homer provoca un grande inquinamento tossico che provoca l’intervento delle autorità e minaccia la stessa esistenza di Springfield.

Malgrado il film abbia una qualche componente innovativa, è chiaro che si riduce solo ad un ulteriore e più prolungato episodio della saga tv. Lungo il film, molti dei personaggi apparsi nei diversi capitoli della serie, si possono ora apprezzare con maggior profondità (per quanto si possa farlo, con simili personaggi): si può ora dedicare tempo a sviluppare un’idea, un sentimento, un rapporto. La storia ha varie battute comiche -alcune eccellenti-, senza che ne risultino l’unico ingrediente. Entrano comunque bene nella trama. Si tratta, quindi, di un vero film, anche se ricorda molto -ci mancherebbe altro- i Simpson della serie tv.

I produttori hanno scelto l’animazione tradizionale e il disegno a mano, in gran parte per non perdere il look originale. Con questo handicap hanno realizzato un eccellente lavoro di animazione, che in nessun momento pretende essere perfetta. Inoltre, sfruttano le possibilità che offre il grande schermo sia nella celebre sequenza del monopattino -con il nudo di Bart-, sia per far evidenziare i vasti spazi dell’Alaska, del Gran Canyon. L’eccellente colonna sonora di Hans Zimmer include il tema classico di Danny Eifman.

In sunto, buon intrattenimento con poche sorprese. Forse Homer è troppo scemo per recitare la durata di un film, ma si tratta dei Simpson: assurdi, egoisti, un po’ iconoclasti. Sono l’immagine della società che riflettono e che li adora perché li bastona, ma senza perdere il sorriso, di cuore; e, nonostante tutti i loro difetti, sempre si schierano per la famiglia. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Hairspray

29/9/2007. Regista: Adam Shankman. Sceneggiatura: Leslie Dixon. Interpreti: Nikki Blonsky, John Travolta, Michelle Pfeiffer, Christopher Walken, Amanda Bynes. 117 min. USA. 2007. Giovani. (SD)


Nel 1988, John Waters girò un film intitolato Hairspray (Lacca), imperniato su una adolescente di Baltimora degli anni ‘60, che sogna di andare al Corny Collins Show, programma di ballo della tv locale. La storia di Tracy Tumblad, che supera le difficoltà della sua figura rotondetta, per trionfare, si abbina ad una lotta più importante, quella dell’integrazione razziale. Una storia così, semplice e di buone intenzioni, aveva già fatto sufficiente presa per dar vita ad un musical di Broadway. Nel 2002 è arrivata la messa in scena teatrale, con musica e libretto di Marc Shaiman e Scott Wittman e dopo soli cinque anni ecco ora giungere la versione cinematografica, dove John Travolta fa il salto dal gel (Grease) alla lacca, con il ruolo della mamma di Tracy.


Si tratta di un grandissimo film? La risposta è: no. Le canzoni sono gradevoli, molto anni sessanta. Diciamo che si lascia vedere. Ma Adam Shankman (Prima o poi mi sposo, I passi dell’amore) è un regista modesto, incapace di trascendere l’esile struttura drammatica, per offrire qualche cosa di degno da ricordare. Così, ci presenta un agrodolce di buoni e cattivi, dove fa un po’ soffrire vedere Micelle Pfeiffer nei panni di una seduttrice “matrigna” dello staff esecutivo di una rete televisiva. La causa razziale resta al più un pretesto, per autoincensarsi: risulta davvero impossibile immaginare Spike Lee, per esempio, impegnarsi davvero su questo tema. Inoltre, le frecciate al puritanesimo -la bigotta incarnata da Allison Janney, la CJ di West Wing –tutti gli uomini del presidente- risultano inadatte per un tale musical.


Forse, la vera trovata è il lancio della giovane Nikki Blonsky, stupenda protagonista; e senz’altro ha i suoi meriti anche J. Travolta, nei panni insoliti di una grassa donna, intenta a ballare a ritmo. José María Aresté. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Shrek terzo

29/9/2007. Registi: Chris Miller, Raman Hui. Sceneggiatura: Chris Miller, Jeffrey Price, Peter S. Seaman. Animazione. 92 min. USA. 2007. Giovani.


In questa terza parte della saga -basata sui personaggi letterari creati dallo scomparso William Steig- il popolare orco verde Shrek è alle prese con un evento singolare: la morte di suo suocero, il re Harold, converte a lui e a Fiona nei re del Paese Lontano Lontano. Pieno di orrore, Shrek decide di trovarsi un sostituto, con l’aiuto degli inseparabili amici Ciuchino e Gatto con gli Stivali.


Come si vede, l’argomento già prometteva una buona riuscita. E lo si vede ora da diverse cose ben fatte: le trame e i sogni di Shrek -che trascolorano in un elogio della famiglia numerosa-, le divertenti peripezie della combriccola femminista o la morte del re, forse la sequenza meglio rifinita dell’intero film. Comunque, in termini generali, il film mostra -ancor più evidenti- i difetti abituali della formula DreamWorks. Il copione è più superficiale ed episodico dei precedenti; eccede in boutades satiriche o anacronistiche e carica le tinte con battute un po’ volgari e sfacciate, come il commiato che il Gatto con gli Stivali rivolge alle sue diverse amanti, o qualche commento isolato di Biancaneve. Ci sono pure alcune brevi allusioni all’ideologia andante di gender, rappresentata dalla rozza Doris e dall’affettato direttore d’orchestra.

Nella risoluzione formale, si sono migliorati molto gli sfondi e la gestualità facciale dei personaggi. Inoltre, la colonna sonora è brillante. Comunque, i disegni dei personaggi sono rigidi e convenzionali. Per di più, l’animazione dei relativi movimenti non facciali è alquanto rozza. Ad ogni modo sono difetti accettabili, che si compensano con alcune gags intelligenti. Il finale torna ad esaltare la famiglia e l’amicizia, come dettano i canoni delle fiabe. Infine, il film permette di passare un momento di svago famigliare, senza troppi spaventi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

I Simpson - I film

29/9/2007. Regista: David Silverman. Sceneggiatura: James L. Brooks, Matt Groening, Al Jean. Musica: Hans Zimmer. Animazione. 87 min. USA. 2007. Giovanni-adulti.

Cosa si può dire dei Simpson che già non si sappia? La serie televisiva è da 17 anni sulla cresta dell’onda. Ogni settimana ottiene grande successo, tanto negli Stati Uniti che fuori. Gli spettatori sanno tutto di questa singolare famiglia nordamericana. La storia che vivono i Simpson, in questa occasione, è simile a quelle già viste su piccolo schermo: Lisa si è impegnata, con scarso risultato, in una crociata ecologista per salvare il lago di Springfield e, quando è prossima al successo, Homer provoca un grande inquinamento tossico che provoca l’intervento delle autorità e minaccia la stessa esistenza di Springfield.

Malgrado il film abbia una qualche componente innovativa, è chiaro che si riduce solo ad un ulteriore e più prolungato episodio della saga tv. Lungo il film, molti dei personaggi apparsi nei diversi capitoli della serie, si possono ora apprezzare con maggior profondità (per quanto si possa farlo, con simili personaggi): si può ora dedicare tempo a sviluppare un’idea, un sentimento, un rapporto. La storia ha varie battute comiche -alcune eccellenti-, senza che ne risultino l’unico ingrediente. Entrano comunque bene nella trama. Si tratta, quindi, di un vero film, anche se ricorda molto -ci mancherebbe altro- i Simpson della serie tv.

I produttori hanno scelto l’animazione tradizionale e il disegno a mano, in gran parte per non perdere il look originale. Con questo handicap hanno realizzato un eccellente lavoro di animazione, che in nessun momento pretende essere perfetta. Inoltre, sfruttano le possibilità che offre il grande schermo sia nella celebre sequenza del monopattino -con il nudo di Bart-, sia per far evidenziare i vasti spazi dell’Alaska, del Gran Canyon. L’eccellente colonna sonora di Hans Zimmer include il tema classico di Danny Eifman.

In sunto, buon intrattenimento con poche sorprese. Forse Homer è troppo scemo per recitare la durata di un film, ma si tratta dei Simpson: assurdi, egoisti, un po’ iconoclasti. Sono l’immagine della società che riflettono e che li adora perché li bastona, ma senza perdere il sorriso, di cuore; e, nonostante tutti i loro difetti, sempre si schierano per la famiglia. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

L'Ulitma legione

29/09/07. Regista: Doug Lefler. Sceneggiatura: Tom Butterworth, Jez Butterworth. Interpreti: Colin Firth, Ben Kingsley, Aishwarya Rai, Peter Mullan, Thomas Sangster. 110 min. U.S.A., Gran Bretagna, Francia. 2007. Giovani. (VS).

Nell’anno 476, i Goti di Odoacre invadono Roma, catturano il giovanissimo imperatore Romolo Augustulo e prendono il potere sull’Impero Romano di Occidente. Ma Romolo riesce a fuggire, con l’aiuto di un centurione, diversi legionari, un druido britanno e una guerriera indiana. Insieme cercano la mitica spada di Giulio Cesare.

Storia e fantasia si uniscono in questa divertente e libera versione del romanzo di Valerio Massimo Manfredi, destinato ad ogni tipo di pubblico. La sua realizzazione è un po’ accademica e il copione risulta, ogni tanto, schematico e infantile, ma l’eccellente cast fa davvero sul serio. La trama è agile, le lotte spettacolari, l’ambientazione curata e la colonna sonora di Patrick Doyle sostiene molto bene l’azione. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S. (ACEPRENSA)

Harry Potter e l'Ordine della Fenice


21/7/2007. Regista: David Yates. Sceneggiatura: Michael Goldenberg. Interpreti: Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Michael Gambon, Robbie Coltrane. 138 min. GB. 2007. Giovani.

Libro dopo libro, film dopo film, la saga di Harry Potter rende progressivamente più duro il tono delle sue storie e dei conflitti drammatici dei personaggi, ormai prossimi all’età adulta. Nella quinta puntata il giovane mago ritorna a Hogwarts, dove soffre l’incomprensione di molti alunni e professori, che non credono al recente incontro del ragazzo con due dementors, nel centro di Londra. Lo assilla specialmente Dolores Umbridge, nuova professoressa di Difesa contro le Arti Oscure, nominata direttamente dal ministro della Magia, che proibisce ai giovani studenti di praticare determinati incantesimi difensivi. Davanti alla minaccia di un imminente attacco di Voldemort, Harry e i suoi amici dovranno prepararsi alla battaglia.

L’inglese David Yates è il quarto regista della saga Harry Potter, ma anche il secondo che dirigerà più di un episodio (sta già allestendo Harry Potter e il principe mezzosangue). Yates risulta notevole per come sa dirige attori e ottenere una solida esecuzione visiva, più vicina allo stile realistico delle due ultime puntate, che al tono più infantile delle due prime. Di fatto, essa emerge nelle sequenze iniziali ambientate a Londra -con panoramiche molto suggestive- e mantiene la spettacolarità nelle scene magiche e di azione. Forse, l’unico neo resta la mancanza di sorprese nel suo lavoro di regista.

Per il resto, la sceneggiatura è fluida e ricca di contenuti -soprattutto nelle scene con Harry, Hermione e Ron-, venendo meno solo nella storia d’amore tra Harry e Cho Chang, davvero insulsa e convenzionale, come del resto nel terzo film e nei libri. A parte questa eccezione, riflette con forza i nuovi conflitti dei personaggi, molto più drammatici che nelle precedenti puntate, perché affrontano in pieno la responsabilità personale, lo spirito di squadra, la minaccia della morte. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

I Fantastici 4 e Silver Surfer

21/7/2007. Regista: Tim Story. Sceneggiatura: Don Payne. Interpreti: Ioan Gruffud, Jessica Alba, Chris Evans, Michael Chiklis, Julian McMahon. 92 min. USA. 2007. Giovani (S).

Seconda parte di una saga predestinata a continuare, perché la Fox e le altre quattro majors hanno scoperto un filone aurifero nei racconti a saga. Tant’è, che Marvel, l’editrice di molti dei comics portati recentemente su grande schermo (Spiderman, Hulk, X Men, DareDevil), ha annunciato la creazione di una divisione cinematografica per produrre film, con potere creativo assoluto e… senza dover condividere con nessuno i lauti introiti.

Il film originale, come di solito succede, contava sul vantaggio della novità: ci presentava un gruppo di quattro amici, ciascuno con dei poteri, ottenuti a seguito di un incidente di volo spaziale. Questo seguito è meno divertente: si limita a sfruttare i già esistenti conflitti e segni caratteriali di ciascuno dei quattro eroi. Ricompare il Dottor Morte e salta fuori un surfista argenteo e depresso, nativo di un altro pianeta. Spettacolare e ben filmato, il prodotto compie degnamente la missione di costoso giocattolo, destinato ai fans del comic. Ma con un livello materiale e formale, davvero inferiore a quello della saga di Spiderman. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA).

Quattro minuti

21/7/2007. Regista e sceneggiatura: Chris Kraus. Interpreti: Hannah Herzsprung, Monica Bleibtreu, Richy Müller, Jasmin Tabatabai, Stefan Kurt. 113 min. Germania. 2006. Adulti. (VSD)

Il film ha trionfato nei Premi del cinema tedesco 2007. Chris Kraus ci offre un’interessante storia, molto dura e con qualche ambiguità di fondo, riuscendo a render bene il nucleo drammatico del film: la bellezza si fa strada anche in mezzo al male e al peccato.

La signorina Krüger è un’ottantenne professoressa di piano che dà lezione a carcerate di una prigione di Berlino. Una di loro, Jenny, spicca per il gran talento musicale e per il difficile carattere. Krüger è una professoressa rigorosa e severa, unicamente interessata alla musica, ma che cela un passato assai doloroso. Non c’è nessun personaggio del film che non sia stato trafitto dal male. La professoressa inizia a preparare Jenny per un concorso di pianoforte di grande prestigio. Sembrano solo spine e niente rose.

Solo nel finale del film, si trova la chiave per decifrare l’ottica antropologica di un copione che rivela grande fiducia nella natura umana. La tesi è che, nel fondo dell’anima, si custodisce sempre un alito di verità e di bellezza che, ove possibile, si esprime: in questo caso, attraverso la creazione musicale. E questa bellezza non è una sommatoria di cose buone della vita del personaggio, bensì è qualcosa di previo, qualcosa di dato, irriducibile, che si rivela attraverso una umanità ferita dalle zampate del male.

La professoressa Krüger, che pensa che il talento musicale sia un dono di Dio, vuole invece che si metta al servizio della musica: così come lei la concepisce. Non ammette altra forma di espressione musicale. Krüger imparerà che Dio suona in ogni persona uno spartito diverso e che non si può pretendere dall’altro che vibri allo stesso modo di sé. La prima regola che impone alla sua pupilla, l’umiltà, dovrebbe applicarla, infine, proprio a se stessa.

Quattro minuti è un film che include molta violenza interiore, connessa a situazioni di male assoluto. L’inclinazione lesbica giovanile dell’anziana professoressa si intuisce come tendenza dolorosa e silenziosa, da sempre compagna di vita. Niente riscatta i nostri personaggi definitivamente, ma la musica permette loro il contatto con la bellezza, salvaguardia al nichilismo. L’interpretazione dell’esordiente Hannah Herzsprung nel ruolo di Jenny è impressionante. Così come la sobrietà piena di sfumature di Monica Bleibtreu nel ruolo di Krüger. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Fast food nation


21/07/07. Regista: Richard Linklater. Interpreti: Patricia Arquette, Bobby Cannavale, Ethan Hawke, Greg Kinnear, Avril Lavigne. 114 min. USA. 2006. Adulti (VXD)

Lo statunitense Richard Linklater si è guadagnato la stima di vari appassionati di cinema indipendente, grazie a Prima dell’alba e Prima del tramonto. Poi ha incantato alcuni, ma addormentato la maggioranza proponendo cartoni animati sperimentali, come Waking Life e A Scanner Darkly, realizzati con sofisticati strumenti tecnici.

Adesso in Fast food Nation, galleggia su una specie di denuncia politico-sociale, alla Michael Moore, ma in formato da cinema fiction. Basato sul best-seller di Erich Schlosser, il copione sviluppa la sua azione principale in una piccola località del Colorado, dove si trovano il mattatoio e l’impianto d’impacchettamento della multinazionale di fast food Mickey’s. È lì, che s’incrociano i cammini di tre immigranti messicani, che iniziano a lavorare nell’impianto; di un gruppo di studenti ecologisti, che cercano di denunciare la pratiche sospette su animali, e di un funzionario esecutivo di marketing dell’azienda. Lui deve esaminare a fondo il mattatoio e l’impianto, perché recenti esami hanno trovato escrementi animali negli hamburger. Linklater dirige bene gli attori –molti di loro, eccellenti- e intreccia le loro storie con agilità e senso drammatico. Il suo problema è lo stesso di Michael Moore: guarda la realtà attraverso una lente ideologicamente deformata, che rende prevedibile l’evoluzione della trama in tragedia, così come l’inevitabile degenerazione morale dei personaggi, costretti a scelte obbligate da un sistema capitalistico inumano e corrotto in radice. Probabilmente, molte delle denuncie di Linklater hanno fondamento reale; ma esibirle con tale veemenza, pessimismo e tale crudezza, finiscono per trasformarle in esagerate e tendenziose. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)


Il flauto magico

IL FLAUTO MAGICO

14/7/2007. Regista: Kenneth Branagh. Sceneggiatura: Stephen Fry, Kenneth Branagh. Interpreti: Joseph Kaiser, Amy Carson, Benjamin Jay Davis, Silvia Moi, Rene Pape, Lyubov Petrova. 135 min. GB, Francia. 2006. Giovani.

La famosa opera massonica di Mozart racconta una storia semplice: il principe Pamino deve riscattare la principessa Pamina -figlia della Regina della Notte-, che Sarastro mantiene imprigionata. Viene accompagnato da un eccentrico uccellatore, chiamato Papageno. Liberare la principessa non sarà così difficile come sembrava. Il bello viene dopo, quando, innamoratosi, Pamino deve superare numerose prove, per meritare la mano di Pamina. Papageno rivela un destino analogo. Il flauto magico è stata una delle opere liriche più popolari e più rappresentata della storia, di cui resta il bellissimo adattamento cinematografico di Ingmar Bergman.

Branagh non è Bergman, ma vanta una lunga carriera di versioni cinematografiche di Shakespeare, che dimostrano una rara abilità nel trasferire la prospettiva teatrale al grande schermo, per cercare immagini o canzoni adeguate ai dialoghi. Branagh ha ambientato Il flauto magico in un’atmosfera che ricorda la Prima Guerra Mondiale: un mondo di trincee, agli inizi del XX secolo, con colori di stampe d’epoca e sequenze estratte da Orizzonti di gloria; ma anche un mondo onirico e irreale, perché si tratta dell’opera di Mozart, magnificamente cantata (in inglese), che Branagh inquadra in una scenografia molto ricca, dotata di fantasia, di accurata pianificazione, nonché di effetti speciali generati al computer. Il contenuto ideologico si riduce qui ad un libello antibellicista.

Il risultato è notevole e, come tutto quel che fa Branagh, ammette valutazioni a vario livello, tenendo comunque conto, che non ci troviamo davanti ad una narrazione nuova, bensì ad una celeberrima opera. Alcuni critici hanno dato risalto alla validità della trasposizione su grande schermo, altri alla musica, altri alla resa dei personaggi. Per chi non conosce l’opera di Mozart, l’impressione sarà diversa: il fatto di doversi imbattere in due lunghe ore di opera lirica, per qualche settore del pubblico di neofiti, seppur con la migliore volontà, può risultare davvero troppo.

La prima ora si regge a meraviglia: l’ouverture è una straordinaria sequenza di sei minuti, che va dal cielo al dettaglio di una mano in una trincea. La presentazione di ogni personaggio è un poema: in particolare, la Regina della Notte. Il secondo atto si fa più difficile, perché Branagh ha già di fatto mostrato il suo mazzo di carte e il gioco non appare più sorprendente. C’è chi può sentirsi stanco di lirica, o saturo d’immagini; e chi avverte la mancanza di un intervallo che nell’opera, a differenza del film, è sempre previsto.

In ogni caso, appare un lavoro notevole, realizzato in modo splendido. Forse la recitazione risulta meno spontanea, non solo rispetto all’originale, ma anche se confrontata con la versione cinematografica di Bergman; opera comunque preziosa, pienamente fruibile, realizzata da un’amante della musica. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

Transformers

14/7/2007. Regista: Michael Bay. Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman. Interpreti: Shia LaBeouf, Tyrese Gibson, Josh Duhamel, Anthony Anderson, Rachael Taylor. 144 min. USA. 2007. Giovani. (S)

Negli anni settanta, una compagnia giapponese aveva lanciato sul mercato dei giocattoli da montaggio, capaci di rappresentare diverse cose (tra cui un robot umanoide), a seconda di come si disponevano i pezzi mobili. Nel 1982, la nordamericana Hasbro, in collaborazione con l’editrice Marvel, ha negoziato un accordo per utilizzare le figurine in modo da creare un comic e una serie televisiva, risultati molto popolari negli anni immediatamente successivi.

Questo film era un vecchio sogno di Spielberg, che vi compare ora in qualità di produttore. La storia, non totalmente simile alla serie TV, è stata scritta dai sceneggiatori di Mission Imposible III, entrambi reduci da esperienze televisive (sono i creatori del serial Alias).

In un pianeta di un’altra galassia, due razze robotiche lottano per il dominio dell’universo e il combattimento finisce per sconfinare sulla Terra. Nella parte dei protagonisti umani, un tormentato gruppo di marines, un adolescente complessato e le autorità militari che gestiscono la crisi.

La trama si sviluppa a tre diversi livelli, sempre bilanciati da un contro effetto comico, stile La leggenda del Zorro, altro film scritto da Orci e Kurtzman. Innocente e divertente, Transformers ha un ritmo progressivamente accelerato, che alterna lo humour all’azione emozionante. È in questo campo, che il californiano Michael Bay (The rock, The Island) si difende meglio. Il lavoro degli animatori e dei creatori di effetti speciali è sensazionale. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Flyboys

14/7/2007. Regista: Tony Bill. Sceneggiatura: Phil Sears, Blake T. Evans, Vincent S. Ward. Interpreti: James Franco, Jean Reno, Jennifer Decker, Martin Henderson, David Ellison. 140 min. Francia, USA. 2006. Giovani. (SD)

Questo film statunitense racconta le peripezie della Squadriglia Lafayette, nella I Guerra Mondiale. Sotto comando francese, era formata da piloti volontari nordamericani, attiva fin dall’aprile 1916. Ovvero, un anno prima della entrata in guerra degli Stati Uniti, dopo l’affondamento del Lusitania ad opera di sommergibili tedeschi. Dei 260 membri della squadriglia sono morti in 60.

Il film è diretto da un produttore californiano di 67 anni, pertanto un veterano, già celebre per La stangata, il piacevolissimo film di George Hill, vincitore di 7 meritati Oscar, nel 1973. Ha un buon disegno di produzione (60 milioni di dollari di budget), anche se nel cast non ci sono molte facce note, salvo James Franco (Spiderman), attore che dovrebbe cercare di moderare la sua tendenza a recitare con toni sempre sostenuti.

Nel trattamento della storia affiora qualche eccesso che probabilmente darà fastidio a molti spettatori. Mi riferisco al clima da “ragazzi in campeggio”. A dir il vero, bisogna segnalare che quel clima, un po’ goliardico, rispecchia quello dell’epoca: i piloti statunitensi e canadesi ebbero fama di viveurs, eccentrici, indisciplinati, poco marziali. Particolare invece assai poco veridico, il fatto che tutti siano sempre perfettamente pettinati, anche quando escono da un aereo appena schiantatosi al suolo.

Insomma, una divertente battaglia aerea, con qualche sequenza spettacolare ed emozionante e l’immancabile love story. La lunghezza del film avrebbe autorizzato a sperare in un più approfondito profilo interiore dei personaggi, tale da infondere al film un maggiore spessore drammatico. Negli USA ha avuto scarso successo: solo 13 milioni di dollari. Giusto così. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Ti va di pagare?

14/07/07. Regista: Pierre Salvadori. Sceneggiatura: Pierre Salvatori, Benoît Graffin. Interpreti: Audrey Tautou, Gad Elmaleh, Marie-Christine Adam, Vernon Dobtcheff. 104 min. Francia. 2006. Adulti (XD)

Jean, timido cameriere di un albergo di lusso, si fa passare per milionario per attirare l’attenzione di Irène, prostituta di lusso, specializzata in clienti danarosi, cui spillare le rispettive fortune. Lei lo respinge quando ne scopre la vera identità, ma Jean, innamorato d’Irène, si lancia sulle sue tracce, seguendola in Costa Azzurra.

Commedia cinica, rientra nel cliché del cacciatore, al contempo divenuto preda, con buone interpretazioni e alcune sequenze abilmente costruite. Il problema principale, per questo tipo di film, somiglia a quello di alcuni episodi del serial TV tipo House: tutto valido, purché ne esca una trama divertente e brillantemente sarcastica. La cena dei cretini (1998), una delle migliori commedie delle due ultimi decenni, e in minore misura, il recente Una top model nel mio letto (2006) sono due buoni esempi di un atteggiamento ben diverso (quello di Francis Veber), quando si decide di affrontare storie spinose da trattare. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Ocean's thirteen

23/6/2007. Regista: Steven Soderbergh. Sceneggiatura: Brian Koppelman, David Levien. Interpreti: George Clooney, Brad Pitt, Matt Damon, Andy Garcia, Don Cheadle, Bernie Mac, Ellen Barkin, Al Pacino. 115 min. USA. 2007. Giovani-adulti. (SD)

Il terzo episodio della saga Ocean’s presentata da Steven Soderbergh è l’autentico remake dell’originale Colpo grosso (Ocean’s Eleven, 1960) di Lewis Milestone. In quel film c’erano due elementi chiavi. Il primo è il cosiddetto Rat Pack, formato da Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr. e Peter Lawford, che si divertono un mondo insieme, improvvisando da par loro, quasi senza bisogno di recitare. Il secondo, quale pretesto per la storia, è il furto ad un casinò di Las Vegas, realizzato alla perfezione grazie al peculiare talento di ciascun componente del Rat Pack.

Soderbergh aveva già attuato un degno remake, alcuni anni fa, banco di prova per proporci ora il suo Rat Pack. Ma aveva allora fallito nel trarne un secondo episodio, privo di vera trama. In questo terzo episodio indovina tutto, risalendo alle origini: ad un gruppo di uomini, uniti da solida amicizia, che esibiscono i propri talenti per realizzare un furto ad un casinò di Las Vegas. La trama su cui poggia il copione di Koppelman e Levien è più che fragile: eterea; pura forma, un brillante e colorito involucro che si mantiene grazie alle grandi forze che governano il mondo, il bene e il male, l’amore e l’odio, la bellezza e la bruttezza: questi ladri sono brava gente, che si faranno giustizia di un orribile villano; un eccellente Al Pacino si misura con una squadra di stelle che lavora senza personalismi, dove ognuno è pronto a mettersi da parte, più che rivaleggiare con gli altri davanti alla cinepresa.

Non c’e suspense. Infatti, nessuno ha dubbi su quel che accadrà, ma lo spettatore si lascia conquistare dalla grazia e dall’incantesimo di quello che sta vedendo -davvero eccellente la produzione e il montaggio- anche se resta consapevole del fatto che tutto è irreale, così irreale -come i truci eventi del copione-, da esser pronto ad accettare qualsiasi cosa. In fondo, a nessuno importa che, alla fin fine, le vicende non quadrino del tutto, purché siano ben presentate e proposte da una squadra di attori di primo piano, tutti accattivanti.

Una commedia leggera, senza pretese -difetto nel quale è caduto più di una volta questo regista-, con una nota nostalgica. Un film fatto per ricordare che Hollywood è una fabbrica di sogni e che la chiave del successo è stata scritta molto tempo fa: non c’è bisogno d’inventar niente, ma solo di imparare dai maestri. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il destino nel nome

23/6/2007. Regista: Mira Nair. Sceneggiatura: Sooni Taraporevala. Interpreti: Kal Penn, Tabu, Irrfan Khan, Jacinda Barrett, Zuleika Robinson. 122 min. India, USA. 2007. Giovani-adulti (XD)

Calcutta, 1977. Dopo essere sopravissuto ad un grave incidente di treno, Ashoke Gangli sposa Ashima, bella cantante di musica tradizionale indiana. Poco dopo, ad Ashoke è stato offerto un lavoro ben remunerato a New York, dove i due si trasferiscono, installandosi in un modesto appartamento di periferia. Nella loro nuova città nascono e crescono i due figli, un ragazzo e una ragazza. Al ragazzo mettono come primo nome Gógol, in onore del famoso scrittore russo, un’opera del quale è misteriosamente collegata alla vita di Ashoke. Mentre i genitori lavorano e si sacrificano perché i figli abbiano più opportunità di loro, Gógol desidera emanciparsi dal vincolo con la cultura indiana tradizionale, che i genitori hanno conservato, a prezzo di grandi sforzi. Un giorno decide di cambiar nome.

Sorprende il tono introspettivo, sereno e ponderato del copione di Sooni Taraporevala, che adatta il romanzo di Jhumpa Lahiri. Mira Nair (Mississippi Masala, Monsoon Wedding, La fiera delle vanità) propone una misurata direzione di attori, specialmente efficace nell’attrice indiana Tabu, che impersona Ashima con intensa profondità morale e forte impatto emotivo. In alcuni momenti, la messa in scena di Nair resta forse troppo contagiata dal tono letterario del copione, risultando eccessivamente flemmatica. Ma si tratta di lievi difetti, che mai intaccano il profondo ritratto familiare presentato dal film. Un ritratto che esalta il meglio delle tradizioni indiane, specialmente per quanto riguarda il mutuo rispetto tra genitori e figli, l’educazione nella responsabilità e la religiosità. Al contempo, si mette il dito nelle varie piaghe del materialismo occidentale, presentato come pericolosamente individualista ed edonista, frivolo rispetto al sesso e all’amore, consumista fino all’abbuffata, miscredente, cinico, disincantato.

Ne viene fuori un’ispirata riflessione sull’integrazione pacifica, che arricchisce le culture, e sui traumi subiti da molti uomini e donne attuali. Film diretto e interpretato con vigore, conta anche su una splendida colonna sonora di Nitin Sawhney, con diverse canzoni indiane molto belle. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Io e Beethoven

23/6/2007. Regista: Agnieszka Holland. Sceneggiatura: Stephen J. Rivele e Christopher Wilkinson. Interpreti: Ed Harris, Diane Krüger, Nicholas Jones, Joe Anderson, Matthew Goode. 104 min. USA, Germania, Ungaria. 2006. Giovani. (SD)

Alle volte, il mancato riconoscimento di un premio è assai rilevante. È il caso dell’ingiusta esclusione di Io e Beethoven del palmarès ufficiale del Festival di San Sebastian 2006. In questo film, la veterana regista polacca Agnieszka Holland ha dimenticato gli spessori e le ambiguità dimostrati in film come Europa, Europa, e Olivier, Olivier, riprendendo la calda umanità di Il giardino segreto, per ottenere il miglior film della carriera.

Holland ricrea il rapporto professionale, per niente carnale, che mantengono a Vienna il violento, rude, geniale e profondamente cristiano Ludwig van Beethoven -già al declino della propria vita- e l’immaginaria aspirante compositrice Anna Holtz, una bella giovane di 23 anni che trascrive la versione finale della Nona Sinfonia del Maestro, aiutandolo a dirigerne la prima.

Ne risulta uno splendido lavoro della Holland: di fattura molto classica e, al contempo, molto moderno; soprattutto, in riferimento alla pianificazione e al montaggio, esibiti in una vistosa struttura musicale. Superba, anche la fotografia di Ashley Rowe, valida in ogni momento. Magnifiche le interpretazioni del sempre brillante Ed Harris, e anche della giovane attrice Diane Krüger, protagonista di Troy, che recita benissimo anche nella davvero complessa fase di redazione della prima della Nona. Perfetta, naturalmente, la musica di Beethoven, che irrompe in tutto il film.

Il copione di Stephen J. Rivele e Christopher Wilkinson è agile, di gran profondità drammatica, coinvolgente, divertente e commovente nelle sue preziose riflessioni sulla creazione artistica. Una creazione presentata come riflesso della creazione divina; intravista dall’artista –il musicista in questo caso- d’accordo alla sua condizione di eletto che, malgrado i suoi limiti -come la sordità-, è capace di leggere sulle labbra di Dio, trasmettendo in musica ciò che vi trova al resto dell’umanità. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA

Pubblico: Giovani. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il destino di un guerriero (Alatriste)

23/06/07. Regista: Agustín Díaz Yanes. Sceneggiatura: Agustín Díaz Yanes. Interpreti: Viggo Mortensen, Elena Anaya, Eduard Fernández, Ariana Gil, Unax Ugalde. 147 min. Spagna. 2006. Adulti (VXS)

Questa ambiziosa megaproduzione spagnola adatta i cinque romanzi di Arturo Pérez-Reverte sulle avventure del capitano Alatriste, veterano dei Tercios delle Fiandre, che passa ogni tipo di avventura nella Spagna del XVII sec. Di fatto, viene coinvolto come soldato di fortuna nelle manovre tra il Conte-Duca di Olivares e l’Inquisizione. Mentre alleva il suo figlioccio, s’innamora di una famosa attrice e sopravvive ai diversi agguati di un killer siciliano che, come lui, risulta altrettanto temerario e amareggiato.

Il film risulta di eccessiva durata, appesantito dal carattere episodico della trama. Il madrileno Agustín Díaz Yanes (Nessuna notizia di Dio) maschera questi difetti minori grazie ad una rigorosa direzione di attori e ad una brillante messa in scena iperrealista, d’intensa pianificazione, dove ben spende il generoso budget del film tanto nelle scene intimiste, come nelle potenti battaglie e duelli all’arma bianca. In tal senso, bisogna lodare l’eccellente lavoro del direttore artistico Benjamín Fernández, del direttore di fotografia Paco Femenia, nonché del compositore Roque Baños, autore di una sensazionale colonna sonora.

Altra pecca del film è causata dall’eccessiva fedeltà ai romanzi originali, nati come tributo ad Alessandro Dumas e -come tali- destinati ad un pubblico giovanile. In questo modo, i personaggi risultano troppo romanzeschi e schematici. Pérez-Reverte li ritrae con un profondo pessimismo esistenziale, cinico e un po’ canaglia, più idoneo all’attuale agnosticismo che alla Spagna del Secolo D’Oro. Si deforma così il ritratto dell’epoca, trascurando la religiosità cattolica dei personaggi, che in qualche modo li avrebbe influenzati. Così che detta religiosità viene riservata in modo esclusivo all’Inquisizione, tratteggiata in modo caricaturale e manicheo: proprio da leggenda nera.

È un peccato questa prospettiva riduttiva, che svaluta il nobile desiderio di Pérez-Reverte di rivendicare senza complessi la storia di Spagna, con le sue miserie, ma anche con molte grandezze. Inoltre, tale difetto limita molto le possibilità di un film potente, divertente e colto, che -pur con le sue carenze-, offre una boccata d’ossigeno, tra tanti melodrammi esistenziali senza senso e tanta commedia futile. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, S (ACEPRENSA)

Il mio miglior amico


23/06/07. Regista: Patrice Leconte. Sceneggiatura: Jérôme Tonnerre, Patrice Leconte. Interpreti: Daniel Auteuil, Dany Boon, Julie Gayet, Julie Durand. 94 min. Francia. 2006. Giovani-adulti.

Prossimo ai 60 ed a 30 anni dal primo film, il parigino Patrice Leconte (La ragazza sul ponte, L’uomo del treno) dirige una commedia leggera, gradevole e pulita: ingredienti insoliti, se andiamo a rivedere la precedente carriera.

François è un mercante d’arte. Egoista e prepotente, accetta una curiosa scommessa: in una settimana dovrà dimostrare di avere almeno un vero amico. Il premio è un’antica anfora greca, cui tiene molto. Ciò che il protagonista considera una prova facile si trasformerà in una fatica titanica, perché l’amicizia né si compra, né si ottiene in un istante. L’apparizione casuale di un tassista estroverso e saputello… fa da spartiacque.

Buoni dialoghi, grandi attori, diverse situazioni molto ben inserite in un tono amabile, ironico e critico, ma non acido. Tutto ciò è presente in un film dall’aria un po’scanzonata. Leconte non ha comunque saputo resistere al luogo comune che talora sembra diventato un dogma: l’inserimento di un omosessuale, a far da voce della coscienza del protagonista, da amabile consigliere, modello di equilibrio e maturità. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: ---- (ACEPRENSA)

Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo


2/6/2007. Regista: Gore Verbinski. Sceneggiatura: Ted Elliott, Terry Rossio. Interpreti: Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley, Geoffrey Rush, Chow Yun Fat. 168 min. USA. 2007. Giovani.

Neanche una parola sulla trama del film. In primo luogo, perchè è irrilevante; in secondo luogo, perché con tanti tradimenti pirati, non è facile star dietro alla trama; in terzo luogo e a maggior ragione: perché dare indizi sul quesito principale, ovvero se i due protagonisti finiranno per sposarsi? Ma tra loro o con chi altri?

Il successo dei primi Pirati portò il tandem Verbinski-Burcheimer a prolungare il trionfo, fino a confezionare una trilogia di episodi. Se ben riuscito è apparso il secondo episodio, non si può dire altrettanto di questo terzo, che non naufraga del tutto solo per un finale davvero riuscito, con cui attenua la noia che opprime lo spettatore per le prime due ore di spettacolo.

L’inizio del film è farraginoso: si direbbe incapace di decollare. Nella prima parte sembra quasi ricondurre l’origine di Pirati dei Carabi ad un’attrazione da luna park e, di fatto, lo spettatore ha la sensazione di passare dalla “casa degli orrori”, alle “montagne russe”, alle barchette oscillanti nel vuoto. Tutto molto spettacolare -come la nave che precipita nella turbinosa cascata- ma anche molto artificioso.

Dopo quaranta minuti di simili attrazioni da baraccone, appare finalmente il pirata Jack Sparrow, in una lunghissima e poco divertente sequenza. Succedono poi troppe cose -e monotone- sino al finale, dove fortunatamente il film raccoglie il meglio delle due puntate precedenti: azione, humour (assente per quasi tutto questo terzo episodio), lotte con belle coreografie e un montaggio agile.

Anche l’interpretazione conferma la scarsa densità della storia: se nella seconda puntata Johnny Depp bucava lo schermo (né Orlando Bloom, né Keira Knightley riuscivano a tenergli testa), facendo quel che voleva, adesso invece si deve confrontare con un sensazionale Geoffrey Rush. Certo, con una trama diversa, ne sarebbe venuto fuori un gran bel confronto interpretativo. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

La città proibita

2/6/2007. Regista: Zhang Yimou. Sceneggiatura: Zhang Yimou. Interpreti: Gong Li, Chow Yun-Fat, Jay Chou, Liu Ye, Ni Dahong. 114 min. Hong Kong-Cina. 2007. Giovani-adulti. (VS)

Questo adattamento di un’opera teatrale di Cao Yu narra le lotte intestine della dinastia Tang intorno al 1000, con personaggi spinti dal desiderio di potere, se non da passioni più elementari. In prossimità della festa del doppio Yang, Fenix, moglie dell’imperatore Ping, coltiva il suo amore incestuoso per un figliastro: l’erede Wan. L’imperatore -da parte sua- ha preso le distanze dalla consorte, fino a ordire un piano per avvelenarla lentamente. Il secondo figlio del l’imperatore, Jai, molto unito alla madre, risulterà facilmente manipolabile. E c’è anche Yu, il terzo figlio, un po’ ingenuo, anche se con ambizioni e veemenza giovanili. La trama contiene altri elementi che complicano tutto, fino a propinarci una specie di polpettone (tanto per non infierire): un’amante di Wan più giovane, la madre di questa donna…

Il film è fastoso. I costumi, la scenografia scintillante, il predominio di colori dorati contribuisce ad un tono di sfarzo, ma solo come debole pretesto per esibire una sensualità insistita. Anche se Yimou colloca il suo lavoro nella tradizione delle wuxia (il modo proprio di girare film sulle arti marziali, in cui già si era già cimentato in Hero e La foresta dei pugnali volanti, con scene di lotte e combattimenti molto cariche di effetti visivi), in questa trama dedica più attenzione ai personaggi ed ai loro burrascosi rapporti. C’è un desiderio di conferire risonanze universali ai fatti raccontati -il motivo orientale del cielo e della terra-, sullo stile delle tragedie shakesperiane. Anche se il paragone è decisamente imbarazzante. Il cast lavora molto bene, con un Chow Yun-Fat molto sobrio, che sembra cullare il motto “la vendetta è un piatto da servirsi freddo”, e una Gong Li, ripresentatasi come musa di Yimou, che recita alla grande nella parte della donna intrigante. Josè Maria Arestè. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Le verità negate

2/6/2007. Regista: Ann Turner. Sceneggiatura: Ann Turner. Interpreti: Susan Sarandon, Sam Neill, Emily Blunt, Bud Tingwell, William Mcinnes, Georgie Parker. 103 minuti. Australia. 2006. Adulti. (VXD)

Una delle carenze emerse da Le verità negate è che una breve sintesi è sufficiente a narrare più di tre quarti del film. Lo spettatore che vada a vederlo -non svelo niente, lo dice la pubblicità- saprà che il personaggio che interpreta Susan Sarandon è quello di una brillante illustratrice in ore basse, convintasi che una collega di lavoro del marito stia ostinandosi a rovinarle matrimonio, carriera e famiglia.

L’australiana Ann Turner esordisce con un thriller sulla scorta di The forgotten o Flightplan - Mistero in volo. Conservando le proprie sfumature -questi film danno infatti luogo a prodotti differenti non soltanto per qualità, ma anche per genere-, il punto di partenza resta sempre lo stesso: una protagonista (almeno quasi sempre è donna) viene traumatizzata dagli eventi anomali che si succedono, mentre il resto dei personaggi -ivi lo spettatore- si domanda se ciò che sta vedendo sia reale o frutto di una mente malata. Normalmente, il dilemma si risolve presto e la pellicola prosegue trasformandosi in film dell’orrore, di azione, di fantascienza, ecc. Per organizzare spettacoli come questo, si bara un po’ col copione, cercando di stabilire un tacito patto con lo spettatore, del tipo: “è vero, ti sto prendendo in giro; ma tu fa’ finta di niente. Va là, che in fondo, ti stai divertendo”.

Nel film Le verità negate, il dilemma sulla pazzia o no della protagonista si prolunga di fatto fino alla fine. Ma per mantener la tensione -comunque artificiosa- non soltanto il copione viene stravolto (l’idea di proporre un doppio finale appare assurda), ma si snaturano anche la macchina da presa, la scenografia e perfino gli attori (al povero Sam Neill, che deve unire la parte del marito abnegato a quella di cinico libertino, tocca la parte peggiore). Soltanto il lavoro faticoso del solido cast salva questo sottoprodotto: quasi un telefilm da primo pomeriggio. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)