Il grande Gatsby

25/5/2013. Regista: Baz Luhrmann. Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pearce. Interpreti: Leonardo Di Caprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Joel Edgerton, Elizabeth Debicki. 142 min. USA. 2013. Adulti. (X)


"Sono marci. Voi valete più di tutti loro”. Così dice Nick Carraway al suo amico Jay Gatsby in un romanzo tragico e disincantato, che Francis Scott Fitzgerald pubblicò nel 1925.

Un romanzo su persone marce, su persone che si guastano in vita, come il proprio Carraway, narratore della storia, che si rende conto di celebrare i 30 anni mentre l'atletico marito di Daisy, Tom Buchanan, gli offre ancora un altro drink. "Davanti a me stesso -confessa Carraway- si distendeva l’inquietante percorso di un nuovo decennio."

Baz Luhrmann e il suo tradizionale partner di scrittura, Craig Pearce, hanno fatto un film notevole davanti il quale qualsiasi lettore del romanzo, qualsiasi esperto sulla vita e l'opera di Francis Scott Fitzgerald, non dovrebbe sorprendesi. Dico questo perché il film può piacere o meno, ma racconta una storia, che è quella che è vera: quella di alcuni pietosi personaggi in un mondo schifoso, di cattivo gusto e falso. Quella di un naufrago aggrappato ad una chimera.

Il grande Gatsby è la storia di una menzogna, di un desiderio di perfezione in mezzo di al immondezzaio, di un desiderio d'eternità in un mondo caduco e crudele, uno stagno immondo che è stato coperto con delle quinte troppo evidenti. L’immoderata tendenza alla mitizzazione e al  fashion victim può portare alcuni ad una critica poco intelligente del lavoro  di Luhrmann. Certamente non sarò io a cadere nella sciocchezza di proporre Fitzgerald come una vittima del sistema, come una sorta di elegante eroe tragico, a immagine del Gatsby del suo romanzo. Una cosa è riconoscere il suo valore come scrittore,  un’altra mitizzarlo. Al che, dire –come fanno i puristi- che Luhrmann ha tradito lo spirito di Fitzgerald, mi sembra risibile.

Il regista australiano dirige degli attori che penso siano i migliori rispetto a qualsiasi precedente versione cinematografica. Di Caprio e compagnia fanno un lavoro eccellente ed i loro personaggi seguono il percorso che devono avere, né più né meno. La messa in scena è intelligente, con costumi e atmosfere brillanti. Che Luhrmann sia un regista operistico è noto, e il suo ricorso al montaggio rapido rimane efficace come sempre. Il vizio e la depravazione sono noiosi. E infatti ci sono sezioni della pellicola volutamente noiosi, che vogliono infastidire con reiterazioni, con quei flashback che ci ricordano che Gatsby, nel fondo un trafficone senza pedigree, vuole riscrivere la storia, la sua storia. Come ha voluto fare Fitzgerald, che ha avuto una vita molto meno divertente e amabile di quella che intelligentemente idealizzò Woody Allen in Midnight in Paris. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

Iron Man 3

25/5/2013. Regista: Shane Black. Sceneggiatura: Shane Black e Drew Pearce, basato sul fumetto di Jack Kirby, Stan Lee, Don Heck e Larry Lieber. Interpreti: Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Don Cheadle, Guy Pearce, Ben Kingsley, Rebecca Hall. 130 min. USA. 2013. Giovani-adulti. (V)


Nuova puntata del supereroe Marvel. Shane Black si prende un po’ di tempo prima di trovare il ritmo della trama e di bilanciare il consueto cocktail di azione frenetica e umorismo scatenato, anche ricorrendo a qualche gag un po’ rozza. Ma, quando acquista la velocità di crociera, offre agli appassionati del genere uno spettacolo estremamente divertente, molto efficace nei suoi costanti momenti di umorismo, travolgente nei suoi vistosi effetti visivi e con sequenze d'azione da antologia.

Ci sono anche alcuni levi approfondimenti drammatici sulla perversione della scienza e sull’arricchente percorso vitale e morale del protagonista. Questa volta vediamo un Iron Man che ammorbidisce la sua cinica superficialità, soprattutto dopo il suo incontro con un bambino. E rafforza il senso profondo della sua vocazione di supereroe: limitato, come tutti, e bisognoso, pure come tutti, dell’aiuto degli altri. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Tutti pazzi per Rose

25/5/2013. Regista: Régis Roinsard. Sceneggiatura: Régis Roinsard, Daniel Presley, Romain Compingt. Interpreti: Romain Duris, Deborah François, Bérénice Bejo, Shaun Benson, Mélanie Bernier, Nicolas Bedos. 111 min. Francia. 2012. Giovani. (X) Nelle sale il 30 maggio.


Rose Pamphyle è una ragazza di provincia che, alla fine degli anni 50, sogna la carriera di una ragazza moderna di città, lavorando come segretaria. Affascinato dalla sua velocità come dattilografa, anche se utilizza solo due dita, Louis Echard la contratta per il suo studio. Determinato a farla vincere un campionato di velocità con la macchina da scrivere, accetta di prenderla come sua segretaria nonostante il suo manifesto disordine.

Simpatica e leggera commedia da telefoni bianchi, di umorismo gentile, il cui principale riferimento, a partire dai titoli di testa e continuando con il fisico dei protagonisti, Romain Duris e Deborah François, sono i deliziosi film di Rock Hudson e Doris Day. Il tono è amichevole e idealizzato; niente a che fare con il mondo esteticamente paragonabile della cinica serie televisiva Mad Men.

Forse l’approdo ai lungometraggi di Régis Roinsard allunga eccessivamente la trama, con troppi concorsi di dattilografia, ma crea emozione nello stile dei drammi sportivi, con un fascino e ottimismo che sono d’apprezzare in tempi di crisi. La battaglia dei sessi funziona, come gli incontri e i disaccordi, le situazioni equivoche, i rapporti tra i personaggi, tra cui la distanza del padre, o l'amore della dipendente. Danneggia leggermente il romanticismo la notte di alcova, ma può di più la delicatezza generale, i silenzi e i comportamenti contraddittori di coloro che si amano e non sanno come esprimerlo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: X (ACEPRENSA)

No. I giorni dell'arcobaleno

25/5/2013. Regista: Pablo Larraín. Sceneggiatura: Pedro Peirano. Interpreti: Gael García Bernal, Luis Gnecco, Nestor Cantillana, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Alejandro Goic. 110 min. Chile, Usa, Francia, Mexico. 2012. Giovani-adulti. (V)


Di fronte alla pressione internazionale, il dittatore cileno Augusto Pinochet nel 1988 organizzò un referendum per sostenere la sua presidenza, con libertà di fare campagna contro. Un audace e giovane dirigente pubblicitario sarà l’incaricato di convincere gli elettori a dire di no.

Questa tragicommedia cilena è stata nominata all’Oscar 2012 come il miglior film straniero. Con questo, Pablo Larraín completa la sua trilogia della dittatura, cominciata con Tony Manero e Post-Mortem, diventando il più importante cineasta cileno di oggi. Dal punto di vista formale, Larrain ci azzecca scegliendo di raccontare la storia come se fosse un servizio giornalistico, con la permanente cinepresa a mano e abbondanti frammenti di documentari, tra cui la comparsa di un ex presidente della Repubblica. Questa opzione narrativa fa sí che la sua messa in scena e anche le recitazioni sembrino un po’ trascurate, ma favorisce la veridicità della storia ed imprime al film una crescente progressione drammatica che cattura l'attenzione dello spettatore.

Larraín colpisce nel segno anche quando adotta una prospettiva decisamente antipinochetista, ma senza nulla di troppo ideologico e senza ricorrere alla caricatura spietata nei suoi ritratti dei difensori del generale cileno o dell'opposizione più radicale. In questo senso, No adotta lo stesso tono tragicomico, ponderato, intelligentemente ironico e positivo della campagna pubblicitaria che narra, la cui efficacia è una delle ragioni ché fanno da più di vent’anni del Cile una democrazia. Il risultato è un film interessante, divertente e per nulla enfatico, lontano dagli polverosi libelli di altre decadi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Hannah Arendt

25/5/2013. Regista: Margarethe von Trotta. Sceneggiatura: Pam Katz, Margarethe von Trotta. Interpreti: Barbara Sukowa, Axel Milberg, Janet McTeer, Julia Jentsch, Ulrich Noethen, Michael Degen. 113 min. Germania. 2012. Giovani-adulti.


La veterana regista tedesca Margarethe Von Trotta non ha paura del rischio. Se due anni fa rilasciò Vision -il ritratto di Santa Ildegarda di Bingen-, ora presenta un interessante film su Hannah Arendt, la controversa filosofa tedesca ed ebrea, allieva di Heidegger e autrice, tra le altre opere, di Le origini del totalitarismo e di La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme.

Proprio il film si concentra sul viaggio filosofico e letterario che ha portato a quest'ultima opera. Arendt, che aveva vissuto nella propria carne l'orrore del regime nazista, assistete al processo di Adolf Eichmann, il colonnello SS responsabile del trasporto dei deportati durante l'Olocausto, con l'obiettivo di scrivere una cronaca per The New Yorker. Durante il processo, la pensatrice tedesca conclude che i terribili crimini che stavano giudicando non erano stati guidati da un sadico o da un personaggio potente e malvagio ... ma da un uomo mediocre, che agiva senza alcuna convinzione, un grigio burocrate che aveva cessato di essere una persona perché aveva rinunciato alla capacità di pensare. D'altra parte, contemporaneamente, la Arendt si chiese se le autorità ebraiche non avrebbe potuto fare di più per evitare questi crimini. “Resistere era impossibile –sentenza in un certo punto del film- ma forse tra la resistenza e la collaborazione c'è qualcosa ...”.

Von Trotta ha impiegato dieci anni per portare avanti un film che nessuno voleva finanziare. L'attesa è valsa la pena. Il prodotto è impeccabile, dalla potente sceneggiatura, dove troviamo la succosa discussione filosofica e il terribile dramma interno subito dalla filosofa per il rifiuto con cui il suo lavoro è stato ricevuto dalla comunità ebraica, fino la saggia decisione di romanzare appena il processo contra Eichmann e di utilizzare come sostegno, invece, per questa parte, da filmati di repertorio. Degno di nota è il superbo cast, guidata da Barbara Sukowa, una presenza abituale nei film di  Von Trotta.

Un film must. Un trattamento d'urto nel -troppo spesso- frivolo cartellone. Solo per la elettrizzante scena in cui Arendt difende la sua tesi davanti a una classe piena di giovani studenti, vale la pena pagare il biglietto. Adrenalina pura per il cervello. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. (ACEPRENSA)