Wall.E

25/10/2008. Regista: Andrew Stanton. Sceneggiatura: Andrew Stanton. Animazione. 98 m. USA. 2008. Tutti.

Alla Pixar si gioca per superarsi. Oggi come oggi, non trovando rivali si gareggia con sé stessi. E quando si sta ad un altro livello, non essendoci concorrenza che tenga, ci si può permettere di correre rischi. Come già avvenuto in un cocktail di topi e cucine, nonché trasformando bolidi da corsa, in protagonisti da cine. Il lemma è: “troviamo qualcosa di ancora più difficile”. Ed ecco ora una storia romantica, praticamente muta. Protagonisti, due robot, quasi senza faccia. La storia è ambientata, nella prima parte, in un mondo trasformato in pattumiera. Se con queste premesse si riesce a conquistarsi lo spettatore e farlo divertire, allora vuol dire che sei un genio. Ed i geni sono di un altro pianeta.



Il creatore di questo spassosissimo e -diciamolo subito- sensazionale film è Andrew Stanton. Alla Pixar ha fatto di tutto: dal dirigere Alla ricerca di Nemo e A Bug’s Life-Megaminimondo, a scrivere le trame di Monster’s&Co e Toy Story 2. Il film inizia con la presentazione dei due personaggi iniziali: WALL.E, sconquassato robot che ha la missione di ripulire un pianeta -la Terra- sommerso di spazzatura e disabitato (gli uomini hanno viaggiato, per colonizzare lo spazio di tanti centri commerciali) ed EVE, “una” robot che ispeziona il territorio, in cerca di vita. WALL.E, innamoratosi di EVE, decide di seguirla per lo spazio, fino al luogo dove si trovano gli umani, ridotti ad esseri obesi, a causa della vita comoda e di un vorace consumismo.

Tecnicamente WALL.E funziona alla perfezione. L’espressività dei disegni, curati al dettaglio, e la sorprendentemente adeguata musica fanno sì che non si avverta la mancanza di dialogo (il cinema non è immagine? dunque tutto si deve narrare per immagini). Tuttavia Stanton non si ferma qui: ha costruito un copione di grande ricchezza, dove si fondono il romanticismo -da antologia la divertente allusione a Hello Dolly!-, lo humour, i riferimenti cinematografici, da 2001: Odissea nello spazio a Chaplin-, nonché la critica sociale. In questo caso, il film affronta la questione dell'ecologia ambientale da una prospettiva tanto indovinata, quanto lontana dai luoghi comuni. WALL.E mette il dito nella piaga, quando indica dove risieda la vera minaccia per il pianeta: una società che affoga nell'eccesso di comfort e consumismo. Tutto ciò, senza bisogno di comizi. Con moltissimo tatto, eccoti presentata una buona storia, con validi personaggi ed effetti ben studiati. Vale a dire, una magnifica lezione di cinema. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Burn after reading - A prova di spia

25/10/2008. Regista: Ethan Coen, Joel Coen. Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen. Interpreti: Brad Pitt, George Clooney, John Malkovich, Tilda Swinton, Frances McDormand, J.K. Simmons, Richard Jenkins. 93 min. USA. 2008. Adulti. (VXD)

Opera buffa minore di Joel e Ethan Coen, dopo il trionfo negli Oscar con Non è un paese per vecchi. I due fratelli prendono in giro il mondo dello spionaggio, situando la loro trama a Washington. L’azione inizia dal quartier generale della CIA a Longley, dove l’analista Osborne (John Malkovich) è licenziato su due piedi. Da allora, il nostro ozia tutto il giorno, mentre scrive le sue memorie e ingerisce eccessive quantità di alcool. Sua moglie Katie (Tilda Swinton) lo disprezza, tradendolo con Harry (Gorge Clooney), agente del tesoro sposato, che -per conto suo- se ne esce anche con altre. Una sarà Linda (Frances McDormand), che lavora in una palestra, ossessionata dalla necessità di sottoporsi alla chirurgia estetica, pur di migliorare il fisico. Il ritrovamento di un cd con le memorie di Osborne, di contenuto presumibilmente delicato, incoraggia Linda e Chad (Brad Pitt) ad offrirsi di restituirlo: però, solo in cambio di denaro.


I Coen ritraggono un gruppo di mediocri perdenti, con le loro vite amorose insoddisfatte, ossessionati dall’aspetto fisico e dai soldi, da un certo benessere, o da una felicità che ignorano come ottenere. Ciò dà spunto a varie situazioni divertenti, come la chiamata telefonica a Osborne, l’incursione all'ambasciata russa, le surrealistiche conversazioni a Langley…, ma anche a qualche sequenza grezza, di discutibile humour. Nel cast, stupendo, gli attori sembrano divertirsi un mondo. È un film senza troppe pretese, dove la critica a certi atteggiamenti contemporanei, che mirano troppo all'effimero, risulta limitato dallo stesso tema prescelto. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. V, X, D (ACEPRENSA)

Quel che resta di mio marito

25/10/2008. Regista: Christopher N. Rowley. Sceneggiatura: Daniel D. Davis. Interpreti: Jessica Lange, Kathy Bates, Joan Allen, Tom Skerritt, Christine Baranski. 93 m. USA. 2008. Giovani. (D)

Alcuni anni fa, l’adattamento di un romanzo di Rebecca Wells ottenne l'effetto di raccogliere una sfilza di attrici, per un divertente ed emotivo road movie. I sublimi segreti delle ya-ya sisters, ecco il titolo del film, con Sandra Bullock, Ellen Burstyn, Fionnula Flanagan, Ashley Judd e Maggie Smith. Forse questo era il film che pensavano tre magnifiche attrici come Jessica Lange, Kathy Bates e Joan Allen quando hanno accettato la proposta di Rowley, regista alle prime armi, che racconta l’assurdo viaggio di tre amiche, per seppellire le ceneri del marito di una di loro.


Quel che resta di mio marito pretende di essere un inno all'amicizia femminile, nonché una difesa della terza età e delle sue possibilità. Come melodia di fondo non è male, ma risultano stonate le parole e il ritmo (una miscela comico-melodrammatica, un po’ indigesta), così come il ritratto delle tre protagoniste -sia come donne, che come persone in età-, non si svincola dal solito cliché. Anche in questo caso, al salvataggio del film ha provveduto il cast, spettacolare: tre grandi attrici, capaci di affrontare di tutto. Alla fine, una storia senza pretese, tipica da DVD (ben due anni, sono trascorsi, per arrivare sugli schermi). Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: D (ACEPRENSA)

The women

25/10/08. Regista: Diane English. Sceneggiatura: Diane English. Interpreti: Meg Ryan, Annette Bening, Debra Messing, Jada Pinket Smith, Eva Mendes. 114 min. USA. 2008. Adulti. (SD)

The Women è il remake del film Donne, che George Cukor diresse nel 1939. Il film dell'epoca, adattamento al cinema dell'opera teatrale di Clare Booth Luce, raccontava la storia di una donna dell’alta società, ingannata dal marito, e del suo rapporto con il suo circolo di amiche. Contava su di un cast esclusivamente femminile, capitanato da Norma Shearer, Joan Crawford, Rosalind Russell, Paulette Goddard e Joan Fontane.



Diane English, alma mater della commedia di successo Murphy Brown, ha avuto l'incarico del remake aggiornato del film di Cukor. Quindi, ha pensato bene di trasformare una delle donne in lesbica, di far scadere la cattiva indole delle donne di Cukor, cambiando il finale, giusto per renderlo più appetibile.

English ha optato per una realizzazione televisiva e una narrazione reiterativa e pesante. Ci si avvede subito che il copione è opera da apprendista, di un'incapace a mettere in luce il cast del film. Alla fine, quella che brilla di più -ma neanche tanto- è Candice Bergen.

D’altronde, in linea con Sex and the City, The Women offre un ritratto spaventosamente semplicistico e ridicolo delle quattro donne. Se non altro, le protagoniste di The Women -paragonate a Sex and the City- fanno qualche cosa in più, oltre a sperimentare nuovi cocktail e far shopping, al solo scopo di esibire continuamente vestiti firmati. Ora hanno almeno un lavoro, leggono, scrivono e cercano perfino di educare i figli. Sempre meglio di niente. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

La mummia. La tomba dell'imperatore dragone

25/10/08. Regista: Rob Cohen. Sceneggiatura: Alfred Gough, Miles Millar. Interpreti: Brendan Fraser, Jet Li, Maria Bello, Luke Ford, John Hannah, Michelle Yeoh. 114 m. Germania, Canada, USA. 2008. Giovani. (VS)

In La Mummia, e Il ritorno della Mummia, Stephen Sommers aveva già confermato la sempre vivo filone delle avventure classiche all'Indiana Jones, anche quando implicano uno humour perfino più assurdo, misto a terrore nostalgico. Qui, il testimone viene raccolto dall’irregolare Rob Cohen (Daylight- Trappola nel tunnel, XXX, Fast and Furious), che -c’era d’aspettarselo- concede tutto all’azione, trascurando ogni altro elemento.



Stavolta, la trama non inizia in Egitto, ma in una Cina ancestrale, tiranneggiata dall’imperatore Han, che costruisce la Grande Muraglia sui cadaveri dei nemici morti. Egli domina il paese grazie alle arti magiche, con cui può controllare i quattro elementi essenziali: terra, acqua, aria e fuoco. Tutto cambia quando una fattucchiera indispettita trasforma Han, con tutto il suo impressionante esercito, in statue di terracotta.

Secoli dopo, nel 1946, Alex O’Connell, il temerario figlio -ormai ventenne- dell'avventuriero Rick O’Connell, scopre la tomba dell’imperatore Han, proprio nel momento in cui i genitori restituiscono al Museo di Shangai una preziosa pietra. Questo talismano ha il potere di tirar fuori, dall'incantato letargo, l’ambizioso imperatore. Questi, a sua volta, cercherà di fare altrettanto con tutto il suo esercito.

Si può giusto rimproverare a Rob Cohen che il film, pur risultando il più stravagante e fantastico di tutta la saga, appaia -nondimeno- il meno divertente. Comunque, questa terza parte, è la meglio ambientata, la più spettacolare di tutte. Il risultato è comunque un altro buon film -valido per ogni genere di pubblico-, in grado di tener viva la fiamma di un genere che, nell'arte cinematografica, è ormai un classico. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Mamma mia!

11/10/2008. Regista: Phyllida Lloyd. Sceneggiatura: Catherine Johnson. Interpreti: Meryl Streep, Pierce Brosnan, Colin Firth, Stellan Skarsgård, Julie Walters, Dominic Cooper, Amanda Seyfried. 108 minuti. GB, USA, Germania. 2008. Giovani-adulti. (SD)

Qualche dato per rinfrescare la memoria. Abba è il nome di un quartetto musicale svedese di musica pop che, dopo aver vinto il festival di Eurovision nel 1974, ottenne la celebrità, conservandola fino allo scioglimento del gruppo (1982). Anche se ci sono stati tempi in cui chi osava annoverarsi tra i fans del gruppo, veniva tacciato di smaccato snobismo, la realtà è che -di fatto- mezzo mondo canticchiava Chiquitita, Dancing Queen o Super Trouper. Lo prova il fatto che, finora, gli Abba hanno venduto più di 350 milioni di dischi e, in occasione della prima mondiale del presente film, il loro celebre Gold, si è riposizionato a livelli di eccellenza, nelle classifiche dei brani musicali più venduti e in varie nazioni (nonostante gli oltre 25 anni trascorsi, da quando il gruppo si è sciolto).




Nel 1999, veniva presentato a Londra -diretto da Phyllida Lloyd-, il musical che Catherine Johnson aveva scritto, basandosi sulle canzoni degli Abba. Il lato migliore del gruppo non sono però i testi scritti, difficili da adattare ad una narrazione, capace di un minimo di coerenza. Perciò, ne risulta una storia senza pretese: una giovane, figlia di madre single che, alla vigilia del proprie nozze, decide di conoscere quale, dei partner occasionali di sua madre, sia suo padre. Malgrado la debolezza della trama, Lloyd era già riuscito a trarne un buon musical, di notevole successo. A questo punto, passare alla trasposizione in film era un passo quasi obbligato. Ed eccolo ora, sugli schermi, sempre per mano della stessa Phyllida Lloyd e con tanto di cast di lusso: niente di meno che Meryl Streep, splendidamente coadiuvata da Pierce Brosnan, Colin Firth e Stellan Skarsgård.

Come capita in questi casi, il film ripresenta stessi virtù e difetti del precedente musical teatrale. Dunque, in una storia da poco, appaiono personaggi femminili stereotipati, recitazioni forzate, specialmente nei momenti comici (forse perché Lloyd, come regista proveniente dal teatro, palesa i suoi limiti sia quando si tratta di indovinare la posizione della cinepresa, sia nella direzione degli attori). Il tono istrionico di alcune scene appesantisce gran parte del film, che pure avrebbe ottenuto molto di più, da uno stile lineare. Di fatto, la parte migliore la fanno i protagonisti maschili, non essendo obbligati a gesticolare e a ballare, come isterici.

Comunque, la storia e anche il tono sono è assai poco rilevanti, in uno spettacolo che va su altri binari. La vera chiave dello spettacolo, infatti, sta nella musica: sequenze di canzoni ben scelte, una buona coreografia e -spesso- una valida recitazione. Per di più, lo scenario dell'idillica isola greca, dove si svolge la trama, aggiunge all'occhio la sua parte. Infine, il rodaggio di alcune trovate -a metà strada tra il riferimento al musical classico e quello all'estetica da videoclip- può piacere più o meno (riecco il Lloyd dal passato teatrale), ma risulta infine efficace.

Dice Meryl Streep che le canzoni degli Abba “vivono dentro di noi. Quando ho iniziato a impararle, mi sono resa conto che già le sapevo. Sono incredibilmente a presa rapida”. Ha proprio ragione. Mamma mia! non è dunque un buon film, ma, certo, un musical molto divertente. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

The Mist

11/10/2008. Regista: Frank Darabont. Sceneggiatura: Frank Darabont. Interpreti: Thomas Jane, Marcia Gay Harden, Andre Braugher, Laurie Holden, Toby Jones. 127 m. USA. 2007. Giovani-adulti.

Una tempesta colpisce un piccolo paese del Maine, interrompendo l’energia elettrica. Il giorno dopo, molta gente, tra cui il pittore David Drayton e il giovane figlio Billy, vanno al supermercato in cerca di provviste, ma restano isolati da uno spesso e anomalo nebbione, calato nel frattempo. Così, per un po', troviamo i diversi protagonisti rimasti isolati nel supermarket: militari di una vicina base, vicini importuni, cassiere, dipendenti. Ai primi commenti scherzosi, subentra l’inquietudine e la paura, quando è chiaro che c’è qualche oscuro pericolo che li circonda. La piccola comunità si divide: alcuni cercano la salvezza nel pragmatico David Drayton; altri seguiranno l’ispirata signora Carmody, che rapidamente sembra aver intuito -nella nebbia- un segnale dal Cielo.



In questo genere horror, emerge il cliché tipico di alcune persone rimaste intrappolate in spazi ristretti, da claustrofobia, in attesa del gran finale. È un tipo di horror efficace, che va per allusioni, più che per visioni, e si diffonde per vie indirette, nelle reazioni della gente: peraltro, un simile film -di secondario valore- presenta un cast di nomi interessanti, come Thomas Jane, Marcia Gay Harden e Toby Jones. Il primo incarna non soltanto l’uomo di azione, ma il buon vicino, sposo e padre, preoccupato per tutti; la seconda, ha il difficile ruolo della persona ispirata, capace di sedurre molti, inducendoli ad un delirio pseudoreligioso. L’ineffabile Toby Jones è immerso nel ruolo di gestore dello spaccio, pieno di umanità e buon senso.

Il terzo film realizzato da Darabont, tratto da opere di Stephen King (Le ali della libertà, Il miglio verde) è un'opera minore, rispetto alle altre due, ma non senza un qualche rilievo. Riappare uno dei temi favoriti dal romanziere: il panico, in una comunità assediata da qualcosa di strano, le reazioni umane in situazioni estreme, il lato propriamente religioso accanto a quello superstizioso, il senso di colpa. In definitiva, un film di horror di taglio classico, pieno di spaventi, attraente per i cultori del genere, dotato di un tono qualitativo che gli conferisce peso: superiore alla media. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Vicky Cristina Barcelona

11/10/2008. Regista: Woody Allen. Sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson, Kevin Dunn, Chris Messina. 90 m. USA, Spagna. 2008. Adulti (XD).

Due giovane nordamericane, Vicky (Rebecca Hall) e Cristina (Scarlett Johansson), viaggiano a Barcellona per trascorrere le vacanze estive. Vicky, che sta facendo un master in Identità catalana, è una donna ordinata, che ricerca la stabilità e l’impegno. È destinata a sposarsi, appena tornerà negli Stati Uniti. Cristina, invece, appare impulsiva ed aperta alle avventure, tanto affettive come professionali. Tuttavia, non sa bene che fare della sua vita, ma solo evitare “ciò che non vuole”.

Le due amiche, un pomeriggio, visitando una galleria d’arte, conoscono Juan Antonio (Javier Bardem), pittore con tanto di scandalo coniugale alle spalle: sua moglie (Penélope Cruz) ha cercato di ucciderlo (o il contrario?). Juan Antonio le invita a seguirlo ad Oviedo, proponendosi per rapporti sessuali. Vicky si sente offesa, Cristina accetta “senza garantire niente”. Poi il film esplora le complicazioni che insorgono per i tre personaggi.

Nell'ultimo film, Woody Allen prosegue la sua personale scoperta dell’Europa (Londra, Parigi, Venezia, Barcellona, Oviedo), con un tocco di esotismo. Tutta l’azione si svolge in Spagna, nelle vacanze estive: a differenza di Match Point, che mostra una Londra dove si vive e si lavora, Vicky Cristina Barcelona presenta una Spagna bella ed esotica, vista con occhi da straniero, dove tutto appare facile e tutto inclina ad uno stile di vita bohemienne.

La fluida e coloristica fotografia di Javier Aguirresarobe favorisce le sequenze degli esterni, ma non si sposa bene con lo stile tipico di Allen: talvolta, sembra quasi propagandare uno spot pubblicitario a favore del turismo spagnolo. Chiudono il cerchio, attori iberici alla moda, come Javier Bardem e Penélope Cruz.

Malgrado l’esotismo latino, il film è tipico di Allen: alcuni personaggi leggermente neurotici, mediamente sofisticati, con tensioni affettive di ogni tipo, marcati da insistente confusione nel percepire la distinzione tra bene e male. I conflitti non sono nemmeno nuovi, né originali (ricordano Manhattan). I personaggi continuano a ricercare l’amore e la felicità, ma se la raggiungono, è sempre e solo episodicamente. Emergono i soliti splendidi dialoghi.

Allen, che talvolta è parso optare per l’impegno e la verità, in questo caso torna ad essere scanzonato e leggero. Forse, la Spagna moderna, lo invita solo a godersi la bellezza del momento, declinando il senso di responsabilità. Vale per un estate, ma poi bisogna lavorare altrove: l’esperienza lascia l’amaro in bocca. Un'opera, insomma, minore ma degna, i cui principali pregi sono la direzione degli attori, la fotografia, la scelta paesaggistica. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Sfida senza regole

11/10/08. Regista: Jon Avnet. Sceneggiatura: Russell Gewirtz. Interpreti: Al Pacino, Robert De Niro, 50 Cent, Carla Gugino, John Leguizamo, Donnie Wahlberg. USA, 2008. 101 m. Adulti. (VXD)

De Niro e Pacino sono due detective della polizia di New York, prossimi al pensionamento. Lavorano insieme da molti anni, uniti da forte amicizia. Dovranno qui occuparsi di una serie di crimini, in cui le vittime risultano presunti assassini. Insieme ai cadaveri, compare sempre un testo in poesia.



Il nuovo film di Jon Avnet fa leva sulla presa che vantano i due attori protagonisti, molto gettonati, da anni nell'élite del cinema statunitense. La sceneggiatura di Russell Gewirtz (Inside man) si dipana secondo un filone narrativo del cinema nordamericano, fin troppo battuto: legittimare la vendetta e comportamenti altrettanto criminali, da parte della polizia. Lo slogan del film è tutto un programma: “Molti rispettano la tessera di poliziotto; ma tutti temono la pistola”.

C'era d’aspettarsi che, dopo un film così scadente come 88 minute, Avnet e Pacino facessero ammenda dei gravi errori in cui erano incorsi. Ma invano: Sfida senza regole ripete e perfino amplifica le sequenze truculenti, l’inverosimiglianza della trama, la ricerca di effetti a buon mercato, le uscite di tono, nonché il profilo veramente penoso di personaggi maturi, che si comportano quasi avessero trent'anni di meno. De Niro e Pacino si coprono, semplicemente, di ridicolo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

L'arca di Noè

11/10/08. Regista: Juan Pablo Buscarini. Sceneggiatura: Enrique Cortés, Bárbara Di Girolamo. Animazione. 88 m. Argentina 2007. Tutti.


Dopo il successo riportato nell’animazione in 3D con Il topolino Marty e la fabbrica di perle, il regista argentino Juan Pablo Buscarini ha realizzato questo film in 2D, divertente parodia del racconto biblico di Noè e del diluvio universale, impostato in chiave comica e anacronistica. L’animazione del film appare un po’ schematica e trascurata, il copione privo di ritmo e con alcune gag dozzinali, di troppo. Ma nell’insieme, il film -divertente e intelligente- affronta con discreto humour la famiglia, la religione, la relazione con Dio. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)