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Birdman

 28/2/2015. Regista: Alejandro González Iñárritu. Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo. Interpreti: Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Zach Galifianakis, Naomi Watts, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Merritt Wever. 118 min. USA. 2014. Giovani-adulti. (DS) 4 Oscar: film, regia, sceneggiatura originale e fotografia (Emmanuel Lubezki). Due Golden Globes: Attore commedia o musicale (Michael Keaton) e sceneggiatura.
Birdman mi sembra la cosa migliore che ho visto sul grande schermo da molti mesi e penso che passerà molto tempo prima di vedere qualcosa di simile. Alejandro González Iñárritu ha girato un grande film, una satira intelligente sulla cultura dello spettacolo, con un packaging formale che tocca il prodigio.

Il regista messicano -che aveva pattinato in Biutiful-  si introduce tra le quinte di un teatro di Broadway per raccontare una storia di per sé poco originale: quella di un attore caduto nel dimenticatoio, che oltre a recuperare la fama che ha avuto un tempo, vuole ottenere il prestigio che sempre gli è stato negato per l’interpretazione di un supereroe. La ricchezza dello script di Birdman è che, da questo quasi aneddoto, González Iñárritu e i sui co-autori costruiscono una fitta rete di filoni collaterali di dolorosa attualità che parlano, in fondo, delle ferite mortali di quello che ancora chiamavamo civiltà occidentale: l'insostenibile leggerezza, la sua disperata ricerca di riconoscimento sociale, la sua ridicola egolatria, il suo triste relativismo, la sua ignoranza compiacente. Un cocktail esplosivo che esplode in faccia dei personaggi -egolatri, vani e superficiali- in forma di profonda infelicità.

González Iñárritu aveva già esplorato l’insoddisfazione umana negli altri suoi film, ma paradossalmente è qui, in una commedia, dove questa analisi raggiunge la sua massima profondità. Tra le altre cose, perché Iñárritu riflette non solo sulle cause di infelicità, ma mostra come alcune delle uscite di emergenza che propone la nostra società (dalla fama al prestigio, attraverso il sesso o il benessere economico) ti sbattono contro un muro.

Ed ecco che qui arriva la vera genialità di Birdman: la risposta sottile al grido di ogni personaggio che chiede cosa accade nel mondo. E dico sottile perché Iñárritu dà una risposta, non per argomento o linee di dialogo, ma attraverso la forma. Per fare questo, sceglie il maestro Emmanuel Lubezki, direttore della fotografia di Terrence Malick, e accompagna il suo film con una solida colonna sonora sostenuta dalla batteria. Un falso piano-sequenza segue i personaggi durante le due ore del film senza fermarsi in nessun momento, in un apparentemente confuso via vai di situazioni, impatti emozionali, lotte e riflessioni con voce in off. Al movimento si aggiungono rumore, tamburi, la batteria in crescendo, l'esplosione dei piatti. Birdman è fretta, nervo, rumore, agitazione, confusione, evasione, fuga, ignoranza. O forse, visto altrimenti, è silenzio, radici, riflessione e pausa. Semplicemente meraviglioso.

Che gli attori siano egregi in un film superbo non è importante. Quando un pezzo è così millimetricamente ben lavorato è raro che qualcuno stoni. Non succede nelle grandi sinfonie. E non succede in Birdman. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: D, S (ACEPRENSA)

American sniper

28/2/2015. Regista: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Jason Hall. Interpreti: Bradley Cooper, Sienna Miller, Luke Grimes, Jake McDorman, Kyle Gallner. 132 min. USA. 2015. Giovani-adulti. (VSD) Oscar per gli effetti sonori.
Clint Eastwood racconta la storia di Chris Kyle, cecchino dell’esercito nordamericano nella guerra dell’Iraq. Il film inizia in un modo classico, con un convoglio americano per le strade di Fallujah sotto l'occhio vigile di Kyle, che lo protegge dal tetto di una casa. Un flashback mostra chi è Chris Kyle: un texano medio, di poca cultura, che faceva lavori temporanei e frequentava i rodei per divertirsi fino a quando il 11-S lo ha toccato, e si è arruolato “per difendere il suo paese”. Il suo lavoro salva molte vite, ma lo colpisce profondamente.

A ottantaquattro anni, Clint Eastwood sorprende per il polso fermo, come uno dei registi che credono nell'epica dell’azione nei film di guerra, e per la sua chiarezza di idee per scegliere che cosa e come raccontare una storia. American sniper racconta la guerra de Kyle, e nient'altro. Eastwood non parla di tempi e luoghi, ed evita di polemizzare sulla guerra in Iraq, ora ampiamente messa in discussione nel suo paese. Mostra chiaramente la brutalità assurda della guerra e come influisce nel cecchino, il cui carattere si rarefà, convertendo la sua famiglia in un'altra vittima del conflitto.

Il film di Eastwood si svolge su due fronti: militare e civile. In Iraq, Kyle ha nostalgia per la sua famiglia; negli USA, pensa solo alla guerra, ai suoi compagni di squadra e ai suoi nemici. Entrambi i fronti sono sottolineati da una sottile colonna sonora, da una fotografia satura in modo di sottolineare i contrasti, e dall’interpretazione di Bradley Cooper, che per la prima volta ha fatto un gran lavoro drammatico. Il film ricorda il premio Oscar The Hurt Locker, un altro film bellico e intimista che racconta come la guerra colpisca il soldato e faccia riflettere sul concetto di eroe; ma questo offre anche alcuni grandi momenti nello azione in stile classico più puro. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Turner

28/2/2015. Regista: Mike Leigh. Sceneggiatura: Mike Leigh. Interpreti: Timothy Spall, Jamie Thomas King, Roger Ashton-Griffiths, Robert Portal, Lasco Atkins, John Warman. 149 min. G.B. 2014. Adulti. (X)
Il britannico Mike Leigh presenta un biopic di William Turner, il pittore inglese che molti hanno denominato “il pittore della luce”, considerato come un precursore dell'impressionismo. Il film illustra bene il genio dell'artista e la sua rudezza come persona. Un uomo capace come pochi di catturare la bellezza di un paesaggio, la maestosità di un tramonto o la tavolozza dei colori con cui dipinge la natura e suoi spazi, ma che non è in grado di dimostrare questa sensibilità nel trattare con gli esseri umani che l'accompagnano, soprattutto se si tratta di donne.

Il film, ha una splendida fotografia ed è ben recitato (Turner è Timothy Spall), la struttura molto classica, il ritmo eccessivamente lento e la lunghezza possono spaventare agli spettatori meno abituati a vedere un film come si contempla un dipinto: con pazienza e senza fretta. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

The imitation game

24/1/2015. Regista: Morten Tyldum. Sceneggiatura: Graham Moore (libro: Andrew Hodges). Cast: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Mark Strong, Charles Dance, Matthew Goode, Allen Leech, Tuppence Middleton. 114 min. GB, USA. 2014. Adulti. (D)
Interessante biopic su Alan Turing, il matematico britannico che riuscì a decifrare i messaggi nazisti nella seconda guerra mondiale. La sua macchina, il precursore dei computer di oggi, permesse di accorciare la guerra, potenziò la vittoria alleata e salvò migliaia di vite. Nel 1952, il governo britannico accuso Turing di atti osceni per aver fatto sesso con un giovane di 19 anni. Dopo aver subito la castrazione chimica per evitare il carcere, Turing si suicidò. Un anno fa, la regina d'Inghilterra lo ha graziato a titolo postumo.

The Imitation Game ha fondamentalmente una buona storia dietro: la lotta di alcuni uomini che, con la loro intelligenza, cercano di contrastare una guerra mostruosa. La storia è nota, ma non è facile raccontarla bene: in primo luogo, perché non lo è realizzare un thriller supportato da termini matematici, e in secondo luogo, perché, prima di questa difficoltà, la tentazione di dirigere l’azione verso una “strada secondaria” -storia d'amore, conflitto personale, di gruppo, ecc- è molto forte.

Tyldum evita i due pericoli, da una parte dando peso a ciò che conta e sviluppando bene l'invenzione della macchina; dall'altra, affrontando le sottotrame drammatiche come quello che sono: necessarie ma secondarie. Così, questioni come l'omosessualità di Turing, la complessità del suo carattere (superba l’interpretazione di Cumberbatch) o i rapporti tra il matematico e il suo gruppo di lavoro, funzionano bene, dando drammaticità alla storia e controbilanciando una narrazione che poteva essere difficile da seguire.

Questo equilibrio traballa in un epilogo piuttosto forzato, in cui si racconta la condanna e la morte di Turing in una forma accelerata e molto meno elaborata rispetto al resto del film. In ogni caso, parliamo di leggi che violavano  diritti importanti e che, a quel tempo, godevano di ampio consenso. Ora succede con altre leggi. La storia ci giudicherà. E il cinema ne farà dei film. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: D (ACEPRENSA)

Boyhood

24/1/2015. Regista: Richard Linklater. Sceneggiatura: Richard Linklater. Interpreti: Patricia Arquette, Ethan Hawke, Ellar Coltrane, Lorelei Linklater. 164 min. USA. 2014. Giovani-adulti. (SD) 3 Golden Globes: miglior film drammatico, miglior regista e miglior attrice non protagonista (Patricia Arquette).
Riconosco che la mia recensione di Boyhood è stata pensata e scritta in due fasi. Una uscendo dal film e l’altra dopo averlo studiato. Il riassunto? Come narrativa, Boyhood sembra un opera notevole –ma non un capolavoro- a cui manca epica per essere più grande. Come esperimento del linguaggio cinematografico di un regista, Boyhood è prodigiosa. Se c’è un argomento che attira Richard Linklater, è il passare del tempo e le sue conseguenze. La sua famosa trilogia romantica, aperta con Prima dell'alba, non è altro che questo: la dissezione del binomio amore e tempo. In Boyhood, Linklater ha alzato la sua capacità narrativa alla categoria di test di laboratorio filmico. Per dodici anni, ha girato lo stesso gruppo di attori -che s’incontravano ogni anno per pochi giorni- per raccontare il passaggio dall'infanzia alla maturità di un ragazzo dagli espressivi occhi azzurri posto al centro di una tormentata famiglia disfunzionale.

Lo spettatore contempla come davanti ai suoi occhi cambia lo sguardo del bambino fino indurirsi e perdere l'innocenza, come la bambina kitsch e repellente dei primi minuti (la stessa figlia di Linklater) diventa una interessante giovane, come la madre ingrassa e marca con amare rughe ciascuno dei suoi fallimenti sentimentali, o come il padre lascia il suo idealismo ingenuo per formare una seconda famiglia, all'ombra di un albero quasi pericoloso di puro conservatorismo. Tutto scorre in modo naturale, come il passaggio di fotografie in un album di famiglia, senza che le ellissi appesantiscano, senza ulteriori spiegazioni. Il tempo passa e le cose cambiano. E le persone di più. Anche senza grandi drammi e svolte drammatiche. Alle volte, un incrocio di sguardi complici tra un uomo e una donna catturato da un bambino sconcertato può cambiare la storia di una vita (per questa scena soltanto Linklater meritava un Leone d'Oro) molto di più di un intricato colpo di scena. Il film, come specchio della vita, supera di gran lunga questo esperimento. E per Linklater, come fotografo e ricercatore del tempo, questo film sarà un retaggio.

Come eredità, sì. Come capolavoro, no. Per questo gli manca un elemento che segna la vita di esseri umani e dei protagonisti di un film. I giorni passano, la vita scorre ma l'uomo è più che tempo. In Boyhood, come nel resto dei film del regista britannico, c’è una sorta di determinismo, di tristezza esistenziale che vena di malinconia i suoi film e, curiosamente, li rende meno reali. Per Linklater, il tempo finisce sempre con la vita, gli amori, le speranze e gli ideali. Senza alternative o opzioni. Senza scontrarsi con l'uomo, l'uomo vero, che con epica, con lotta, è in grado di mantenere amori, speranze e ideali attraverso il tempo. Un uomo che, come risulta in un superbo Malick The Tree of Life, il tempo può corrompere ma anche maturare, far crescere e migliorare. Un uomo che può passare attraverso il tempo. E non viceversa.

Qualche cosa di questo contrappunto -di questa, in fondo, speranza vitale- manca a  Boyhood per essere un capolavoro. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani- adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Dracula untold

22/11/2014. Regista: Gary Shore. Sceneggiatura: Matt Sazama, Burk Sharpless. Interpreti: Luke Evans, Samantha Barks, Dominic Cooper, Charlie Cox, Sarah Gadon, Zach McGowan, Arte Parkinson, Diarmaid Murtagh, JJ Murphy.
92 min. USA. 2014. Adulti. (V)
Nel 1462, la Transilvania è un regno vassallo dell'Impero Ottomano. Il principe Vlad decide di ribellarsi, e per difendere il suo popolo e la sua famiglia dovrà fare un spaventoso accordo con una terribile creatura. Vlad l'Impalatore è una figura storica ben documentata, un eroe in Romania, il terrore dei Turchi. Nel 1897, l'irlandese Bram Stoker unì il mito del vampiro a questo personaggio, e lo convertì in icona del terrore popolare. Nel 1992, Dracula di Francis Ford Coppola per la prima volta ricorda il vero Vlad. La nuova versione va oltre e lo fa diventare un supereroe, il prototipo del cavaliere cristiano, difensore del debole, padre e marito perfetto.

Gary Shore ha realizzato un thriller d’azione – più di suspense che di terrore-  basandosi su una buona squadra di esperti di effetti speciali, con grandi battaglie, non troppo sanguinose, ingegnose trasformazioni e un esibizione dei poteri acquisiti dal principe Vlad, che lo trasformano in una macchina da guerra. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Due giorni, una notte

22/11/2014. Regista: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Interpreti: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Frangiflutti, Simon Caudry, Catherine Salee. 95 min. Belgio. 2014.
Giovani-adulti.
Confesso: in generale, il cinema sociale non è il mio preferito. Paradossalmente, nonostante le storie sono, il più delle volte, molto drammatiche, di solito mi costa trovare il nervo emotivo. Quindi, e malgrado i fratelli Dardenne non siano Ken Loach, mi sono avvicinato con una certa apprensione a Due giorni e una notte, l'odissea di una giovane madre che, per mantenere il suo lavoro, deve ottenere dei suoi compagni di squadra che rinuncino ad un bonus di mille euro. Durante un fine settimana, due giorni e una sera, accompagnata dal marito, si recherà in visita a ciascuno dei suoi colleghi per cercare di convincerli.
Come se vede, sulla carta, la storia è molto piccola. Il modo con cui filmano i Dardenne –cinepresa a mano attaccata al personaggio- non è particolarmente innovativo ... E tuttavia, questo film riesce a trasmettere tutto quel patos che viene diluito in titoli simili. Senza entrare in arringhe politiche o denunce strutturali, i Dardenne mettono il dito nella piaga su un dramma umano – di nuovo il paradosso- per espanderne i margini e costruire un film sociale che interpella, fa pensare e commuove.

Film umano al cento per cento che avvicina il riflettore, come la cinepresa, a ogni personaggio, a ogni famiglia e ne trae  conclusioni. Il problema -e la soluzione-, allora non è la disoccupazione, né le leggi, né una certa struttura, ma le persone. Senza fare un discorso, senza valersi di slogan, è chiaro in questa storia come, della crisi, si esce soltanto con sforzo, con generosità, con coerenza su certi principi e mettendosi nei panni del prossimo. Se poi il film può contare su una magnifica interprete e su un ritratto del matrimonio tanto attraente quanto poco edulcorato ... cosa altro si può dire? Che si conferma che al cinema non va bene andare con timori e pregiudizi. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. (ACEPRENSA)

Le due vie del destino - The Railway Man

20/9/2014. Regista: Jonathan Teplitzky. Sceneggiatura: Frank Cottrell Boyce, Andy Paterson (sulla autobiografia di Eric Lomax).  Interpreti: Nicole Kidman, Colin Firth, Stellan Skarsgård, Jeremy Irvine, Hiroyuki Sanada, Sam Reid, Marta Dusseldorp, James Fraser. 110 min. Australia, GB. 2013. Giovani-adulti.
Eric Lomax sa tutto di treni e orari ferroviari nel Regno Unito. Con questo aspetto e il suo fascino indefinibile di "saggio nelle nuvole" impressiona Patricia Wallace, una donna in viaggio, il che conduce all'amore e al matrimonio. Ma Eric non ha potuto superare il suo trauma postbellico della seconda guerra mondiale, quando è stato prigioniero dei giapponesi, e ha partecipato alla costruzione della linea ferroviaria che doveva collegare la Tailandia e la Birmania, impegno immortalato da David Lean nel film Il ponte sul fiume Kwai. Gli incubi lo assaliscono e Patricia, che non sa come aiutarlo, si rivolge ai vecchi compagni d'armi di suo marito per un consiglio.

Il film è basato su una storia vera, raccontata dal protagonista nella sua autobiografia. Le due vie del destino è diretto dallo sconosciuto australiano Jonathan Teplitzky. Le intenzioni sono certamente nobili,: descrivere come un uomo deve fare i conti con i suoi demoni interiori, il prezioso aiuto che può dare una moglie,  il bisogno di amore e di perdono, come binari - mai meglio detto in questo film di treni - che portano a guarire le ferite dell'anima.

Il risultato, realizzato con andirivieni nel passato, è irregolare, non viene definito un tono, e ci sono piccole incongruenze che spiazzano: per esempio, vi è l'impressione che il matrimonio abbia avuto luogo senza che Patricia conoscesse i problemi psicologici di Eric, e non siamo pronti per la falsa partenza del vecchio compagno d'armi Finlay. Il primo flashback è completamente inaspettato e stordisce, forse come effetto desiderato ma che lascia disorientati. La sensazione è che ci sono parti buone, ma non riescono a comporre con completezza la figura che ci si aspetta in un puzzle.

Colin Firth prende su di sé il peso della trama, insieme a Jeremy Levine nella sua versione giovane. Gli altri attori portano la loro professionalità, anche se in ruoli secondari, tra cui quello della convincente Nicole Kidman. (DECINE21)


Pubblico: Giovani-adulti.  Contenuti: Azione 1 | Amore 2 | Lacrime 2 | Risate 0 | Sesso 0 | Violenza 2 (da 0-4) (DECINE21)

Alabama Monroe

24/5/2014. Regista: Alex Van Groeningen. Sceneggiatura: Alex e Carl Joos Van Groeningen, dalla opera teatrale The Broken Circle Breakdown Featuring the Cover-Ups of Alabama, di Johan Heldenbergh e Mieke Dobbels. Interpreti: Veerle Baetens, Johan Heldenbergh, Nell Cattrysse, Geert Van Rampelberg, Nils Caster, Robby Cleiren. 112 min. Belgio, Olanda. 2012. Adulti. (X)
Didier e Elise vivono insieme da sette anni in un villaggio nella parte fiamminga del Belgio. Ora sono sottoposti a una dura prova per il grave cancro della sua figlia Maybelle, di sei anni. Mentre lottano desolati contro la malattia, incominciano a capire la fragilità del loro amore.
Pellicola poliedrica, potente, molto scomodo e, infine, aperta alla trascendenza, nonostante il suo apparente ateismo, per i suoi sproloqui aggressivi e quasi blasfemi contro la religione, la Chiesa, il Papa... che suonano come disperate richieste di aiuto da parte di una civiltà senza appoggi morali, che barcolla impotente presa dalla sua immanente desolazione, il suo individualismo edonistico vuoto e la patetica fuga da Dio. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

12 anni schiavo

29/3/2014. Regista: Steve Mcqueen. Sceneggiatura: John Ridley. Interpreti: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Brad Pitt, Paul Dano, Lupita Nyong'o, Benedict Cumberbatch, Paul Giamatti. 133 min. USA, GB. 2013. 3 Oscar: film, attrice non protagonista (Lupita Nyong'o), sceneggiatura adattata. Adulti. (V).
A Steve McQueen (Hunger, Shame)  piacciono le storie dure e questa lo è. Il suo lavoro è prezioso, c'è una volontà di stile più che evidente nella narrazione, che annovera un cast formidabile e una messa in scena sensazionale con un lavoro fotografico e di montaggio accurato. Di certo in questo film chi cerca una storia accomodante e sentimentalista non la troverà.

McQueen assume un rischio, che fa parte del suo stile: rappresentare il tedio, la noia, il disgusto che genera la malvagità. D'altra parte, è un regista che quando deve ritrarre i buoni sentimenti e le virtù e il lato illuminato della condizione umana ha molti problemi. Alcuni diranno che il film è buono ma non entusiasma. Che manca intensità ed emozione, che c’è qualche squilibrio nei tre tempi della storia. Non condivido questo punto di vista, ma lo capisco.

Il film è freddo, a volte quasi meccanico, perché c’è un sacco di rabbia nella storia (adattato da un'autobiografia del proprio Solomon Northup), molta flemma britannica, per evitare il sentimentalismo manicheo. 12 anni... non raggiunge l'equilibrio, ma ne è molto vicino. Ma forse il grande film sul razzismo in America, a parte il periodo storico scelto, è ancora Mississippi burning, il capolavoro del 1988 di Alan Parker, che trasuda intelligenza da tutti i pori.

Il lavoro dello scrittore e produttore esecutivo John Ridley vuole rispettare la visione di Solomon Northup, un uomo a chi tentano di negare la sua umanità per trasformarlo in un oggetto, una bestia di somma che può avere destrezze e abilità, ma non anima, intelligenza e volontà, il libero arbitrio.

I rapporti che Solomon  (un magnifico Chiwetel Ejiofor) ha con i bianchi e i neri che attraversano la sua vita sono molteplici. Ci sono molte sfumature nella storia, perché quello che si racconta qui, come ne La capanna dello zio Tom, è una narrazione chiave per svegliare la coscienza che si doveva abolire la schiavitù, in primo luogo, e poi finire con la segregazione razziale. Tutti sono bravi, ma mi affascina il personaggio di Mr. Ford che interpreta Benedict Cumberbatch. A le volte uno pensa come è possibile tanta abiezione e, a sua volta, deve fare tutti gli sforzi del mondo, non per giustificare, ma per capire. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Monuments Men

29/3/2014. Regista: George Cloney. Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov (romanzo: Robert Edsel). Interpreti: George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Cate Blanchett, Bob Balaban, Jean Dujardin, Hugh Bonneville.118 min. USA, Germania. 2014. Giovani-adulti.
Gli uomini dei monumenti sono esistiti: era una banda di artisti maturi, architetti, curatori, storici e uno scultore, che, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, si arruolarono nell'esercito alleato per salvare le opere d'arte cadute in possesso dei nazisti.

Con questa appassionante storia, Clooney costruisce un film di taglio eminentemente classico più vicina -come lui stesso ammette-  ai film di rapina che a quelli di guerra. Il versatile attore ha detto che la sua intenzione era di fare un film all’antica, che non fosse cinico, e riunire un interessante cast di attori contemporanei che potrebbero interpretare una nuova versione di film come La grande fuga, La sporca dozzina, I cannoni di Navarone o Il ponte sul fiume Kwai.

Anche se le critiche sono piovute su Monuments Men (probabilmente, tra le altre cose, perché le aspettative erano molto alte) bisogna riconoscere che il film ha il tono classico ed eroico di alcuni di quei titoli e il cast è impeccabile. Clooney parte da un materiale di prima classe -la storia reale- con un messaggio di rispetto per la cultura e le radici in grado di illuminare e dare vita a un prodotto di finzione. Peccato che, con questi ingredienti, riesce a commuovere solo in alcuni momenti.

Monuments Men aveva le carte per diventare un classico ed è un film notevole, in molti momenti interessante, ma un po’  noioso e mancante di forza in altri. Non è un film a tutto tondo e alcuni parleranno di uno scivolone di Clooney. Forse, in ogni caso, questo scivolone è al di sopra, molto al di sopra, di gran parte dei film attualmente nelle sale. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. (ACEPRENSA)

300. L'alba di un impero

29/3/2014. Regista: Noam Murro . Sceneggiatura: Frank Miller . Interpreti: Eva Green, Rodrigo Santoro, Sullivan Stapleton, Lena Headey, Hans Matheson, Callan Mulvey, David Wenham, Jack O'Connell, Andrew Tiernan, Igal Naor, Andrew Pleavin, Caitlin Carmichael . 102 m. USA. 2014. (V, X)
Sempre la stessa minestra, ma con una struttura di script meno solida rispetto al suo predecessore 300. Lo sconosciuto Noam Murro prende il posto di Zack Snyder e si applica all'adattamento di “Xerxes”, graphic novel di Frank Miller, che ha anche scritto il fumetto che portò ad un film a suo tempo molto apprezzato per l’immaginario visivo, ma che sette anni dopo può essere considerato chiaramente sopravvalutato.

Questa volta Persia cerca vendetta per la morte del loro re Dario ed è la guerriera Artemisia, di origine greca, ma integrata nel lato persiano, che persuade Serse a farlo, malgrado suo padre morente l’implora di evitare scontri con i greci. Artemisia l’assicura che quello che Dario aspettava è che lui diventasse un dio, ed sfidasse i suoi nemici. Temístokles comunque si sforza di raggiungere l'unità della Grecia, anche se ogni città - stato va per la propria strada, e Gorgo, la regina di Sparta, non vuol saper niente della guerra. Alla fine partono l'eroe ateniese e alcune navi, in chiara inferiorità numerica, disposti a sfidare la crudele Artemisia.

Azione, un sacco di azione, c’è in 300. L’alba di un impero. C’è anche voci fuori campo, una spossante voce fuori campo. Non possiamo dimenticare i discorsi esaltanti, ripetuti più volte, per vedere se lo spettatore vibra con le parole pre-combattimento. Inoltre, ed è abbastanza ridicolo, un incontro sessuale tra Temístokles e Artemisia, ipotetici nemici mortali che negoziano non si sa cosa, e che finiscono in qualcosa che può essere uno stupro reciproco, o forse no, ma in ogni caso in qualche cosa di irrimediabilmente grottesco.

Alla fine rimane lo spreco di effetti visivi, le battaglie navali, con molto computer, e l’abbondante sangue, gore ammorbidito con decapitazioni e altre sottigliezze di questo tipo. Il film ha scarso interesse, e i personaggi tipo “fusti” sono molto limitati, sia i nuovi arrivati ​​Sullivan Stapleton e Eva Green, che i veterani Lena Headey e Rodrigo Santoro. DECINE21


Contenuti: Azione: 4. Amore 0. Lacrime. 0 Risate: 0. Sesso 2. Violenza 2. (Da 0 a 4. Decine21)

Ida

29/3/2014. Regista: Paweł Pawlikowski. Sceneggiatura: Paweł Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz. Interpreti: Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik.  90 m. Polonia. 2013. Giovani-adulti. (V, S)
Polonia anni  60. Una giovane novizia orfana, prima di prendere i voti, si reca nella sua casa natale in compagnia di sua zia, per conoscere il tragico avvenimento che portò alla morte dei suoi genitori. Questo pluripremiato film in diversi festival è uno di quei titoli che rimangono in testa per giorni, uno di quei film che causano molti problemi. In breve, uno di quei film che, a parte la sua forza visiva e la potenza evocativa, chiedono una risposta dal regista.

Soprattutto in quanto Ida è un film autobiografico al cento per cento. Pawlikowski ammette che il viaggio di Ida è, in un certo senso, il suo ritorno alle sue radici polacche. Un ricordo dei paesaggi che vide, della musica che udì, la traccia della sua memoria. Il personaggio di Wanda, la zia, ha la sua origine in una donna conosciuta e ammirata da lui –una persona brillante- la cui contraddizione –è stata accusata da orribili crimini- il regista non è ancora riuscito a capire. Con il personaggio di Ida, Pawlikowski vuole parlare di una fede che trascende l'immagine del tradizionale cattolico polacco, entrando in una dimensione diversa quando al inizio del film Ida scopre che in realtà è ebrea. Una fede che, forse perché vuole allontanarsi dallo stereotipo, è più protestante che cattolica. E’ certamente più Bergman che Fellini. E’, in ogni caso, un Dio che non parla. Un Dio silenzioso.

Dice il regista che le anime di Ida e Wanda sono un campo di battaglia. Dice bene, ma per riportare questa lotta intensa e straziante (perché gli eventi sono drammatici) opta per una straordinaria messa in scena. La telecamera si muove a malapena e il film è costruito attraverso inquadrature statiche, sorprendenti, espressive nel loro minimalismo e di una bellezza mozzafiato. Più che inquadrature, sono dipinti, semplici opere d'arte.

Dobbiamo mettere in guardia lo spettatore che Ida non è un prodotto di massa. E’ necessario gusto estetico, capacità di silenzio, pazienza e apertura mentale per entrare in un film che si capisce soltanto –e non totalmente- dalla sfumatura. Dallo sguardo su questo campo di battaglia dell'anima. Un film con più letture, con un finale che si presta a molte interpretazioni, nessuna di loro certamente troppo speranzosa. Una storia tragica, un film con una tristezza di fondo molto forte. Un piccolo gioiello per un pubblico in grado di apprezzarlo.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

I segreti di Osage County

22/2/2014. Regista: John Wells. Sceneggiatura: Tracy Letts. Interpreti: Meryl Streep, Julia Roberts, Ewan McGregor, Benedict Cumberbatch, Abigail Breslin, Chris Cooper. 130 min. USA. 2013. Giovani-adulti. (SD)
Recentemente difendevo in un forum la soggettività della recensione: un genere letterario o giornalistico direttamente legato alla percezione che un soggetto -con una certa conoscenza, una saggezza ma anche con una esperienza vitale concreta- fa di un'opera d'arte. La affermazione scatenò un vivace dibattito che non ho spazio ne tempo per spiegare, purtroppo, perché era interessante.

Pochi giorni dopo mi trovo di fronte I segreti di Osage County, un dramma familiare articolato intorno alla scomparsa del padre e il rapporto burrascoso tra una madre assolutamente squilibrata e le sue tre figlie adulte, molto diverse, ma con tendenza al conflitto. Il film è diretto da John Wells (The Company Men) e ha un notevole cast, con Meryl Streep, che interpreta una donna squilibrata; una Julia Roberts invecchiata, con i cappelli brizzolati, ingrassata e bellissima; Ewan McGregor perfetto nel suo ruolo di marito al seguito, e Abigail Brieslin come figlia adolescente fuori luogo come il resto della famiglia.

Non posso fare a meno di ammirare le interpretazioni degne di premio. Contemplo con interesse il ritratto di una famiglia che potrebbe essere la mia e dei rapporti fraterni che soltanto coloro che hanno sorelle possono capire fino a che punto di complicità possono raggiungere. Riconosco il talento degli attori, la saggezza di alcuni dialoghi ben costruiti, però arriva un momento in cui mi disconnetto.

Motivi?  Diversi, ma uno colpisce principalmente la dimensione soggettiva della recensione. Quella famiglia, che per la composizione e l’età potrebbe essere la mia, è allo stesso tempo così estranea alla mia esperienza come una famiglia di zombie. E alle volte, invece di un dramma intimo, penso di guardare un film di fantascienza. Queste sorelle, che potrebbero avere il nome delle mie, sono così lontani dal mio orizzonte vitale come i sette nani di Biancaneve. E devo cambiare registro per mettermi di fronte a una chimera o una parodia. E quando, nell'ultimo terzo del film, cominciano ad apparire figli segreti, mi convinco che quello che ho davanti è una soap opera venezuelana. Probabilmente se chi scrive queste righe fosse qualcuno che lancia coltelli nelle cene di famiglia, e le sue sorelle avessero fatto voodoo con lei, potrei parlare di un dramma realistico –così reale come la vita stessa- e forse aggiungerei che il film riflette la velenosa essenza di quello che chiamano famiglia.

C'è anche una scrittura artificiosa che tradisce l'origine teatrale del film, i fallimenti della regia, il barocchismo narrativo, i problemi con il metraggio. Ma nel mio caso capita anche che questa storia appena mi tocca, mi appare di cartongesso: un esercizio di stile e poco altro.

Tra l'altro, a poche ore di distanza ho visto La vida inesperada, un film spagnolo in cui, tra le altre cose, una madre trascorre due ore a guardare il computer in attesa di che suo figlio maturo si connetta per parlare con Skype. Lei gli chiede della sua influenza, cosa ha mangiato, e conclude dicendo che se ha bisogno di qualcosa, lo chieda, è per questo che le madri esistono. Forse non è un grande film, ma questa madre assomiglia di più alla mia che Meryl Streep, e il film mi tocca in modo diverso e fa vibrare alcune corde che I segreti di Osage County non fanno assolutamente. Nonostante i suoi difetti, finirò per dargli mezza stella in più. Tutto per la soggettività - in fondo, non tanto capricciosa- del critico. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Blue Jasmine

24/12/2013. Regista: Woody Allen. Sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Cate Blanchett, Alec Baldwin, Peter Sarsgaard, Michael Emerson, Louis CK, Alden Ehrenreich, Sally Hawkins, Charlie Tahan, Max Casella. 98 min. USA. 2103. Adulti. (SD)
Jasmine aveva tutto : un marito ricco, case, barche, feste e lussi. Adesso questo è finito e ora vive dei ricordi mentre condivide con la sorella un piccolo appartamento a San Francisco. Woody Allen è venuto da dove è venuto: da girare lo scarsissimo To Rome With Love, un film che non è stato difeso neanche dei più strenui difensori del famoso regista di New York (e ne ha molti). Dopo un tale fiasco, i critici hanno generalmente accolto con gentilezza ed entusiasmo questo film più acido che dolce (non potrebbe essere altrimenti nel caso di Allen) e più drammatico che comico. All'orizzonte di Blue Jasmine c’è Match Point, per il suo tono scuro e riferimenti letterari (nel secondo, Dostoevskij, e qui, Tennessee Williams e Un tram chiamato desiderio), anche se in questo caso il risultato rimane molti passi indietro.

Nel campionato personale che giocano i film di Woody Allen (dato che gira un film all'anno, è facile fare un ranking con i suoi film), Blue Jasmine sarebbe proprio al centro della classifica. Non è il peggiore di Allen, neanche per scherzo, ma non il migliore. Il film presenta un'attrice grandissima - Cate Blanchett-, che è semplicemente sensazionale.  Blanchett si carica da sola il film e dà allo spettatore una di quelle interpretazioni multi-registri che di solito sono premiate con un Oscar. La replica la dà un'altra grande attrice, Sally Hawkins, perfetta nel carattere della sorella “brutto anatroccolo” piuttosto complessa. Inoltre, il film fa una critica feroce e precisa di una società disposta a sacrificare la cosa più sacra per i soldi. Volevo cercare qualche frase altisonante per sfumare questa contundente dichiarazione, ma è meglio non cercare palliativi, perché sono loro a muovere l'azione in Blue Jasmine.

Il quadro che Allen dipinge è nero, anche questo senza riserve. Il suo cinismo -in altre occasioni festivo- è qui profondamente acido. Nessun personaggio è salvato, non vi è alcuna possibilità di redenzione. Le relazioni affettive, sessuali e familiari sono solo un mezzo di scalata sociale. Un mezzo, in fondo, per comprare borse di Louis Vuitton. In realtà, con sfumature diverse, Woody Allen racconta sempre la stessa vecchia storia amara con lo stesso messaggio senza speranza. Dato che lo fa una volta all'anno, non mi da il tempo di dimenticare, ma non mi dà neanche originalità che sorprenda. Rimango –come il film- a metà classifica. E nonostante le attrici bellissime, non mi fa né caldo né freddo. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Don Jon

Regia e Sceneggiatura: Joseph Gordon-Levitt. Interpreti: Joseph Gordon-Levitt, Scarlett Johansson, Julianne Moore, Tony Danza. 90 min. USA. 2013. Adulti. (XD)

Jon è fondamentalmente un uomo di cattivo gusto - un coatto italoamericano di seconda generazione-, oltre che sesso-dipendente e cattolico superficiale. Un giorno incontra una ragazza spettacolare tanto kitsch come lui, ma la  dipendenza di Jon dalla pornografia si frappone tra di loro. Frivola commedia romantica che cerca di essere un ritratto generazionale con moralismo. Come commedia, le manca grazia. E l’ipotetico romanticismo si percepisce solo dopo tonnellate della stessa oscenità che suppostamente si critica. Ana Sanchez de la Nieta. ACEPRENSA


Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Il quinto potere

26/10/2013. Regista: Bill Condon. Sceneggiatura: Josh Singer, basata nei libri “Inside WikiLeaks: My Time with Julian Assange at the World’s Most Dangerous Website”, di Daniel Domscheit-Berg, y “WikiLeaks: Inside Julian Assange’s War on Secrecy”, di David Leigh e Luke Harding. Interpreti: Benedict Cumberbatch, Daniel Brühl, Carice Van Houten, Laura Linney, Stanley Tucci, Alicia Vikander, David Thewlis, Anthony Mackie, Peter Capaldi, Dan Stevens. 124 min.
USA. 2013. Giovani-Adulti. (SD)
Il 25 luglio 2010 , The Guardian , The New York Times e Der Spiegel hanno pubblicato migliaia di documenti filtrati da WikiLeaks. Così inizia questo film, che mette in luce la personalità controversa del fondatore del famoso sito, Julian Assange, adattando il libro di quello che era stato il suo principale sostenitore, il tedesco Daniel Domscheit-Berg e che poi diventò il suo più feroce nemico. Ciò nonostante, il ritratto di Assange che viene fuori è abbastanza equilibrato, dentro del equilibrio che si può trovare in un profilo così complesso e travagliato come quello del'hacker australiano.

Il quinto potere non è The Social Network . C'è un divario tra questi due film così facili da confrontare. In secondo luogo, perché Bill Condon non è David Fincher, in primo luogo, perché lo script non è firmato da Aaron Sorkin ma da Josh Singer. Il film ha una realizzazione abbastanza piatta e manca un libretto con mordente, più drammatico...

Nonostante questo, Il quinto potere è interessante e opta per alcune decisioni intelligenti, forse non molto indovinate dal punto di vista artistico, ma efficaci per la narrativa. Per esempio, inizia la storia con uno dei capitoli più conosciuti del caso (la pubblicazione delle filtrazioni dalle testate prestigiose), non presta attenzione agli episodi più truculenti della vita di Assange; costruisce  le sottotrame partendo dal rapporto di WikiLeaks con i vari “agenti” che sono stati coinvolti nella vicenda (i giornali, la squadra di Assange, i politici), oppure concentra il dibattito -piuttosto che a favore o contro WikiLeaks- in una evidenza: Internet ha cambiato la comunicazione e democratizzato l'accesso alle fonti di informazione. Una realtà -positiva , negativa?; realtà, alla fin fine- che gli altri quattro poteri devono accettare, e al quale devono rispondere con etica, professionalità, buon lavoro, generosità e trasparenza. Non è facile... e la prova è che, come si evince anche dal film , neanche questo quinto potere può scagliare la prima pietra. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, D (Aceprensa)

Cani sciolti

26/10/2013. Regista: Baltasar Kormákur. Sceneggiatura: Blake Masters. Interpreti: Denzel Washington, Mark Wahlberg, Paula Patton, Bill Paxton, Edward James Olmos. 109 min. USA. 2013. Adulti. (VX)

Il regista islandese migliora sul suo precedente lavoro di regista (Contraband) e di produttore-attore (Reykjavik Rotterdam). Walhberg e Washington sono una coppia divertente in un film d'azione: agenti sotto copertura, droga, rapine, sparatorie e corruzione, con intreccio di varie forze di polizia. Non è particolarmente originale e ripete uno schema molto sfruttato dal recente cinema commerciale americano:  tono teppista e folle, personaggi fuori di testa e sbrigativi, sparatorie impossibili, cattivi da operetta, superflue e isolate scene grossolane. Funziona meglio nella sua dimensione comica che come thriller di polizia. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X (Aceprensa)

Rush

28/9/2013. Regista: Ron Howard. Sceneggiatura: Peter Morgan. Interpreti: Daniel Brühl, Chris Hemsworth, Olivia Wilde, Natalie Dormer, Alexandre Maria Lara. 123 min. USA. 2013. Giovani-adulti (V, X, D)
Rush racconta la rivalità dentro e fuori circuiti di Formula Uno tra due piloti leggendari, il britannico James Hunt e l’austriaco Niki Lauda. L’intelligente sceneggiatura di Peter Morgan, un esperto di storie vere, di personaggi politici  -Elisabetta II in The Queen, Idi Amin e il suo medico in L'ultimo re di Scozia, e il presidente Nixon in Frost-Nixon - o sportivi  –l’allenatore di calcio Brian Clough in The Damned United-, esplora con successo, seguendone le carriere, l’idea di come i due concorrenti, che all'inizio delle loro carriere si comportano come scolaretti viziati, imparano a rispettarsi.

L'esistenza del magnifico documentario su Senna ha probabilmente avuto molto che vedere con il fatto che Ron Howard si sia lanciato a ricreare, con grande realismo, alcune gare che negli anni settanta avevano un alto tasso di mortalità per incidenti terribili. Le scene adrenaliniche in pista, con superbi primi piani, e il buon sonoro dove s’integra perfettamente la partitura di Hans Zimmer, catturano lo spettatore.

D'altra parte, i due attori principali riescono a catturare i loro caratteri. Chris Hemsworth s’immerge nell'immagine di noto playboy di Hunt -ma sono di troppo alcune immagini dei suoi flirt-, mentre Daniel Brühl è semplicemente sensazionale, compreso il suo accento, come pilota cerebrale e metodico. In entrambi si affacciano in modo plausibile  i sentimenti che nascondevano e che li umanizzano. José María ARESTE. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, X, D (Aceprensa)

The grandmaster

28/9/2013. Regista: Wong Kar Wai. Sceneggiatura: Wong Kar Wai, Zou Jingzhi, Xu Haofeng. Interpreti: Tony Leung, Zhang Ziyi, Chang Chen, Yuen Woo-Pin. 123 min. Hong Kong, China. 2013. Giovani-adulti.

Venti anni di storia cinese, a partire dall’invasione giapponese del 1936, fanno da sfondo alla vicenda del leggendario maestro di arti marziali Ip Man, un uomo fermamente retto che visse le diverse stagioni della sua vita vedendo mutare attorno a sé lo spirito con cui il suo paese cambiò il rapporto con le proprie tradizioni.

Dal maestro del melò cinese (In the mood for love) Wong Kar Wai, un film che celebra una tradizione composita, quella del kung fu nelle sue diverse declinazioni, e di una delle sue figure leggendarie, quel Ip Man divenuto in Estremo Oriente un elemento stabile della cultura popolare (oggetto di due film e di una serie televisiva), anche per essere stato il mentore dell’altrettanto leggendario Bruce Lee.

Anni di lavoro, tra ricerca delle fonti e addestramento degli attori, per un kolossal delle emozioni in cui la cifra più importante è quella dei rapporti tra i personaggi. La trama è complessa, alterna vicende private e avvenimenti epocali, in un avanti e indietro della linea temporale che potrà depistare lo spettatore, senza però irritarlo (come capita a volte guardando alcuni vuoti esercizi di stile di altri cineasti). Un movimento “avanti e indietro” che è fondamentale sia per il discorso, centrale all’interno della narrazione, dell’importanza del passato, delle tradizioni e della vita che, nonostante tutto, procede andando ad abbracciare il destino. Sia per una tecnica marziale che, tramandata di padre in figlio, sarà altrettanto cruciale per un importante combattimento in cui viene ristabilito l’onore di una famiglia senza venir meno a una solenne promessa difficilissima da mantenere.
Amore, onore, tradizione. Essere, conoscere, agire. Il film gioca su queste triadi consegnandoci figure – sfaccettate in maniera raffinata, diversa da come avverrebbe in un film americano o europeo – che sembrano portare su di sé, e dentro il cuore, il peso di passioni struggenti perché inespresse e la visione di un mondo che sta cambiando in cui anche la Storia, quella con la S maiuscola, ha un ruolo marginale, in appoggio al singolo uomo perso nel suo vortice maestoso.

Un film non per tutti i gusti, forse, che senz’altro richiede uno sforzo allo spettatore per decifrare alcuni passaggi un po’ faticosi del plot e per orientarsi in una struttura temporale non lineare (che richiama, con citazioni esplicite anche della colonna sonora, l’epico C’era una volta in America di Sergio Leone). Per chi non ha dimestichezza con questo genere di film e avrà la curiosità di accostarvisi, però, una bella sorpresa: scoprirà la maestria di un autore capace di far funzionare all’unisono ogni aspetto della macchina cinematografica (soprattutto recitazione, direzione della fotografia e colonna sonora) per avvolgere lo spettatore in una calda atmosfera vellutata. In secondo luogo, scoprirà una zona della cinematografia mondiale in cui sopravvive ancora il senso del “classico”, con un corredo di valori imperituri e trasversali a ogni cultura, celebrati come in un vecchio western (rispetto delle tradizioni, senso dell’onore e della lealtà, possibilità di correggersi ma rifiuto categorico del male, legame tra generazioni), con la chicca di uno Stabat Mater in colonna sonora (non sappiamo in realtà quanto consapevole e meditata), nell’interpretazione del compositore italiano Stefano Lentini. Raffaele Chiarulli. Per gentile concessione di FAMILYCINEMATV.

Valori e Disvalori: Rispetto delle tradizioni, senso dell’onore e della lealtà, legame tra generazioni, possibilità di correggersi ma rifiuto categorico del male.

Pubblico: Adolescenti. Presenza di scene spaventose, uso di oppio, combattimenti violenti.


Giudizio Tecnico: Un film non facile, ma Wong Kar Wai conferma la sua maestria nel far funzionare all’unisono ogni aspetto della macchina cinematografica, soprattutto recitazione, direzione della fotografia e colonna sonora.