tredici variazioni sul tema (Thirteen conversations about one thing)

17/07/2004. Regista: Jill Sprecher. Sceneggiatura: Karen Sprecher, Jill Sprecher. Interpreti: Alan Arkin, William Wise, Matthew McConaughey, John Turturro, Clea Du Vall, Amy Irving. 94 min. USA. 2001. Giovani-Adulti.

Da qualche tempo arrivano dagli Stati Uniti vari film ad effetto ragnatela, che offrono, cioè, un complesso mosaico sociale, seguendo vari personaggi, le cui storie sono minacciate dagli imprevedibili colpi del destino. Tale, l’impostazione di Tredici variazioni sul tema, secondo lungometraggio di Jill Sprecher, che ha esordito da regista nel 1997 con il notevole Impiegate a tempo determinato (Clockwatchers).

Il titolo originale -Tredici conversazioni su una stessa cosa- ne riflette molto bene la struttura e l’intenzione. “Questa stessa cosa” è la felicità, meta ideale di tutti i personaggi, perseguita su strade diverse, anche se tutti vivono a New York. Un incupito impiegato, divorziato e con un figlio tossicomane, riversa la sua amarezza su un suo modesto subalterno, perennemente gaio. Il persecutore si confida con un giovane avvocato che vedrà vacillare la sua trionfale esistenza, dopo un incidente, dal quale declina ogni responsabilità. Per colpa di questo incidente, una graziosa giovane, donna delle pulizie a domicilio, dovrà sperare in un miracolo per tirar avanti. Un miracolo grande, come quello necessario a due sposi in crisi, una sofferta donna matura e un timido professore, in relazione sentimentale con una maestra del suo liceo.

Come nel precedente film, Sprecher usa un tono agrodolce, alle volte scarno, che costringe i personaggi a destreggiarsi tra la commedia e il dramma, senza mai venir meno ad una profonda capacità d’introspezione psicologica, molto efficace nel ricercarcare i più intimi dettagli della dignità umana. Talvolta -come nella storia dell’adulterio- Sprecher si limita a constatare le perplessità dei personaggi. Altre -soprattutto nella storia della giovane donna delle pulizie- avvolge i conflitti in un alone di mistero, suggestivo in sé, ma forse troppo etereo. Infine, coglie spesso nel segno, riuscendo a trarre situazioni emotive di elevato valore drammatico. Così, il conflitto tra l’impiegato amareggiato e quello felice getta ampi squarci sulla dimensione professionale, sull’invidia, la tristezza e il buon umore. A sua volta, la tragedia dell’avvocato in crisi è una coraggiosa denuncia della necessità di assumersi le proprie colpe, saper chiedere perdono e riparare. Ne nascono -così come anche nelle altre storie- sorprendenti connessioni tra libertà e destino, nonché il senso purificatore della sofferenza, soprattutto in una società materialistica e scarsa di valori, come quella odierna.

Il film è un incalzare di sequenze, senza apparente filo logico, scandite da un ritmo sincopato, talvolta a scapito della fluidità narrativa del discorso sottotraccia. Ad ogni caso, il messaggio non va perso, grazie a dialoghi ricchi di contenuto e intelligenti, che permettono di dare il meglio di sé ad attori eccellenti , esaltati dalla sobrietà delle riprese voluta da Sprecher. Su tutti, emerge il veterano Alan Akrin, cosi incredibilmente coinvolgente in ogni momento, da chiedersi come possa ancora essere ingnorato dai grandi produttori di Hollywood: altro paradosso di un film interessante, che ha dovuto attendere due anni, prima di farsi apprezzare anche qui. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: giovani-adulti. Contenuti specifici: V, S, D, F. Qualità tecnica: **** (MUNDO CRISTANO)

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