Venti anni di storia cinese, a partire dall’invasione
giapponese del 1936, fanno da sfondo alla vicenda del leggendario maestro di
arti marziali Ip Man, un uomo fermamente retto che visse le diverse stagioni
della sua vita vedendo mutare attorno a sé lo spirito con cui il suo paese cambiò
il rapporto con le proprie tradizioni.
Dal maestro del melò cinese (In the mood for love) Wong Kar Wai, un film che celebra una
tradizione composita, quella del kung fu nelle sue diverse declinazioni, e di
una delle sue figure leggendarie, quel Ip Man divenuto in Estremo Oriente un
elemento stabile della cultura popolare (oggetto di due film e di una serie
televisiva), anche per essere stato il mentore dell’altrettanto leggendario
Bruce Lee.
Anni di lavoro, tra ricerca delle fonti e
addestramento degli attori, per un kolossal delle emozioni in cui la cifra più
importante è quella dei rapporti tra i personaggi. La trama è complessa,
alterna vicende private e avvenimenti epocali, in un avanti e indietro della
linea temporale che potrà depistare lo spettatore, senza però irritarlo (come
capita a volte guardando alcuni vuoti esercizi di stile di altri cineasti). Un
movimento “avanti e indietro” che è fondamentale sia per il discorso, centrale
all’interno della narrazione, dell’importanza del passato, delle tradizioni e
della vita che, nonostante tutto, procede andando ad abbracciare il destino.
Sia per una tecnica marziale che, tramandata di padre in figlio, sarà
altrettanto cruciale per un importante combattimento in cui viene ristabilito
l’onore di una famiglia senza venir meno a una solenne promessa difficilissima
da mantenere.
Amore, onore, tradizione. Essere, conoscere, agire. Il
film gioca su queste triadi consegnandoci figure – sfaccettate in maniera
raffinata, diversa da come avverrebbe in un film americano o europeo – che
sembrano portare su di sé, e dentro il cuore, il peso di passioni struggenti
perché inespresse e la visione di un mondo che sta cambiando in cui anche la
Storia, quella con la S maiuscola, ha un ruolo marginale, in appoggio al
singolo uomo perso nel suo vortice maestoso.
Un film non per tutti i gusti, forse, che senz’altro
richiede uno sforzo allo spettatore per decifrare alcuni passaggi un po’
faticosi del plot e per orientarsi in una struttura temporale non lineare (che
richiama, con citazioni esplicite anche della colonna sonora, l’epico C’era una volta in America di Sergio Leone). Per chi non ha
dimestichezza con questo genere di film e avrà la curiosità di accostarvisi,
però, una bella sorpresa: scoprirà la maestria di un autore capace di far
funzionare all’unisono ogni aspetto della macchina cinematografica (soprattutto
recitazione, direzione della fotografia e colonna sonora) per avvolgere lo
spettatore in una calda atmosfera vellutata. In secondo luogo, scoprirà una
zona della cinematografia mondiale in cui sopravvive ancora il senso del
“classico”, con un corredo di valori imperituri e trasversali a ogni cultura,
celebrati come in un vecchio western (rispetto delle tradizioni, senso
dell’onore e della lealtà, possibilità di correggersi ma rifiuto categorico del
male, legame tra generazioni), con la chicca di uno Stabat Mater
in colonna sonora (non sappiamo in realtà quanto consapevole e meditata),
nell’interpretazione del compositore italiano Stefano Lentini. Raffaele Chiarulli. Per gentile concessione di FAMILYCINEMATV.
Valori e Disvalori: Rispetto delle tradizioni, senso dell’onore e della
lealtà, legame tra generazioni, possibilità di correggersi ma rifiuto
categorico del male.
Pubblico: Adolescenti. Presenza di scene spaventose, uso di oppio, combattimenti
violenti.
Giudizio Tecnico: Un film non facile, ma Wong Kar Wai conferma la sua
maestria nel far funzionare all’unisono ogni aspetto della macchina
cinematografica, soprattutto recitazione, direzione della fotografia e colonna
sonora.
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