24/1/2015. Regista: Richard Linklater. Sceneggiatura:
Richard Linklater. Interpreti: Patricia Arquette, Ethan Hawke, Ellar Coltrane,
Lorelei Linklater. 164 min. USA. 2014. Giovani-adulti. (SD) 3 Golden Globes:
miglior film drammatico, miglior regista e miglior attrice non protagonista
(Patricia Arquette).
Riconosco che la
mia recensione di Boyhood è stata pensata e scritta
in due fasi. Una uscendo dal film e l’altra dopo averlo studiato. Il riassunto?
Come narrativa, Boyhood sembra un opera notevole –ma
non un capolavoro- a cui manca epica per essere più grande. Come esperimento
del linguaggio cinematografico di un regista, Boyhood
è prodigiosa. Se c’è un argomento che attira Richard Linklater, è il passare
del tempo e le sue conseguenze. La sua famosa trilogia romantica, aperta con Prima dell'alba, non è altro che questo: la dissezione del
binomio amore e tempo. In Boyhood,
Linklater ha alzato la sua capacità narrativa alla categoria di test di
laboratorio filmico. Per dodici anni, ha girato lo stesso gruppo di attori -che
s’incontravano ogni anno per pochi giorni- per raccontare il passaggio
dall'infanzia alla maturità di un ragazzo dagli espressivi occhi azzurri posto
al centro di una tormentata famiglia disfunzionale.
Lo spettatore
contempla come davanti ai suoi occhi cambia lo sguardo del bambino fino
indurirsi e perdere l'innocenza, come la bambina kitsch e repellente dei primi
minuti (la stessa figlia di Linklater) diventa una interessante giovane, come
la madre ingrassa e marca con amare rughe ciascuno dei suoi fallimenti
sentimentali, o come il padre lascia il suo idealismo ingenuo per formare una
seconda famiglia, all'ombra di un albero quasi pericoloso di puro conservatorismo.
Tutto scorre in modo naturale, come il passaggio di fotografie in un album di famiglia,
senza che le ellissi appesantiscano, senza ulteriori spiegazioni. Il tempo
passa e le cose cambiano. E le persone di più. Anche senza grandi drammi e svolte
drammatiche. Alle volte, un incrocio di sguardi complici tra un uomo e una
donna catturato da un bambino sconcertato può cambiare la storia di una vita
(per questa scena soltanto Linklater meritava un Leone d'Oro) molto di più di
un intricato colpo di scena. Il film, come specchio della vita, supera di gran
lunga questo esperimento. E per Linklater, come fotografo e ricercatore del
tempo, questo film sarà un retaggio.
Come eredità, sì.
Come capolavoro, no. Per questo gli manca un elemento che segna la vita di
esseri umani e dei protagonisti di un film. I giorni passano, la vita scorre ma
l'uomo è più che tempo. In Boyhood, come
nel resto dei film del regista britannico, c’è una sorta di determinismo, di tristezza
esistenziale che vena di malinconia i suoi film e, curiosamente, li rende meno
reali. Per Linklater, il tempo finisce sempre con la vita, gli amori, le speranze
e gli ideali. Senza alternative o opzioni. Senza scontrarsi con l'uomo, l'uomo
vero, che con epica, con lotta, è in grado di mantenere amori, speranze e
ideali attraverso il tempo. Un uomo che, come risulta in un superbo Malick The Tree of Life, il tempo può corrompere ma anche maturare,
far crescere e migliorare. Un uomo che può passare attraverso il tempo. E non
viceversa.
Qualche cosa di questo contrappunto -di questa, in fondo, speranza
vitale- manca a Boyhood
per essere un capolavoro. Ana Sánchez de la Nieta.
ACEPRENSA.
Pubblico: Giovani-
adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)
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