29/3/2014. Regista:
Paweł Pawlikowski. Sceneggiatura: Paweł Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz. Interpreti: Agata Kulesza, Agata
Trzebuchowska, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik. 90 m. Polonia. 2013. Giovani-adulti. (V, S)
Polonia anni
60. Una giovane novizia orfana, prima di prendere i voti, si reca nella
sua casa natale in compagnia di sua zia, per conoscere il tragico avvenimento
che portò alla morte dei suoi genitori. Questo pluripremiato film in diversi festival
è uno di quei titoli che rimangono in testa per giorni, uno di quei film che
causano molti problemi. In breve, uno di quei film che, a parte la sua forza
visiva e la potenza evocativa, chiedono una risposta dal regista.
Soprattutto in quanto Ida
è un film autobiografico al cento per cento. Pawlikowski ammette che il viaggio
di Ida è, in un certo senso, il suo ritorno alle sue radici polacche. Un
ricordo dei paesaggi che vide, della musica che udì, la traccia della sua memoria.
Il personaggio di Wanda, la zia, ha la sua origine in una donna conosciuta e ammirata
da lui –una persona brillante- la cui contraddizione –è stata accusata da
orribili crimini- il regista non è ancora riuscito a capire. Con il personaggio
di Ida, Pawlikowski vuole parlare di una fede che trascende l'immagine del
tradizionale cattolico polacco, entrando in una dimensione diversa quando al
inizio del film Ida scopre che in realtà è ebrea. Una fede che, forse perché vuole
allontanarsi dallo stereotipo, è più protestante che cattolica. E’ certamente
più Bergman che Fellini. E’, in ogni caso, un Dio che non parla. Un Dio
silenzioso.
Dice il regista che le anime di Ida e Wanda
sono un campo di battaglia. Dice bene, ma per riportare questa lotta intensa e
straziante (perché gli eventi sono drammatici) opta per una straordinaria messa
in scena. La telecamera si muove a malapena e il film è costruito attraverso inquadrature
statiche, sorprendenti, espressive nel loro minimalismo e di una bellezza
mozzafiato. Più che inquadrature, sono dipinti, semplici opere d'arte.
Dobbiamo mettere in guardia lo spettatore
che Ida non è un prodotto di massa. E’ necessario gusto estetico, capacità di
silenzio, pazienza e apertura mentale per entrare in un film che si capisce soltanto
–e non totalmente- dalla sfumatura. Dallo sguardo su questo campo di battaglia
dell'anima. Un film con più letture, con un finale che si presta a molte
interpretazioni, nessuna di loro certamente troppo speranzosa. Una storia
tragica, un film con una tristezza di fondo molto forte. Un piccolo gioiello
per un pubblico in grado di apprezzarlo.
Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)
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