Il cacciatore di aquiloni

12/4/2008. Regista: Marc Forster. Sceneggiatura: David Benioff. Interpreti: Zekiria Ebrahimi, Ahmad Khan Mahmoodzada, Homayoun Ershadi. 122 min. USA. 2007. Giovani. (V)

Non c’è modo d’inquadrare il cineasta Marc Forster, nato nel 1969 in Germania, cresciuto in Svizzera e dal 1990 a New York, dove nel 1993 si è laureato alla Facoltà di Cinema. Da allora ha diretto film alquanto diversi, come il thriller Stay (2005), i premiati Monster’s Ball-L’ombra della vita (2001) e Neverland-Un sogno per la vita (2004), o la singolare commedia Vero come la finzione (2006). Ora, Forster sta girando Quantum of Solace, nuovo capitolo della saga di 007.



Tratto dal noto best seller di Khaled Hosseini, il film inizia a San Francisco, nel 2000. Amir è un giovane scrittore di origine afgana, felicemente sposato, pienamente integrato negli Stati Uniti. Quando pubblica il suo primo romanzo, riceve una misteriosa chiamata telefonica dal Pakistan, che risveglia dolorosi ricordi. L’azione si trasferisce così, nell’Afghanistan del 1978. Amir, intelligente e fantasioso ragazzino di una ricca famiglia pastún, a Kabul vive un’infanzia felice, insieme al suo intimo e ultraleale amico Hassan, figlio di un inserviente del padre, di etnia hazara. Dopo che entrambi vincono ad un concorso di aquiloni, la sua amicizia è tragicamente messa alla prova, da un gruppo di giovani fondamentalisti, che anticipano gli orrori dell’invasione sovietica del paese e del successivo regime talibano.

Girato nella regione più occidentale della Cina e recitato quasi interamente in dialetto dari e pastún, il film sviluppa una bella storia di amicizia, lealtà, tradimento e redenzione, che tesse l’elogio della sincera religiosità musulmana dei personaggi, ponderata in una revisione realistica della drammatica storia recente dell’Afganistan. Probabilmente, per il lettore del romanzo, questa versione non lascerà un grande riscontro. Infatti, in certi passaggi, s’indovina che Forster non attinge tutta l’intensità possibile dalla storia, forse perché si serve di giovani attori non professionisti, talvolta ancora un po’ rigidi. Neanche la trama che illustra la dittatura dei talebani appare ben riuscita.

Comunque, l’inquieto cineasta mantiene un alto livello narrativo, drammatico ed estetico, mette insieme una notevole capacità di regia, senza esagerare nei passaggi più sordidi del racconto. In tal modo, ne trae sequenze commoventi, di grande attrattiva visiva, dove brilla di luce propria la sensazionale partitura musicale di Alberto Iglesias (si è meritato una candidatura all’Oscar), con un audace e moderna fusione di melodie tradizionali afgane e ritmi arabi, flamenchi e orientali. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Nessun commento: