The village

30/10/2004. Regista: M. Nigth Shyamalan. Sceneggiatura: M. Nigth Shyamalan. Interpreti: Bryce Dallas Howard, Joaquin Phoenix, Adrien Brody, William Hurt, Sigourney Weaver, Brendan Gleeson, Cherry Jones. 108 min. USA 2004. Giovani.

“Ripetersi o non ripetersi? Questo è il dilemma!”. M. Nigth Shyamalan, regista de Il sesto senso, scrive, dirige e produce questo film, con grande chiarezza di idee: respinge al mittente le critiche che lo accusano di essere ripetitivo. Asserisce, infatti, di indugiare su di un genere molto popolare di film, quello di suspense, ma solo per affrontare questioni di rilievo, capaci di provocare lo spettatore. Inserisce nei film situazioni inattese e soprendenti, che fanno presa. Per questo, si consiglia di sperimentare la visione dei suoi film, senza troppe informazioni, limitandosi all’imprescindibile: è certo il miglior modo di fruirne.

Ci troviamo alla fine del XIX secolo. In un paesino isolato, circondato da un bosco, gli abitanti vivono in allegro cameratismo: tutti si conoscono e spesso condividono i pasti all’aperto. Sono governati da un gruppo di anziani, che risolvono i problemi della comunità. Vige l’accordo di non uscire mai dal paese, perché nel bosco abitano orribili creature, “da non nominare neppure”. Non varcare i limiti del villaggio: ecco la condizione per poter vivere in pace. In caso contrario…

Nuove sfide per Shyamalan, brillantemente superate. La principale: creare la sua prima protagonista femminile forte: la ragazza cieca, Ivy. Questo personaggio propone l’esistenza di diversi tipi di cecità; e conduce a una delicata storia d’amore che culmina nella scena del portico, girata da maestro. Ci sono anche altri amori, amori segreti non confessati. E segreti, segreti non comunicati. Perché la questione della trasparenza, mostrare le cose come sono, il parlar chiaro, è proprio il motivo conduttore del cineasta di origine hindu.

Se non bastasse, c’è la paura. Paura diversa dal terrore (anche se c’è un passaggio nel bosco, dove Ivy sembra “cappuccetto rosso”, di rara forza evocativa, capace di spaventare chiunque), e di una profondità ancora maggiore di quanto appaia sul momento. Si tratta della paura dell’oltre, un pericolo mai affrontato seriamente. Rimanere segregati nel paesino ha la sua contropartita: la rinuncia alle medicine e a tante altre cose buone, pur di evitare i mostri.

Coordinare questa storia non è stato banale. Per creare l’atmosfera adatta, la messa in scena è essenziale. Il regista gioca al meglio le sue chance: il suono e la musica, così importanti nel suo cinema; i movimenti della cinepresa, con un insolito uso dello zoom; le riprese artistiche del paese, una località invernale autentica, non ricostruita in studio… Infine, i personaggi e le trame, tutti di rilievo. Shyamalan offre un’ulteriore saggio della sua eccellente regia. Nel film ricorre ad un cast di gran classe, permettendosi di imitare l’Hitchcock di Psyco, quando fa sparire un attore nel bel mezzo della narrazione. Menzione speciale merita Bryce Dallas Howard (Ivy), figlia d’arte, che recita alla perfezione il suo ruolo. L’ha scoperta proprio Shyamalan sulla scena un’opera teatrale a Broadway. Ne è seguita l’immediata valorizzazione da parte di Lars von Trier, nel film Manderlay, in un un ruolo destinato, in origine, a Nicole Kidman.

José María Aresté. ACEPRENSA.

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