Once

7/6/2008. Regista: John Carney. Sceneggiatura: John Carney. Interpreti: Glen Hansard, Markéta Irglová, Bill Hodnett, Danuse Ktrestova. 91 m. Irlanda. 2006. Giovani.

“La formula è molto semplice: due persone, alcuni strumenti musicali, 91 minuti, nessuna nota stonata”: così riassume Once, la critica apparsa sul The New York Times. Il film è una breve storia, girata con un budget di 180.000 euro, (ha ricavato 9 milioni di dollari negli States, e 350.000 euro in Irlanda). Vi si narra, in formato da “album musicale”, la storia di amore tra un musicista di strada irlandese, che aiuta il padre a riparare gli aspirapolvere, e una giovanissima pianista di origine ceca, che si guadagna da vivere come venditrice ambulante. Una storia che, come lo stesso John Carney –regista e sceneggiatore- confessa, voleva sviluppare in sole 20 pagine (10 fogli), perché il resto viene narrato nelle canzoni.



Questo breve film, girato con la camera a mano, in stile familiare e in un tono lontano da ogni artificio (difficile oggi trovare un musical che non accampi qualche pretesa), è un piccolo capolavoro: piccolo, ma capolavoro.

Per molti motivi: perché la musica, sensazionale, è perfettamente incastonata nella storia… Meglio: è la storia stessa. Inoltre, la recitazione degli attori -di sorprendente naturalezza- risulta splendida (i due protagonisti sono musicisti: non devono far grandi sforzi per interpretare il significato che l’arte riveste per loro). Infine, e soprattutto, perché vanta un copione di una freschezza totalmente avvincente, con una costruzione dei personaggi che rivela una visione dell’essere umano capace di comunicare un contagioso ottimismo.

Abbiamo visto migliaia di storie romantiche, centinaia di musical, decine di biopics di musicisti, ma l’originalità di Once è esemplare. John Carney (che prima di fare il regista ha suonato nei The Frames, la band del protagonista) si allontana radicalmente dai luoghi comuni, sia nel raccontare la storia d’amore, sia nello spiegare il processo di creazione musicale. Anzi, proprio grazie a questa originalità, gli si schiudono svariate possibilità: la protagonista può essere ingenua -tra l’altro ha recitato nel film con l’età propria della ingenuità, 17 anni- senza negoziare la sua integrità. Cosí che il protagonista maschile può innamorarsene, ma senza ossessioni travolgenti; e sono amici, in una banda di rock che passa la notte a registrare musica, non avendo bisogno di ricorrere alla droga; e ti lascio una registrazione: metti tu le parole; e una cosa è la canzone, un’altra la vita; mi ripari l’aspirapolvere?; e cerca di prendere l’accordo; tu piangi e io ti consolo; tu hai la tua vita e la rispetto; e nessuno si butta da un ponte….

Man mano che ci si impregna di questo puro realismo, lo spettatore s’innamora della storia, della musica, dei personaggi. È quanto avvenuto al pubblico dell’ultimo festival di Sundance, che proprio per questo ha premiato il film. Di diverso parere la critica, che sembra non apprezzare il cinema indipendente e fuori dagli schemi: ha premiato Padre nuestro. Io, sto dalla parte del pubblico. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

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