Il grande silenzio

22/4/2006. Regista: Philip Gröning. Sceneggiatura: Philip Gröning. 164 min. Germania-Svizzera. 2004. Tutti.

La Grande Chartreuse, il più antico monastero dei certosini, è situata fra le Alpi francesi non lontano da Grenoble. Il regista tedesco Philip Gröning ha atteso 18 anni per ottenere dal priore generale il permesso di entrare nel loro eremo con una macchina da presa. Gröning è rimasto con loro per circa sei mesi, riprendendo le loro attività quotidiane e il lento alternarsi delle stagioni nella vallata circostante. Non ha potuto portare con se alcuna troupe nè lampade per l'illuminazione: tutte le riprese sono state effettuate con la luce naturale e il suono è quello di scena, senza commenti fuori campo nè colonna sonora. Tutto il materiale raccolto è stato condensato in due ore e mezza di un film che non ha precedenti.

Lo spettatore viene invitato fin dalla prima inquadratura a scuotersi dal tipico atteggiamento di chi si siede in sala per limitarsi a diventare un passivo ricettore di suoni e luci. Con uno sforzo di concentrazione, a man mano che la luce dell'alba si diffonde, riusciamo a distinguere, fra la sgranatura di una pellicola ad alta luminosità, il profilo di un monaco inginocchiato che prega nella sua cella. Al centro c'è una piccola stufa, unica fonte di calore nel rigido inverno. Un altro monaco suona la campana: è il momento del canto gregoriano e tutti si radunano nella cappella. Ancora una volta è il buio quasi totale a prevalere: vediamo solo una candela accesa mentre il canto si sviluppa lento e solenne. Ormai lo spettatore ha capito: nulla gli verrà spiegato di quel che sta vedendo e si troverà impegnato in uno sforzo di interpretazione che lo renderà sensibile a qualunque bagliore o fruscio, sia esso lo spostamento di una sedia o lo stormire delle fronde.

Si è fatto ormai giorno e il fratello addetto alla dispensa apre una ad una le finestrelle delle celle per depositarvi il pranzo giornaliero. Un'altro ritira la biancheria da lavare e sopra ogni indumento è stato lasciato un bigliettino che inizia con la frase: "caro fratello, ho bisogno di..". Mentre i monaci restano nelle loro celle a pregare e a meditare, gli altri fratelli si dedicano alle faccende che rendono indipendente, anche se povera, la certosa: il lavoro nei campi, nelle cucine, il taglio della legna (con sega a mano) in tocchi rigorosamente uguali, il cucire nuove tonache (i bottoni vengono riciclati da tonache ormai vecchie) o semplicemente il taglio dei capelli perché le teste dei monaci debbono restare perfettamente rasate. Poi, la domenica, dopo la celebrazione eucaristica e la comunione, si ritrovano nel refettorio per il pranzo in comune mentre si ascoltano delle letture spirituali; infine la passeggiata all'aperto per ritemprare il fisico e per potersi conoscere chiacchierando fra loro nelle uniche quattro ore di non silenzio previste nella settimana.


La maggior parte degli spettatori resterà attonita e a disagio di fronte a qualcosa che non ha mai conosciuto: l'ordine dei certosini, fondato da san Bruno di Cologne nel 1084 è dedito al servizio di Dio con la preghiera e il silenzio permanente. Dalla fondazione fino ad oggi la vita dei monaci è rimasta immutata: nessuna modernità (radio, televisione, Internet, visitatori) interviene a disturbarli dalla loro meditazione né a porli a contatto con il mondo esterno. Qualcuno potrà sospettare che una vita così semplice e con pochi accadimenti possa risultare comoda e rilassata, sopratutto se la confrontiamo con la vita frenetica delle nostre città. . Niente di più diverso dal vero: i monaci dormono tre ore a cui seguono due o tre ore di preghiera e poi altre tre ore di sonno. Tutta la giornata è incorniciata fra una messa mattutina e una serale e le preghiere nel silenzio della propria cella nonché le varie faccende domestiche. Lo stesso regista, che ha vissuto assieme a loro per sei mesi, ha dichiarato: "non c'è di fatto tempo per se stessi: quando sentivo che finalmente potevo avere un po' di pace, un'altra campana iniziava a suonare e qualcos'altro doveva essere svolto".


La seconda riflessione che può scaturire dalla visione di questo film è che i monaci, con l' isolamento e con questa vita che si ripete uguale giorno dopo giorno da più di mille anni, vogliono cercare di annullare il tempo, vogliono percepire l'eternità. In realtà essi si protendono in avanti in una tensione continua volta alla ricerca di una sempre più intima comunione con Dio. Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. (Ger . 20/7).: la frase del profeta viene ribadita più volte durante il film e se le preghiere sono sempre le stesse, il modo con cui vengono sentite sarà ogni giorno diverso perché la meditazione sarà diventata più profonda: la serenità della loro esistenza non deriva da una vita vuota di eventi drammatici ma dal loro abbandono fiducioso nella Provvidenza Divina.

Il regista ha usato i pochi strumenti del mestiere a lui concessi (la qualità delle immagini, con l'illuminazione naturale, è spesso appena sufficiente) per farci sentire proprio là, in mezzo ai monaci, nello stesso silenzio e nello stesso alternansi di preghiera e lavoro. Da questo punto di vista il successo è stato completo. Tuttavia la formula del cinema - verità estremo, se raggiunge alcuni obiettivi, ne manca altri.


Lo stesso sforzo di interpretazione con cui lo spettatore si deve impegnare nella visione rende evidente l'approccio fenomenologico che il regista ha voluto applicare: quello di un esploratore rispettoso di un universo sconosciuto. Forse quello che è mancato è stato il tentativo di interpretare la realtà monastica dal di dentro. Forse con un po' più di fiction (magari seguire un novizio dall'ingresso nel monastero fino alla sua integrazione, incluse le sue battaglie e i suoi dubbi) ci avrebbe fatto meglio comprendere le ragioni della coraggiosa scelta di questi mistici. Alla fine della proiezione è probabile che la maggior parte degli spettatori concluderà che questa vita non è per lui e si ritufferà gioiosamente nel caos del traffico cittadino, ma al contempo in tutti resterà il desiderio di ritagliarsi un momento di riflessione, di preghiera alla ricerca di un Colloquio che spesso ci è mancato. Franco Olearo. Per gentile concessione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: I ritmi di una vita rimasta immutata per quasi mille anni ci rendono tangibile la vocazione dei monaci nel cercare l'incontro con il Signore nella solitudine e nel silenzio

Si suggerisce la visione, per ragazzi non accompagnati, a partire da: Tutti

Giudizio tecnico: Ottimo documentario sulla vita all'interno di una Certosa. Manca il tentativo di comprendere le intime motivazioni della vocazione monastica

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