Ray

29/1/2005. Regia: Taylor Hackford. Sceneggiatura: James L. White. Interpreti: Jamie Foxx, Kerry Washington, Regina King, Clifton Powell, Harry J. lennix, Bokeem Woodbine. 152 m. USA. 2004. Adulti.
Se c’è un genere che mette in evidenza le debolezze del cinema, al momento di approfondire l’intimo dell’essere umano, questo è il genere biograficista. Ossia, storie che pretendono di comprendere e trarre un bilancio di quello che è stata la vita di una persona realmente esistita. Tuttavia, il più grande elogio che si può fare di Ray è proprio quello che sa avvicinarci straordinariamente a Ray Charles Robinson (1930-2004), una leggenda musicale capace di far convivere stili così diversi come jazz, rythm&blues, gospel, rock&roll e country. Taylor Hackford (regista di Il sole a mezzanotte e Rapimento e riscatto, nonché produttore di Quando eravamo re) evita di propinarci una serie di frammenti biografici, ricuciti con una certa dose di buona volontà, per merito del solido copione di James L. White.

La storia inizia dal viaggio in pullman che porta il giovane non vedente, Ray, dalla Florida all’ambiente jazzistico di Seattle. Il copione lineare, con ascendenze di stile classico, aiuta a penetrare l’handicap della cecità del protagonista, il suo incipiente genio musicale, le persone che gli stanno intorno, i primi successi e il rapporto con la casa discografica Atlantic Records, sorprendentemente umano. I trionfi nel corso della carriera artistica si alternano ad una vita personale piuttosto agitata. La presenza di una moglie che gli vuol bene, Della Bea, non impedisce a Ray avventure e rapporti extraconiugali con altre donne, alcuni assai prolungati, né la trappola della tossicodipendenza. Ma ciò che impregna di profondità emotiva la narrazione delle complesse vicende professionali e famigliari di Ray sono i flash-back, che lo riportano all’infanzia, felice età dell’oro, ma anche epoca di traumi: la meravigliosa figura materna di Aretha Robinson, emerge prepotentemente in queste e in altre scene oniriche.

Prima della morte, è stato lo stesso Ray Charles a dare il proprio consenso al film, evitando un prodotto apologetico, ma accettando di veder rappresentata la sua tragica caduta nell’inferno della droga e dell’instabilità affettiva, con sincerità, ma anche eleganza.
Ne emerge il tentativo di raccontare una storia di superamento del male, grazie a sostegni adeguati. Rappresenta una riedizione del “sogno americano”, basato su azioni di riscatto, come il sapersi distinguere nella lotta per l’eguaglianza razziale. Jamie Foxx offre una grande rappresentazione del geniale musicista, per l’intera durata del film. Altri attori, anche se secondari, risultano però all’altezza. In particolare, la sconosciuta Sharon Warren nel ruolo di indimenticabile madre. José María Aresté. ACEPRENSA.

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