L’unico modo per evitar di raccontare il finale dell’ultimo film di sir Ridley Scott è non dire quasi niente neanche dell’inizio perché, dal primo minuto, già sappiamo come finirà lo spietato broker protagonista del film, impersonato da Russell Crowe: lascerà la Borsa per dedicarsi ad alcuni vigneti, nella Francia della Provence. Poi, secondo i canoni, c’è una storia di famiglia e una pseudo-storia sentimentale. Senza ritegno alcuno e senza scampo, il film finisce, dal primo minuto, sui binari del prevedibile.
Della banalità della trama -di scarso spessore- si può accusare Peter Mayle, un pubblicista amico di Scott che un bel giorno ha chiuso bottega, per andarsi a godere la vita e raccontarla nei suoi romanzi, a metà tra il racconto e la guida turistica.
Allo sceneggiatore di Serendepity è toccato di trasporre su schermo il romanzo di Mayle, senza peraltro riuscire a sottrarre dallo stereotipo i personaggi, che sembrano fuoriusciti non solo da un cartone animato, ma pure di quelli scadenti. I personaggi femminili recitano solo il ruolo di comparse: o nella parte dell’americana sexy e scema, o pure della ribelle e indipendente francesina, che non arriva a finire la cena e già si è arresa allo charme di un Crowe, sempre più macho.
Sì, la Provence è bella, è ben fotografata e non si dovrebbe viverci male, tra tanti luminosi vigneti, ma a forza di ricorrere a mezzi di dubbio gusto (ci sono riprese, effetti di montaggio e accompagnamento musicale più adeguati ad un video clip) e tanto dialogo banale -con pretese di easy-wear-, diventa impresa ardua riconoscere quel grande regista che è stato Ridley Scott. Anche se la cosa non ci stupisce più di tanto: basti ricordare alcuni dei suoi ultimi film. Nella migliore delle ipotesi, forse è incappato, ultimamente, in una serie di cattive annate. Proprio come può succedere al vino in genere. Anche quello della Provence. Ana Sánchez de
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