Flags of our fathers

16/12/2006. Regista: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Paul Haggis, William Broyles Jr. Interpreti: Ryan Phillippe, Jesse Bradford, Paul Walker, Adam Beach, Jamie Bell. 132 min. USA. 2006. Adulti. (VD)

A 76 anni suonati, Clint Eastwood confeziona un ennesimo film, traendo spunto da una fotografia entrata nel mito: quella dei sei marines che sollevano la bandiera degli Stati Uniti, in cima al monte Suribachi. L’autore dello scatto fu Joe Rosenthal, il 23 febbraio 1945, per l’Associated Press. Era iniziata a Iwo Jima, un’isoletta del Pacifico, quella che sarebbe stata una delle più dure battaglie della seconda guerra mondiale.

L’istantanea, con cui Rosenthal vinse il Pullitzer, ha avuto un effetto decisivo sull’opinione pubblica americana, che vi ha riconosciuto un’icona della vittoria, portando all’apoteosi i sei marines. In quell’occasione, i responsabili del governo americano approfittano della circostanza per portar a termine un’ambiziosa campagna di raccolta fondi. I tre sopravvissuti della foto si ritrovano così, da un giorno all’altro, trasformati in star, idoli di masse presenti in ogni stadio, per chiedere a tutti di comprare i buoni del tesoro, con cui finanziare la guerra. James Bradley, figlio di uno dei soldati, ha pubblicato i ricordi della battaglia e gli effetti della famosa fotografia, nel romanzo Flags of our fathers. Eastwood si è interessato al romanzo, ma tardivamente: Steven Spielberg aveva i diritti dal 2000. Alla fine sono arrivati ad un compromesso: Spielberg resta come coproduttore, mentre ad Eastwood è toccata la regia.

Flags of our fathers rappresenta un certo cambiamento di rotta da parte di Eastwood. Lo sperimentato regista, stavolta penetra un fatto storico, gira un film bellico dotato di rilevante budget (80 milioni di dollari) e, anche se conservando qualcosa, muta il suo tipico fatalismo e la sua consolidata visione dell’uomo, per parlare di eroi. Infatti, anche se una voce fuori campo ci ripete nel finale, forse per evitare che alcuni possano accusare il film di sciovinismo (e almeno in parte l’accusa è fondata), che i protagonisti sono persone ordinarie, dalle immagini appare invece che i soldati sono eroi. Con errori certo, ma eroi. Ciò non impedisce al film di proporre una critica, al contempo feroce, del meccanismo ideologico, politico e propagandistico della guerra. Eastwood tratta duramente chi provoca la guerra, ma salva quanti la combattono.

I primi minuti sono magistrali: la miscela di realismo sia nella battaglia, che nell’ambiente che circonda i soldati, sprigiona un grandissimo pathos. Il problema è che, quando la formula diventa ripetitiva, il film s’impantana. E, tra tante scene interminabili di battaglia, affiorano vari momenti di stanca.

Il cast -composto da attori molto giovani- funziona bene, ma il disegno dei personaggi è meno profondo che in altri film di Eastwood e, alla fine, neanche l’evidente talento di Haggis -che oltre a Crash, ha scritto Million dollar baby- risulta capace di elevare un film bellico, pur con una buona fotografia.

Le sequenze belliche sono spettacolari. Eastwood calca però la mano con la violenza e non evita allo spettatore quasi nessun primo piano raccapricciante. Lo stesso regista ha girato, in contemporanea, un secondo film (Letters from Iwo Jima) che ricrea il conflitto dal lato giapponese. Il copione è di Iris Yamashita e Ken Watanabe ne è il protagonista. Paul Haggis è il produttore esecutivo. La prima sarà il 9 di febbraio del 2007 negli Stati Uniti: da non perdere. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

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