La storia del cammello che piange

4/06/2005. Registi, Sceneggiatura: Byambasuren Davaa, Luigi Falorni. Interpreti: Uuganbaatar Ikhbayar, Odgerel Ayusch, Janchiv Ayurzana, Enkhbulgan Ikhbayar. 90 m. Germania, Mongolia. 2003. Giovani.

Commuovere attraverso un cammello. Questa la principale sfida, vinta da La storia del cammello che piange, premiata produzione assurta a documentario europeo capace dei maggiori incassi degli ultimi anni. Ambientato nel Deserto del Gobi, in Mongolia, ritrae le peripezie quotidiane di una numerosa famiglia di nomadi durante il periodo del parto dei cammelli. Le loro esistenze interrompono la monotonia quotidiana, quando una delle cammelle partorisce un cucciolo di cammello, che respinge da sé in quanto nato albino. Tutti elargiscono opere e preghiera per risolvere una situazione così delicata.

Talora sembra difficile sopportare il minimalismo visivo e drammatico imposto da Byambasuren Davaa e Luigi Falorni, lei mongola, lui italiano, entrambi trentatreenni ammiratori di Robert Flaherty (Nanuk l’eschimese), studenti della Scuola di Cinema di Monaco, dove si sono conosciuti. Una certa lentezza, la si deve in parte al copione, molto sintetico, e inizialmente previsto per tv. In tal senso, sarebbe stato meglio indugiare di più sulle differenze generazionali della famiglia protagonista e sul viaggio dei due fratelli in città.

Comunque, i bellissimi paesaggi sono stati fotografati con grande perizia dallo stesso Falorni. Inoltre, tra frequenti battute umoristiche, tutti gli attori non professionisti appaiono all’altezza del loro ruolo. Il copione include momenti di forte lirismo e sottili riferimenti all’attualità, dove ancestrali tradizioni mongole stanno per essere soppiantate dalle nuove tecnologie del consumismo edonista. Il film esalta in modo esplicito la famiglia unita e le profonde convinzioni religiose dei personaggi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

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