Ti do i miei occhi (Te doy mis ojos)

21/04/04. Regia: Icíar Bollaín. Sceneggiatura: Icíar Bollaín e Alicia Luna. Interpreti: Laia Marull, Luis Tosar, Candela Peña, Rosa María Sardá. Kiti Manver. Giovani-Adulti. 106 m. 2004.


Dedicato al tema della violenza domestica, il film può trasformarsi in arma a doppio taglio. Infatti, trattandosi di argomento in gran voga sui mass media, e ammettendo che investa un problema da prendere sul serio, il pubblico interessato, purtroppo, si rivela spesso incline al facile manicheismo, avido di truculenze di basso livello. Per questo, è da elogiare il virtuosismo della spagnola Icíar Bollaín (Hola, ¿estás sola?, Flores de otro mundo), che ha girato un film equilibrato e ricco di sfumature.


La storia si centra nel rapporto guastatosi tra Pilar e Antonio (molti bravi Laia Marull e Luis Tosar), sposati e con un bambino, in una città di provincia. Una notte, lei si presenta in lacrime, col bimbo, in casa della sorella. Ha sofferto un ennesimo episodio di maltrattamento, che la spinge alla separazione temporanea. La coppia continua a sentirsi innamorata, ma lei quasi non può dominare la paura quando intravede l’inizio di un episodio di violenza, da parte di lui. Uscire, lavorar fuori casa in un museo, stringere nuove amicizie è ciò che offre a Pilar nuove possibilità.


Anche Antonio, da parte sua, vuole uscirne mettendosi in cura, ma i suoi stessi angusti orizzonti vitali rappresentano un pesante fardello. Il quadro è completato dall’ambiente che circonda la coppia: la madre, che ha resistito accanto al marito fino alla fine dei suoi giorni; la sorella, indignata, che non capisce come Pilar voglia fare un altro tentativo di risollevare le sorti del matrimonio; le colleghe di lavoro, presentate con tratti stereotipati, prototipi di un’indipendenza per lo più esibita; il terapeuta, a caccia di soluzioni; i compagni della terapia di gruppo, che presentano uno spaccato del livello di considerazione, di cui godono presso le rispettive mogli.


Bisogna apprezzare la poliedrica presentazione del problema, che evita di demonizzare qualcuno. In ogni caso, Bollaín, adotta un taglio comune a certo cinema contemporaneo, quasi totalmente impermeabile alla trascendenza e senza speranza nella possibilità che le persone cambino. Le scene di violenza sono misurate. Spesso, il panico è evocato più per allusione, o accennato ricorrendo a sequenze accelerate. Si può capire la dura scena dell’umiliazione, che si svolge in terrazzo, anche se avrebbe potuto essere più castigata, senza perdere di efficacia. Poche invece le attenuanti per una scena erotica, seppure inserita a sottolineare il desiderio dei due protagonisti, dopo la prolungata separazione. Jose María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X+, D+, F. Qualità: *** (MUNDO CRISTIANO)

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