Lords of Dogtown

23/07/2005. Regia: Catherine Hardwicke. Sceneggiatura: Stacy Peralta. Interpreti: Emile Hirsch, John Robinson, Victor Rasuk, Michael Angarano, Nikki Reed, Heath Ledger, Rebecca De Mornay. 107 min. USA. 2005. (VXSD). Adulti.

Tre adolescenti di un quartiere povero di una città californiana chiamata Venice, vicino a Los Angeles, condividono la loro passione per il surf estremo. Nel 1975, trasferiscono allo skate quello che hanno imparato nei frangenti di un mollo abbandonato. È così che fanno conoscenza con persone più grandi, i proprietari di un negozio di surf. Le rotelle degli skate vengono realizzate in un nuovo materiale, che ne aumenta a tal punto l’aderenza, da farli pattinare anche verticalmente, facendo surf sui muri delle piscine vuote. Era l’inizio di una rivoluzione per la tecnica di uno sport, fino allora orizzontale, spesso unica risorsa per ragazzi problematici, con rabbiosi desideri d’indipendenza, Ne seguirà il veleno della competizione, l’ingresso nel mondo degli sponsor, i contratti, i soldi, il passaggio al professionismo. La stretta amicizia dei ragazzi, che hanno condiviso un’infanzia difficile, in un ambiente duro di povertà, di famiglie disgregate, di alcool, sesso e droga, sarà messa alla prova.

Stacy Peralta (uno dei tre ragazzi), ha scritto e diretto un documentario, Dogtown and Z-Boys, accolto con buon riscontro al festival di Sundance (premio al miglior regista e premio del pubblico). Peralta, con i suoi 48 anni, è il responsabile della sceneggiatura di questo film, costato 25 milioni di dollari e prodotto dalla Columbia. Sarebbe un errore pensare che si tratta della solita storia di competizione o di ragazzi ribelli e problematici.

Una sceneggiatura molto solida si armonizza ad una realizzazione di livello tecnico invidiabile (le immagini di surf e di skate trasmettono vertigini e sollecitano l’adrenalina). A ciò si aggiunge un elevato livello interpretativo (l’australiano Beat Lager offre la sua prova più convincente, nei panni del proprietario del negozio di surf che sponsorizza la carriera competitiva dei ragazzi). Come giá avvenuto in Thirteen, la regia della Hardwicke risulta molto dura e scarna, ma forse -per questo- più riuscita. La regista dimostra scioltezza quando racconta storie di giovani. Vuole piacere e divertire -cosa certo non censurabile- ma si limita a sfiorare il lato nascosto e ambiguo di questa gioventù, contribuendo così a generarne una visione ingannevole, specialmente per adolescenti.

La traccia che, alla fine, resta impressa sugli spettatori del film dipende anche della prospettiva con cui si affronta, in questo caso, il fenomeno dei cosiddetti sport estremi.

Esistenze messe a dura prova, povertà, rabbia, ribellione, paura, stupidità, egoismo, vuoto, amicizia, soldi, fama: questo è Venice, il paese nativo di “Drugo” Lebowski (Il grande Lebowski) e di Julia Roberts. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, S, D. (ACEPRENSA)

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