I figli degli uomini

18/11/2006. Regista: Alfonso Cuarón. Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, Timothy J. Sexton, David Arata. Interpreti: Clive Owen, Julianne Moore, Michael Caine, Chiwetel Ejiofor, Charlie Hunnam. 109 min. GB, USA. 2006. Giovani-adulti. (VD)

Il regista messicano Alfonso Cuarón aveva accettato di adattare liberamente il romanzo di P.D. James I figli degli uomini, attratto da una singolare profezia: un futuro prossimo venturo, l’anno 2027, con un umanità in pericolo di estinzione. Causa: l’infertilità delle donne.

Da un’idea cosi suggestiva, emerge una parabola di un avvenire niente affatto promettente, che presenta inquietanti similitudini con l’attuale panorama di flussi migratori e chiusure di frontiere, manifestazioni di radicali e movimenti no-global, con la disumanizzazione dell’uomo al centro della vicenda.

Il film prende le mosse da un personaggio grigio e intristito, cui si rivolge la ex-moglie, attivista di uno di questi gruppuscoli non governativi che anelano, in qualche modo, ad un mondo migliore. Con riluttanza si trasformerà in guardia del corpo di una donna che, in modo inatteso, rimane incinta. Questo responsabilità non cercata, restituirà loro, poco a poco, la speranza perduta.

Giustamente si può definire Cuarón come un narratore di racconti: La piccola principessa, Paradiso perduto (Great expectations), Harry Potter e il prigioniero di Azbakan… Perfino il sopravvalutato racconto iniziatico Y tu mamá también (Anche tua madre) rientra in questa sua prerogativa. I figli degli uomini è una storia semplice, che presenta uno scenario apocalittico di uomini stanchi e senza riferimenti, permettendogli di ritrovare la gioia del giorno per giorno.

Le lacrime silenziose iniziali, causate dalla morte violenta dell’uomo più giovane del pianeta, stigmatizzano una perfetta sintesi della situazione di rifiuto di amore e di valore alla vita. Si passa poi al vuoto esistenziale del protagonista, il laconico ed efficace Clive Owen, e all’occhiata nostalgica sul mondo hippie del personaggio di Michael Caine, coltivatore di marijuana che si lamenta del mondo, ma senza far molto per cambiarlo.

In alcuni momenti il film si direbbe ripetitivo, con le sue numerose scene di inseguimenti o di caos, ma la potenza prospettica del regista e del sua consueta spalla operativa -Emmanuel Lubezki- è tale, che la trama elementare sta in piedi. Speciale attenzione meritano le scene, in cui la visione di un bambino commuove coloro che un attimo prima si stavano combattendo (anche se trattasi di sentimento effimero) e della nave nella nebbia. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

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