The lost city

18/11/2006. Regista: Andy Garcia. Sceneggiatura: Guillermo Cabrera Infante. Interpreti: Andy Garcia, Bill Murray, Inés Sastre, Dustin Hoffman, Steven Bauer. 143 min. USA. 2005. Giovani. (VSD)

L’Havana, fine anni ‘50, secolo scorso. I Fellove sono una famiglia della borghesia che si divide davanti alla situazione politica, provocata dalla dittatura di Batista. Don Federico, prestigioso professore di Diritto, confida in un’evoluzione pacifica verso la democrazia. Ma i figli minori, Ricardo e Luis, sostengono, ciascuno a modo suo, il movimento rivoluzionario diretto da Fidel Castro e dal “Che”. In mezzo, resta il figlio maggiore, Fico, proprietario del cabaret El Tropico, che cerca di mantenere una posizione neutrale, rischiando invece la pelle per aiutare gli uni e gli altri.

Certamente García si dilunga troppo, non controlla totalmente la progressione drammatica del film –che fluttua eccessivamente-, permette alcuni dialoghi eccessivamente artificiosi, nonché abusa sporadicamente del ricorso alla musica nella sua valenza simbolica. Ma è pur vero che trae il massimo profitto dal copione originale di Cabrera Infante -di grande spessore letterario- e nonostante le limitate risorse tecniche a sua disposizione. Garcia offre un ritratto attraente e ponderato dell’Havana fine anni ‘50, e dei diversi “tipi” esemplari che la costellavano.

Alcuni hanno criticato il tono quasi grottesco con cui il film ritrae la figura del dittatore Batista e dei suoi sanguinari sgherri, ma anche un mistificato “Che” Guevara. In realtà, la brutalità e stravaganza di questi personaggi è molto ben documentata. Tra questi estremi, ricchi di particolari aneddotici, il film sviluppa una riflessione serena, sincera e sentita sull’insostenibile disuguaglianza sociale che esisteva a Cuba, sull’ambigua influenza degli Stati Uniti -molto ben rappresentata dal mafioso Meyer Lansky (Dustin Hoffman) e dal sarcastico anonimo comico (Bill Murray)-, sul ruolo decisivo che ha avuto la classe media nella caduta di Batista, e infine, nel tragico inganno della rivoluzione castrista.

Tutto ciò è abilmente articolato nel copione, grazie al ricorso ad una storia di amore impossibile, con evidenti accenni a Casablanca e al Dottor Zivago. García ottiene una buona resa dal film, in virtù di una solida direzione di attori e di una messa in scena che si sforza costantemente di cavar fuori la massima espressività ad ogni inquadratura, ad ogni movimento di macchina da presa, ad ogni simbolismo onirico-musicale fornito dalle 40 e più canzoni che danno vita alla colonna sonora del film. Non sempre ci riesce, ma García merita un plauso per questo suo desiderio di coinvolgere lo spettatore nella storia, commuoverlo con la musica cubana e farlo meditare sulle sue riuscite riflessioni politico-sociali, che sempre emergono a fior di pelle in ciascuno dei personaggi. Anche dei più disumani. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

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