La foresta dei pugnali volanti

19/2/2005. Regista: Zhan Yimou. Sceneggiatura: Li Feng, Zhang Yimou, Wang Bin. Interpreti: Takeshi Kaneshiro, Andy Lau Tak Wah, Zhang Ziyi, Song Dandan. 119 m. Hong Kong. 2004. Adulti.

Cina, anno 859. La dinastia Tang è in declino. Il malessere è generale e il governo corrotto deve lottare contro numerosi eserciti ribelli. Il maggiore e più potente di questi è comandato da un misterioso nuovo capo. Due capitani delle forze governative, Leo e Jin devono catturare questo nuovo capo, e perciò hanno escogitato un complesso piano. Il capitano Jin si farà passare da guerriero solitario, capace di liberare dalla prigione Mei (Zhang Ziyi), una rivoluzionaria, bella e cieca, per conquistarne la fiducia e farsi introdurre nella sede segreta dell’esercito ribelle. Il piano funziona ma, con loro massima sorpresa, Jin e Mei s’innamorano profondamente durante il lungo viaggio. Lo spettatore resta avvinto su quale sarà il destino di questi due sventurati amanti, nonché desideroso di sapere se si tratta di vero amore, visto che sembrano tramare qualcosa nelle loro menti e celare segreti nel loro intimo, particolare inconsueto tra due che si amano.

Yimou, dopo il sucesso ottenuto con Hero, tanto economico –è stato numero uno negli Stati Uniti, con incassi per 53 milioni di dollari (al costo di 30)- quanto di critica, presenta ai suoi cultori un nuovo film di arti marziali, a passo di danza, prodotto ancora dall’astuto Bill Kong, con budget molto inferiore a Hero. Arti marziali un po’ singolari, come ha sottolineato il critico nordamericano Robert Ebert in un divertente commento. Ebert asserisce che il film sembra rientrare nel genere definito dal collega Pauline Kael “kiss kiss, bang bang”, con l’aggiunta di “pretty pretty”.

La nuova superproduzione di Yimou, anche se meno rifinita di Hero, ha peraltro momenti nei quali non si può che alzarsi per applaudire (soprattutto dopo il lungo e spettacolare “balletto dei fagioli”, con una bellissima Zhang Ziyi).
È proprio quello che hanno fatto i critici –ed io tra di loro- durante la proiezione del film al Festival di San Sebastian. Le coreografie, i costumi, i paesaggi tipici (cinesi ed ucraini), il suono, la fotografia (Zhao Xiaoding aspira all’Oscar), il montaggio e gli attori, costituiscono un insieme di straordinaria bellezza, esaltato dall’uso del colore. Ma la storia è confusa, più confusa e ingarbugliata che in Hero, che già non scherzava. Inoltre, il copione risulta ripetitivo, con diversi passaggi erotici abbastanza ridicoli, chiare concessioni ad un certo tipo di pubblico. C’è poi la questione del finale, o piuttosto dei finali: sembra che gli sceneggiatori non sapevano che finale proporre per il film. Ne segue, che molti ammiratori di Yimou, quando escono dalla sala di cinema, tendono a commenti di questo tipo: “Bene, maestro, ti sei divertito a sufficienza con spade e lotte nei boschi di bambù. Inoltre, hai guadagnato un mucchio di soldi. Adesso basta stupidate! Riprendi il tuo cinema povero, dove con pochissime cose riuscivi a commuoverci molto”. Gli ammiratori del regista di Non uno di meno saranno però contenti di sapere che il loro idolo sta girando la storia di un giapponese che viaggia in Cina, con il figlio, per insegnare l’opera. Yimou è un appassionato dell’opera e nel 1999 ha curato la regia di Turandot, rappresentata nella Città proibita. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

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