Munich

18/2/2006. Regista: Steven Spielberg. Sceneggiatura: Tony Kushner ed Eric Roth, dal libro di George Jonas. Interpreti: Eric Bana, Daniel Craig, Ciarán Hinds, Mathieu Kassovitz, Hanns Zischler, Geoffrey Rush. 164 min. USA. 2005. Adulti. (VX)

Forse il film più rischioso di Steven Spielberg, con una posta in palio superiore a quella dello stesso Schindler’s List. Il regista utilizza da sfondo intermittente, per tutta la durata del film, i tragici eventi delle Olimpiadi del 1972 a Monaco. Si tratta del sequestro ed assassinio di undici atleti israeliani da parte di un gruppo terrorista palestinese, Settembre Nero, cui segue la risposta dello stato di Israele: un mandato all’omicidio clandestino dei responsabili, affidato ad gruppo di cinque agenti segreti, co-protagonisti del film.

Con questi elementi, ne trae un film vibrante -da cinepresa nervosa, di studiata freddezza-, che non lascia un attimo di tregua. Lo spettatore condivide l’inquietudine dei personaggi: la loro tensione è la nostra. E si trova situato di fronte alla violenza, terribile –mai visto tanta efferatezza in un film di Spielberg- con un chiaro messaggio: togliere la vita ad un nostro simile non fa mai onore al “giustiziere”, di qualunque parte egli sia. E lascia sempre un conto aperto.

Il film inizia, immergendo lo spettatore nel clima degli eventi del 1972. La complessità dei fatti, a maggior ragione quando una parte di essi non si svolge alla luce del giorno, è difficile da ricostruire. George Jonas, autore del libro che ispira il copione di Tony Kusher ed Eric Roth, si lamenta di distorsioni: ad esempio i rimorsi di Avner, leader del commando israeliano, esecutore -a modo suo- della “legge del taglione”.

Risulta difficile giudicare l’attendibilità della ricostruzione, basata su trame oscure, ma Spielberg riesce nel principale suo obiettivo: descrivere la ripercussione mediatica istantanea di fronte all’attuale terrorismo, mostrando però come la vendetta del giustiziere, fredda ed extralegale, fallisce i suoi obiettivi. Non solo dilata il ricorso alla violenza, ma provoca un vuoto interiore nella vita degli esecutori che niente -neanche l’armonia della famiglia- riesce più a riempire.

Spielberg è stato accusato ingiustamente di mettere sullo stesso piano Settembre Nero e il Mossad: in realtà Spielberg non pone in discussione il patriottismo e la sincerità con la quale i protagonisti ritengono di servire il proprio paese; ma non giustifica la rispettiva azione: cavar l’occhio e il dente a quanti si sono resi responsabili della stessa azione. Riaffiora piuttosto la citazione biblica eletta a proverbio: “chi di spada ferisce, di spada perisce”.

C’è sincerità nel regista e vari spunti per il dibattito. La violenza disumanizza. Nella polemica scena dove gli agenti israeliani condividono lo stesso appartamento dei terroristi palestinesi, sottolinea il rischio che la linea di distinzione tra chi ha torto e chi ha ragione- si possa dileguare all’improvviso, da un momento all’altro. Lo vediamo nelle discussioni del gruppo israeliano, uno stupendo gruppo di attori, o nel rifiuto di un agente di coprire pudicamente il cadavere nudo di una assassina, fatto che poi gli peserà sulla coscienza. Spielberg ha realizzato un film potente, che sancisce una maturità e un dominio del mezzo cinematografico innegabili. Che il suo lavoro esaurisca il tema del terrorismo è però un’altra questione, ma non credo che nemmeno il noto regista pretenda tanto. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

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